Topolino e il Bip Bip-15
La vignetta di apertura apparsa su Topolino 257 dell’ottobre 1960.
Quest’ultima è certamente la meno famosa del ciclo di Atomino, e mi piacerebbe (ma qui forse pecco di presunzione) che questa mia testimonianza la reintegrasse a pieno diritto fra le sue sorelle, riconoscendole i grandissimi pregi che porta. È con questo scopo che, a differenza di quanto fatto in buona parte di queste recensioni, seguirò parzialmente la trama della storia. Il mio legame con essa è certamente speciale, sia perché è stata una delle prime storie scarpiane che ho letto (credo la terza, dopo “Gancio il dritto dà lezioni!” e “Topolino e la Dimensione Delta“), sia perché sono stato sempre affascinato dall’ingegnosità dello spunto (il Bip Bip-15 appunto) e dalla “grinta” dell’avventura che si dipana con eccezionale scioltezza nelle due puntate della storia. Proprio di lì a poco, inoltre, avrei iniziato ad interessarmi attivamente ai nomi e agli stili degli autori, non tardando ad identificare nel Maestro veneziano uno fra i Sommi indiscutibili.
Topolino e Atomino che si divertono indegnamente come… come noi!
Ma il genio si vede dai dettagli. L’idea di fondo della storia sta nel Bip Bip-15, invenzione di Atomino che, mossa da uno starnuto di mesoni, va ad attaccarsi a ciò che trova sulla propria traiettoria, privandolo della gravità e sospendendolo in aria. Ma come presentarla? Scarpa sceglie la via comica, nel senso dantesco del termine, ovvero come alternativa all’epica: per cui le straordinarie virtù dell’oggettino sono confinate al perimetro della casa di Topolino, tutt’al più strumento per giocare uno scherzo al buon Pippo.
E per mettere in risalto l’estrema perizia di Scarpa nella gestione economica del proprio materiale, osserviamo che sono le spie stesse, oltre al poliziotto di turno, a fare le spese delle impreviste potenzialità del Bip Bip-15, assolvendo contemporaneamente a due funzioni narrative.
Naturalmente qualcosa va storto, e la notizia della straordinaria invenzione diviene di dominio pubblico.
Parole in parte segnate dai tempi, ma anche e soprattutto profetiche!
La scelta dei tempi è, come sempre, azzeccatissima, e l’azione comincia proprio là dove era pianificata la stasi. Ed ecco entrare in scena i due cattivi: Gambadilegno, incontestabilmente nella sua forma migliore, e Kamura, il piccolo e tremendo lottatore giapponese. In maniera del tutto inedita l’intreccio si bipartisce: Topolino ignaro di tutto, sorvegliato da Kamura, e Bip-Bip, fatto prigioniero e costretto a lavorare per Gambadilegno. In breve i due fili si riuniscono e comincia l’azione vera e propria, ma quel che occorre notare (eredità gottfredsoniana passata intatta a Casty) è che benché la tensione raggiunga livelli da cardiopalma la comicità e l’ironia di Scarpa non vengono mai meno: Topolino e Kamura che combattono a colpi di farina, la “presa rotante con uscita tangenziale sulla destra“, le “porte rialzate” delle navi… Un connubio ineguagliabile tra avventura e divertimento in cui l’una non può fare a meno dell’altro e viceversa!
Violazione della privacy, con echi gottfredsoniani…
E poi Pippo; è un personaggio del tutto secondario, eppure è più Pippo che mai: due vignette, due battute, e il personaggio è perfetto!
Gambadilegno, poi, è il più genuino cattivo che si possa desiderare: ingegnoso, violento, vanitoso, profittatore cronico di idee altrui, più deciso che mai a realizzare i suoi propositi passando sui cadaveri di Atomino e Topolino. Ed è un gusto meraviglioso (non avete idea di quanto io lo adorassi ai tempi, e tuttora) stare guardare le sue espressioni di gattone soddisfatto e impulsivo, nelle continue schermaglie con il suo nemico mortale; si può davvero dire che qui Pietro gioca a fare “il gatto col topo”!
Ma non dimentichiamo la trama, ambiziosa e perfettamente orchestrata: dai dettagli (Topolino che scopre il rapimento dell’amico tramite delle lettere marcate nel messaggio d’addio, formanti la parola “rapito”, e sempre Topolino che imprime un messaggio segreto per Atomino sui pesci che si affacciano al suo oblò!) alla grande azione, con Topolino e Atomino a piede libero per la base sottomarina di Gambadilegno, più determinati che mai, fino al furibondo scontro finale a suon di calci, pugni e jiu-jitsu (per la cronaca: Atomino contro Kamura 1-0, Topolino contro Gambadilegno 0-0) e al salvataggio conclusivo da parte della guardia costiera di “Maniglia, nelle isole Giacomine“.
Aahhh… la soddisfazione!
Uno degli elementi fondamentali e più accattivanti della storia è forse il ritmo, che si adatta ai vari momenti con una perfezione davvero eccezionale per un autore così giovane e così vulcanico. Ma perché stupirsi? è IL Maestro!
Per concludere, vorrei porre l’accento di nuovo sul grande messaggio morale della storia, oggigiorno più pressante e coraggioso che mai: potrà sembrare meno centrale, meno commovente, meno “immediato”, dei grandiosi “Parastinchi di Olympia” o di storie più celebri. Ma ricordate che poche storie come questa riescono a mettere insieme quelli che per me sono i quattro ingredienti irrinunciabili del capolavoro: la componente comica, quella avventurosa, quella riflessiva e, mai da trascurarsi, dei grandi personaggi come sono Topolino, Atomino e Gambadilegno in questa storia. Lavori come questo, e come la “Dimensione Delta” che lo precede, sono il modello di riferimento per i grandi lavori di Casty e non solo, per la loro capacità di darci quella “genuina meraviglia”, più artigianale che sensazionale, senza esasperazione dei caratteri, senza alcun sacrificio della componente comica, che rendono grandi i grandi autori Disney.
Correte a leggere (o rileggere) questa storia e ne uscirete con un sorriso soddisfatto, con un respiro diverso, con un rinnovato e genuino entusiasmo di lettori. Altro che Yoga, signori: Romano Scarpa forever!
31 LUG 2015