PK² #1 – Ducklair
PK2 numero 1
Dal 2000 in poi iniziò a svilupparsi massicciamente la mia curiosità in ambito disneyano, che nei sei anni precedenti si era limitata ai rassicuranti confini di Topolino e di alcuni mensili come Paperino, Mega 2000 e qualche raccolta tematica occasionale.
La volontà di “andare oltre” venne sicuramente stimolata, all’alba del nuovo millennio, dalla politica editoriale messa in campo da Disney Italia già da un po’ di tempo e che toccava forse l’apice proprio in quel momento, soprattutto sul versante “per collezionisti” che si arricchiva di diversi volumi speciali.
Il forte dinamismo del periodo si rifletteva però anche con iniziative editoriali dall’approccio fresco e innovativo: nell’estate del 2000 mi avvicinai per la prima volta a PK, grazie allo speciale di quell’anno, concretizzando una tendenza verso questo progetto che non avevo ancora avuto modo di assecondare da quando prese il via nel 1996. Ne fui conquistato, ma allo stesso tempo non mi azzardai a seguire con costanza una serie con così tanti numeri alle spalle, quindi accantonai questa velleità.
Non sapevo che di lì a poco ci sarebbe stato un rilancio della testata, con tanto di ripartenza dal n. 1.
La pubblicità della nuova testata.
Quando sulle pagine di Topolino, nel gennaio del 2001, apparve la pubblicità del primo numero della seconda serie di PK, pensai che potesse essere una buona occasione per salire sul treno di quell’universo narrativo che tanto mi affascinava. Uno starting point, anche se all’epoca non sapevo si potesse chiamare in questo modo. Così, il 20 di quel mese mi recai in edicola insieme a mia mamma e lo acquistai.
Ducklair si rivelò una folgorazione anche più forte di quanto non fu Super nell’agosto precedente.
Nonostante la storia contenuta richiedesse la conoscenza, almeno superficiale, di fatti e personaggi apparsi nella “prima stagione” della testata, Francesco Artibani scrisse una storia che considero tutt’ora una delle sue migliori in senso assoluto.
La tabula rasa che veniva compiuta in quell’avventura aveva infatti il doppio vantaggio di creare un terreno vergine abbastanza valido per essere fruibile sia da nuovi lettori, facendo comunque percepire che quello a cui si stava assistendo era lo sconvolgimento di uno status quo ben preciso e radicato, sia da chi quello status quo lo aveva frequentato negli anni precedenti.
La scena dell’addio di Uno.
C’era un forte sapore di rivoluzione pressoché completa, e il fatto che apparisse tutta a sfavore del protagonista rendeva quella storia particolarmente claustrofobica: Paperinik si trovava all’improvviso privo delle certezze che costellavano la sua vita da molto tempo, e costretto a reinventarsi, a tornare anche alle origini in un certo senso, dovendo adattarsi a fare a meno di molti degli orpelli tecnologici che avevano caratterizzato buona parte dell’humus pikappico.
Il punto di forza della trama stava proprio lì: una progressiva e metodologica distruzione della figura dell’eroe, spogliato di mezzi e alleati e costretto a vedersela con Everett Ducklair, un avversario che prima di allora era nella “lista dei buoni”, addirittura un mentore, nonostante la sua ambiguità caratteriale.
Oltre a questo mood, anche l’umorismo del tutto particolare che Artibani mise in campo, soprattutto di tipo verbale, mi colpì particolarmente: la parlantina svelta che Pikappa sfoggiava durante i combattimenti e il piglio dei suoi balloon di pensiero facevano trasparire un uso differente del linguaggio ironico rispetto a quello usualmente presente nei fumetti Disney, più sottile e sarcastico che semplicemente simpatico e divertente.
Una rivelazione!
Di contro, non mancavano passaggi più seri e intensi: in quest’ottica, la scena con il messaggio di addio dell’amico artificiale Uno a Paperinik rappresentò qualcosa di inedito, per me, nella concezione della narrativa disneyana. L’umanità che traspariva da quel commiato e dalle emozioni in gioco alzava in qualche modo la posta e mi faceva percepire chiaramente le potenzialità di questi personaggi.
I disegni di Claudio Sciarrone
I disegni non furono da meno: Claudio Sciarrone era in stato di grazia in quel periodo e sfornò tavole dinamicissime, con costruzioni di gabbia molto interessanti e favorendo il ritmo frenetico presente in sceneggiatura. Ma non solo: il suo Paperinik e il suo Everett venivano rappresentati in maniera irresistibile, caratterizzati da una linea fluida che li rendeva assolutamente vitali e curati, con grande attenzione nelle posture e soprattutto nelle espressioni dei volti, che comunicavano in maniera immediata le sensazioni provate dai personaggi in ogni snodo narrativo. Il grande formato, i colori accesi e un approccio alla griglia particolarmente inedito in Disney fecero il resto, completando un lavoro che mi mostrò che questo tipo di fumetto poteva alzare l’asticella sempre un po’ di più, arrivando a risultati per me impensabili prima di allora.
Anche le rubriche contenute in quello spillato ebbero la loro buona parte di merito nel mio entusiasmo: la “PK Mail” con lettere palesemente finte e risposte surreali, a creare una dimensione complice “da spogliatoio”, mi mostrò che si poteva strutturare in maniera differente dalla norma uno spazio del genere, e ad essa faceva invece da contraltare l’angolo più nerd dove si rispondeva con grande puntualità e serietà ai dubbi degli appassionati sulle vicende narrative degli ultimi numeri.
Approfondimenti seri sulla storia del mese – che contribuivano quindi a prendere sul serio quanto si era appena letto – erano il succo di “Digital PK²”, che in quel numero parlava in maniera pseudo-scientifica del carburante dell’auto di Pikappa, mentre era ancora l’ironia paradossale a farla da padrona nell’improbabile articolo chiamato “Riportage” e dedicato a un fantomatico videogioco ambientato in un ipermercato.
Nel complesso il primo numero di PK² fu per me importante nel capire quanto margine di movimento ci fosse con i personaggi Disney e a quante e quali possibilità si prestavano: mi mostrò che si potevano trattare temi diversi, trame più complesse, approcci inediti ed “esterni” applicati senza forzature al concept disneyano. Vidi che anche il comparto redazionale, che solitamente sfogliavo senza troppo interesse nei servizi su Topolino, poteva costituire un momento aggregativo e avere un approccio laterale decisamente stimolante.
Le classiche storie del settimanale continuavano a piacermi e intrattenermi, ma capii che accanto ad esse poteva coesistere anche qualcos’altro; che poteva piacermi anche qualcos’altro. Da lì niente fu più come prima.
18 APR 2020