Trent’anni di voci spezzate: i gialli di Silvano Mezzavilla (seconda parte)
Accidenti! L’altro giorno, a causa di un violento temporale, questo articolo è rimasto… spezzato!
Dunque, dopo aver parlato ampiamente delle prime fasi della carriera disneyana di Silvano Mezzavilla, riprendiamo da dove eravamo rimasti…
Topolino soccombe ai suoi rapitori
È con Gambadilegno e il rapimento di Topolino che Mezzavilla riesce a rivisitare in maniera quasi totale, prima che lo faccia anche Tito Faraci, la figura del principale antagonista di Topolinia. La vittima, in questa storia, è Topolino, che viene rapito da due criminali su cui stava indagando; ed è proprio Pietro Gambadilegno, suo nemico di sempre, l’unico testimone del rapimento. Inizialmente per Pietro sembrano spalancarsi le porte della ricchezza: «Senza Topolino tra i piedi nessuno mi potrà fermare!» sono le sue parole.
La situazione però si complica quando si accorge che i due rapitori non si limitano al sequestro Topolino, ma iniziano anche a compiere una serie di furti in città, relegando così Pietro al ruolo di semplice comparsa degli avvenimenti. Ed è qui che Mezzavilla “topolinizza” Gambadilegno, mettendolo sulle tracce dello stesso Topolino, come se si fosse trasformato in un vero detective in poche pagine. Il cambiamento è tuttavia perfettamente motivato dalla voglia di rivalsa del villain, che vuole infatti dimostrare a sé stesso e a tutta la città di essere ancora il “pericolo numero uno” di Topolinia. In realtà lo sceneggiatore ci propone un Pietro atipico, che appare smarrito senza il “topastro” con cui confrontarsi; Gambadilegno risolverà abilmente il caso, senza che alla fine ne guadagni nulla, se non la restituzione del vecchio nemico.
Ed è proprio questa la domanda che lo sceneggiatore vuole porre al lettore: Pietro ha agito così per guadagno personale o per nostalgia del “topastro”? La risposta, che non è per nulla scontata, viene suggerita da Mezzavilla pagina dopo pagina, con piccoli indizi impreziositi dalle magnifiche espressioni che Cavazzano regala ai personaggi e che, nel suo caso, tradiscono le reali intenzioni di Gambadilegno. Una storia che, oltre a sovvertire i ruoli di ladro e di detective, presenta il tema del rapimento in maniera quasi drammatica, con una situazione cupa in una Topolinia notturna e mai così dark nel periodo recente della Disney Italia. Con Gambadilegno e il rapimento di Topolino, Silvano Mezzavilla dimostra quanto siano legate le figure dei due personaggi, nonostante nel corso della storia non si incontrino (quasi) mai in modo diretto. Sarà poi Tito Faraci, in maniera autonoma e totalmente originale, a basare su questo stretto dualismo buona parte della propria produzione alcuni anni dopo.
Quella della “sindrome visionaria” è una vicenda dai forti toni scarpiani
La drammaticità giallistica di Silvano Mezzavilla è al centro anche di Topolino e la sindrome visionaria, storia impreziosita dai disegni di Romano Scarpa. A farla da padrone è sempre il tema centrale del mistero da sciogliere, ma stavolta la situazione è quasi ribaltata rispetto al solito, tanto che i criminali vengono catturati subito dopo poche pagine: Topolino sarà il testimone chiave al loro processo che si terrà la settimana successiva, ma nei giorni seguenti alla cattura rimarrà vittima della… “sindrome visionaria”. La particolarità di questa storia nasce dal grande inganno che orchestra Mezzavilla ai danni dello stesso Topolino, nel quale cadiamo anche noi semplici spettatori quasi senza accorgercene; il lettore si immedesima in toto nell’eroe ed è “vittima” della sindrome visionaria tanto quanto lo è il detective. Una situazione inedita, soprattutto per i fan Disney, che erano abituati a seguire le gesta di Topolino e a farsi condurre indenni verso la soluzione del caso.
In questo frangente il lettore è invece spiazzato, poiché si ritrova senza una guida lucida e razionale, a differenza di quanto accade normalmente (come nella stessa Topolino e il mistero della voce spezzata, dove il detective prende in mano il mistero fin da subito e ci conduce alla soluzione pagina dopo pagina). La suspense viene accentuata fortemente anche dal fatto che la storia è divisa in due numeri consecutivi del settimanale: la seconda parte si concentra infatti principalmente sulla sindrome di cui è vittima Topolino e paradossalmente il lettore si sentirà ancora più smarrito, chiedendosi se anche lui stesso abbia sognato certe situazioni lette una settimana prima. Una suddivisione in due numeri forse non cercata dagli autori, ma che ha il pregio di accentuare i sintomi della sindrome. Mezzavilla districa i fili della vicenda con esperienza anche quando permette a Topolino di risolvere il caso in una sola vignetta: una sorta di “visione” (stavolta positiva), non banale e perfettamente giustificata all’interno dell’intera vicenda. Il lettore può tirare un sospiro di sollievo e gustarsi così la soluzione di questo ennesimo mistero (e capolavoro) disneyano.
Nel 1997 Mezzavilla è nuovamente autore di una lunga storia, Gambadilegno e il tesoro di Ululoa. Pietro torna ad essere protagonista assoluto in un’altra avventura in cui il suo storico rivale non compare; questa volta è impegnato assieme a Trudy e tre complici nell’organizzazione di un favoloso colpo. Mezzavilla regala così un altro thriller in cui il lettore si appassiona alle vicende della banda e alla meticolosa preparazione del loro colpo, con diversi colpi di scena. È una storia con una trama più “leggera” rispetto alle precedenti e con diversi spunti umoristici.
Gambadilegno sarà il villain principale anche della storia successiva sceneggiata dall’autore veneto: Topolino e il mostro oscillante. È infatti Mickey a farla da protagonista, ma stavolta, in maniera inconsueta per le caratteristiche della poetica di Mezzavilla, a fargli da spalla viene proposto Pippo. Troviamo qui ripresi i temi dal rapimento, anche se in maniera più soft, e della gioventù di Gambadilegno già vista e analizzata in Ritorno a Legcity.
Il misterioso “Gatto”
Quanto Silvano Mezzavilla sia attento anche a temi maturi lo dimostrano gran parte delle sue storie, come Topolino e il weekend col gatto. La trama nelle prime tavole (splendidamente illustrate da Massimo De Vita) sembra canonica, con il classico giallo del rapinatore misterioso da risolvere, ma in realtà l’intreccio che si viene a creare pagina dopo pagina non si sofferma principalmente sui furti commessi, ma sul rapporto tra il detective e il ladro, tra chi insegue e chi è inseguito. Un intreccio che ci presenta, seppur sottilmente, il tema dell’invecchiamento e del cambiamento. Il Gatto, questo vecchio nemico di Topolino, sembra tornato in scena dopo anni e per un’intera nottata compie una serie di complicati furti, che fanno ricordare all’eroe le vecchie imprese del rivale.
Ed è proprio questo l’obiettivo del Gatto: dimostrare a Topolino, ma soprattutto a sé stesso, di essere ancora in grado, dopo anni, di avere ancora il proprio tocco magico, la propria abile furtività. «Ma soprattutto per dimostrare, se volesse, di essere ancora imprendibile!», ci spiega lo stesso Topolino, che anni prima fu l’artefice della cattura del ladro. Una storia atipica, che non mette realmente uno contro l’altro i due contendenti, ma li fa giocare su una stessa scacchiera, con stretta di mano iniziale e regole ben precise: gatto contro topo, sì, ma stavolta senza colpi bassi e soltanto per autocompiacersi di sé stessi e delle proprie abilità (furtive e investigative). Una sfida che Topolino raccoglie senza farsi pregare e che, con estrema intelligenza, supera, pur senza risultare l’effettivo vincitore. Mezzavilla ci propone una situazione in cui il protagonista non è attratto soltanto dalla voglia di risolvere il mistero, ma anche e soprattutto dalle mosse e dalle abilità del proprio avversario. Ancora una volta la canonica situazione giallistica è quasi ribaltata, grazie ad originalissimi accorgimenti che rendono Il weekend col gatto una delle migliori storie apparse su Topolino nel corso degli anni Novanta.
Popeye, nel 1929, esordisce nel mondo del fumetto con la stessa battuta dell’autista della Villa dei misteri: omaggio o coincidenza?
Spesso Silvano Mezzavilla si diverte a giocare anche con il lettore, portandolo per mano in una situazione apparentemente sicura, per poi invece abbandonarlo a sé stesso con trovate di incredibile fantasia. È ciò che prova chi legge Topolino e la villa dei misteri. La pioggia e l’atmosfera cupa sono anche in questo caso il contorno ideale per una storia che già dal titolo ci fa assaggiare gli elementi ricorrenti del giallo classico. In realtà lo sceneggiatore ci stupisce ancora una volta. I “misteri” della villa sono inspiegabili, irreali e gli stessi personaggi con cui Topolino si confronta ci appaiono insoliti e ci costringono a mettere in discussione la nostra posizione di lettori: stiamo davvero leggendo questa storia? Quale mistero stiamo inseguendo?
Una situazione surreale, che pagina dopo pagina si allontana dai canonici binari gialli, per inoltrarsi su strade sconosciute e ancora poco esplorate nei fumetti Disney: quelle dell’irrealtà data dal sogno nostalgico, dal chiodo fisso che dopo anni si ripresenta come dolce incubo. I disegni di Cavazzano, come sempre perfetti, non riescono a tranquillizzare il lettore, ma proprio grazie al loro estremo realismo lo spiazzano ulteriormente, gettandolo in una storia al tempo stesso concreta e immaginaria. L’escamotage del sogno, sovrautilizzato dalla letteratura e dal fumetto, non ci delude, né ci appare banale o forzato; Mezzavilla non vuole infatti raccontare un’indagine, bensì vuol far capire come certe immagini non si cancellano mai dalla nostra memoria. Il personaggio chiave, oltre a Topolino, è Geremia, il cugino del proprietario della villa, che porta sempre con sé una valigia, all’interno della quale sono racchiusi «i ricordi di tutta la sua vita». Ed è proprio questa la chiave che l’autore ci consegna per risolvere il mistero della villa, che in fondo è il mistero che si cela dietro ogni piccolo nostro ricordo perduto.
Silvano Mezzavilla ha sceneggiato diverse altre storie per Topolino, ma la nostra analisi si conclude qui, dopo essersi soffermata sulle trame che abbiamo reputato più significative. Diversi elementi chiave e ricorrenti possono essere estrapolati e apprezzati rileggendo l’intera produzione dell’autore e sicuramente diversi aspetti del suo narrare ci potranno essere sfuggiti nel realizzare il nostro lavoro. Tuttavia abbiamo deciso di porre l’accento sull’originalità stilistica di uno sceneggiatore che ha riscoperto un Topolino detective, e che al tempo stesso ce lo ha riproposto in maniera innovativa, più noir. Le atmosfere cupe, le situazioni dark e la profondità dei temi trattati sono tuttavia soltanto alcuni dei punti fermi del lavoro di Mezzavilla; un autore che, nel corso degli anni in cui ha collaborato con il settimanale, ha sempre cercato di reinventarsi e di proporre alla testata storie sempre nuove e originali. Storie che, seppur diverse, hanno mantenuto quegli schemi solidi che i lettori hanno sempre apprezzato e che ancora oggi, a trent’anni di distanza da Topolino e la voce spezzata, permettono di godere appieno dei “gialli di Silvano Mezzavilla”.
23 GEN 2021