Finalmente sono riuscito a leggere
Moby Dick. L'avrò iniziato almeno 3 volte in passato, ma senza mai riuscire a imbarcarmi. Sarà vero che alcuni libri vanno letti in dati momenti.
Ora, cosa dire di questo libro? Onestamente, non ne sono sicuro. Il giudizio non riesce ad essere univoco (e questo suppongo non sia un male) e va differenziandosi a seconda del punto su cui mi soffermo.
Se penso al modo in cui è scritto, devo purtroppo dire di non essermi comunque riuscito ad affezionarmici. Se devo giudicare da questo testo, lo stile di Melville non mi piace. In fin troppi punti mi è parso pretenzioso, pretestuoso, ottuso, soprattutto nei capitoli in cui faceva apologia e apoteosi della baleneria (non escludo influisca a questa mia opinione il fatto di provare innato odio e repulsione per la caccia alle balene - mea culpa).
Seppure sia un fatto trascurabile, mi sono trovato poi alquanto straniato dalla voce narrante. Chiamatemi Ishmael, è l'incipit del romanzo. Una voce narrante che fa parte della storia, che la racconta come spettatore, e che poi, di punto in bianco, diventa voce narrante esterna e onnisciente, tanto da riportare pensieri, fatti che avvengono in punti diversi, e poi, ancora, in diversi capitoli il tutto pare diventare testo teatrale, coi personaggi che ad alta voce monologano con il pubblico, entrando in scena per la loro battuta e uscendone a conclusione. Nel complesso la cosa l'ho trovata funzionante, a dirla tutta. Almeno per il simil-teatro, che gettava appunto una luce di farsa grottesca sul destino segnato del Pequod, ma resto meno convinto della voce onnisciente.
Concentrandomi invece sulla trama, lì i punti a favore sono molti. Ishmael spinto a lasciarsi la terra alle spalle, il suo essere, tutto sommato, aperto a ciò che considera diverso tanto da legarsi talmente con Queequeg, i personaggi quasi caricaturali degli armatori del Pequod e dei suoi ufficiali, i rimandi biblici, shakespeariani, il senso di minaccia e di qualcosa di profondamente condannato che avvolge fin dalle nebbie umide di Nuntuckett, e infine Ahab. Tragico emblema di quanto la rabbia danneggi più il suo portatore che non qualunque cosa su cui sia versata
cit., la sua crescente monomania e discesa verso la condanna, misurabile ad ogni incontro con altre navi dal modo sempre meno umano e più insensibile con cui le si approccia, il dolore fantasma per la gamba che sente ancora, la certezza dell'autodistruzione eppure, per un breve dialogo, la visione del poter fermare questo percorso, abbandonarlo e tornare sui propri passi.
Insomma, come ho detto all'inizio mi è difficile dirmi compiaciuto o deluso. Stilisticamente non riesce a prendermi, nonostante la trama e l'argomento superbi.
Facciamo fifty/fifty? Sono due fifty, mica poco