C'era una volta un uomo che aveva sentito, da bambino, la bella storia di Abramo (Gen. 22, 1 sgg): ...Questo l'incipit, molto fiabesco, di
Timore e Tremore, ossia la riflessione che il filosofo danese Kierkegaard compie intorno al concetto di fede, assumendo come punto di riferimento l'episodio dell'Antico Testamento in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificargli il suo unico figlio, Isacco: uno di quei passi che, anche per chi non è credente (come nel mio caso) può comunque far riflettere e offrire degli spunti interessanti per poter comprendere coloro che invece si sono votati alla fede, che non è quella composta necessariamente da precettisti (contro cui, francamente, mi scaglio sempre a spada tratta e che, fra l'altro, contesta il filosofo nella sua riflessione).
Per poter capire questo testo vanno specificati alcuni punti della filosofia di questo pensatore, almeno i due essenziali:
[list bull-blackball]
- Kierkegaard scrive sotto pseudonimi, e questo perché ritiene di non poter esprimere in altro modo le infinite possibilità che si prospettano all'uomo. Quindi non si identifica Kierkegaard attraverso uno pseudonimo, bensì il personaggio che sta dietro a Kierkegaard, pertanto le stesse idee possono essere espresse con sfumature leggermente differenti.
- Kierkegaard rivaluta il cosiddetto Singolo in un'epoca in cui l'uomo era stato concepito come manifestazione di un principio (cfr. Hegel); ossia, in termini crudi: l'uomo esiste e può scegliere senza dipendere da altri, la scelta - non sempre facile - sta solo in sé e non in altro, e questa tematica viene ben espressa lungo la riflessione di questo testo./list]
Torniamo ora sul testo: passata la prefazione, in cui Kierkegaard, sotto lo pseudonimo di
Johannes de Silentio, si pone in contrasto con quella chiesa che aveva creduto ad Hegel ed era convinta di essere riuscita a spiegare la fede, e decide di trattare della fede che Abramo ha avuto nel difficile momento in cui Dio gli ha chiesto di sacrificargli l'unico figlio, una storia che chiaramente l'ha affascinato sin da quando il padre gliela raccontava da bambino.
Kierkegaard si trascina per tutta la vita un dubbio: come fece Abramo ad aver fede fino in fondo, al punto da sacrificare il suo unico figlio?
Perché, tra tutte le infinite possibilità che aveva di fallire la prova, scelse proprio da andare fino in fondo, arrivando ad estrarre il coltello per uccidere Isacco?
Ci furono uomini grandi per la loro energia, la loro saggezza, speranza o amore, ma Abramo fu il più grande di tutti...Dopo quattro possibile alternative che illustrano le varie possibilità in mano ad Abramo (narrate con una densa liricità che lascia davvero senza fiato), Kierkegaard comincia un "panegirico" (elogio) intorno alla figura del patriarca, ritenuto il più grande perché visse l'assurdo e il paradosso della fede.
Ma questo è solo il punto di partenza per fare filosofia e riflettere su ciò che può ancora restituirci questa storia.
Infatti, Kierkegaard pone un grande problema, a sua volta snodato in tre differenti problemi: Come può Abramo essere considerato grande per aver avuto fede in Dio e seguito la sua legge, quando dal punto di vista etico, cioè della legge morale, egli è solo un assassino?
Ed emerge tutto l'assurdo e il paradosso della fede:
Il movimento della fede, infatti, si deve sempre in forza dell'assurdo, però, cosa essenziale, in modo da non perdere il mondo finito, ma di guadagnarlo integralmente.Questo mondo finito, il nostro, diventa fondamentale per una semplice ragione: chi sceglie la fede, la sceglie in vita, nel mondo terreno, e non saprà mai spiegarsi perché la legge di Dio contrasti con quella morale. Però, tra tutte le scelte di cui l'uomo dispone, esiste la fede, esiste il rapporto personale con Dio.
Personale diventa la parola chiave del discorso. Kierkegaard distingue chi crede da chi ha fede:
Celebra la domenica.
Va in chiesa. Nessuno sguardo celeste, nessun segno dell'incommensurabile lo tradisce; se non lo si conoscesse,
sarebbe impossibile distinguerlo dal resto dell'assemblea;
poiché il suo modo sano e potente di cantare i salmi mostra al massimo che ha i polmoni robusti.Riferito al primo, è una critica tagliente nei confronti di molti "presunti" cristiani: dicono di avere fede, ma poi la fede come la vivono? Nel precettismo, nell'attenersi alle prescrizioni della Chiesa e della religione.
La fede è qualcosa di più: è il riporre totale fiducia nel progetto di Dio, è il rinunciare alle nostre infinite possibilità.
Perché qui si realizza un potentissimo paradosso: noi possiamo scegliere e siamo liberi di fare ciò che vogliamo della nostra vita, ma quando poi vogliamo la fede, vogliamo Dio, vogliamo una salvezza dal mondo, dobbiamo riconoscere che il nostro insieme di possibilità è limitato a confronto di questa grande opportunità e dobbiamo abbandonarci completamente a Dio, al suo silenzio e alla sua volontà, che vada pure e comunque contro l'eticità, la legge morale comune.
Potrei fare altri commenti su questo brevissimo libro (è composto da un centinaio di pagine), però chi vorrà leggerlo vi troverà una filosofia molto densa e coerente con sé, una filosofia che ci attesta con sicurezza che possiamo scegliere. Se però scegliamo la fede, scegliamo qualcosa di veramente difficile da comprendere.
Lo ritengo, inoltre, accessibile anche agli atei o agli agnostici: a me non solo ha confermato quest'idea della scelta e dell'angoscia che la scelta stessa fa scaturire, ma anche di questa prospettiva che, se ci pensate, diverse persone seguono con tutta la loro passione. Perché è la passione la parola chiave dell'esistenza: scegliamo in virtù di ciò che ci fa stare bene, seppur poi, nel momento della scelta, ci sia la paura del rimorso e dell'ignoto.
Kierkegaard insegna a superare questa paura e a scegliere quanto più presto possibile (tematica più evidente in
Aut-Aut, di cui spero di farvi al più presto una recensione perché merita anche lui parecchio).
Spero di non avervi annoiato. Ogni tanto qualche libro di saggistica può rivelarsi sorprendente e così pieno di spunti di riflessione. A me, onestamente, qualcosa di profondo lo ha lasciato, pur non essendo cristiano.
Signori e cavalier che ve adunati
Per odir cosa dilettose e nove,
State attenti e quieti, ed ascoltati
La bella istoria che'l miocanto muove;
Questo è l'incipit dell'opera che mi appresto a cominciare. Chi la indovina?
Punto sul buon Matteo Maria Boiardo. Ma solo perché ho letto Ariosto e a suo tempo in classe facemmo un confronto con l'incipit del Boiardo.