Orlando furioso
Immagino che sia una doverosa lettura dopo l'
Orlando innamorato del Boiardo
L'edizione che ho recuperato da un'anziana signora è ancora lì sullo scaffale a fare la polvere, magari quando quest'estate avrò finalmente un bel po' di tempo libero potrei decidere di leggerlo, immagino che non sia una di quelle letture da fare sul treno di prima mattina e dopo diverse ore di lezione.
Questo mese ha segnato il mio ritorno alla letteratura e una pausa dalle varie letture filosofiche - che, ovviamente, continuerò lo stesso a fare ma in quantità ridotta, almeno per tutto il periodo dei corsi del secondo semestre, poi si vedrà.
In prima battuta, ho finalmente terminato l'
Organon di Aristotele, un'opera immensa e fondamentale anche solo per chi è appassionato di filosofia, tuttavia non è appetibile a tutti, ovvero il rigore con cui vengono trattati certi concetti e la precisione con cui vengono snocciolati fino millimetro potrebbe alla lunga stancare (ad esempio, negli
Analitici primi, Aristotele espone il metodo sillogistico e lo sviscera letteralmente fino la nausea per oltre duecento pagine). I più interessanti, a mio modo di vedere, sono stati il
De Interpretatione e le
Confutazioni Sofistiche, probabilmente perché le tematiche sul linguaggio mi interessano più di quelle sulla logica, scienza di tutto rispetto ma che mi pare abbastanza arida sotto certi punti di vista: per intenderci, sono una persona decisamente puntigliosa, soprattutto nei riguardi di argomenti che mi interessano, tuttavia non gradisco personalmente mettersi a disquisire intorno alle sottigliezze in modo rigoroso (è anche un po' il motivo della mia avversione nei confronti dell'algebra astratta, ma penso che lì sia un problema di insegnamento più che altro, poiché lo studio individuale mi sta conducendo ad una graduale rivalutazione della materia), preferisco che l'approccio muti a seconda delle tematiche trattate e alla complessità del problema in questione. Aristotele, invece, porta avanti con lo stesso metodo tutte le sei indagini compiute nei sei rispettivi testi, spinto da un desiderio quanto più completo possibile di conoscenza. Il che merita rispetto sotto tutti i fronti, chiariamoci, ma se non si ha una mente così curiosa come la sua difficilmente si apprezzerà l'opera nella sua interezza.
Al di là del bene e del male di Nietzsche è stato, invece, l'altro testo filosofico che ho concluso durante questo mese e diciamo che mi ha lasciato troppo poco: più che oscuro, il filosofo di Röcken è sospeso tra l'essere profetico, ironico e critico nei confronti del suo tempo in uno stile sì vivace ma non sempre convincente. L'avevo comprato a quattro euro circa per arrotondare un grosso ordine, e diciamo che i soldi spesi frutteranno in avvenire quando mi lascerò "sedurre" più facilmente dalla sua penna: la lettura è stata piena di diffidenza su certi punti, ho apprezzato alcuni aforismi e le parti dedicate alla morale e alla religione, ma per il resto certi concetti mi mettono in crisi perché non riesco a capire se Nietzsche stia ironizzando o sia serio.
Giusto per completare il quadro: sono a buon punto con la lettura della
Meditazione milanese di Gadda, un testo filosofico piuttosto eccentrico dove si possono ritrovare i motivi di fondo dei suoi due romanzi più importanti. Leggerlo dopo esserci cimentati coi romanzi dà la prova di quelle che erano le vere intenzioni dell'autore, ovvero dare prova di un sistema retto da un infinito vortice di concause, in cui il principio dell'identità degli indiscernibili di Leibniz la fa da padrone, lasciando che nelle infinitesime differenze tra le cose la voce narrante si perda senza riuscire a dare un ordine omogeneo ai fatti narrati o alle parole: per tale ragione ne
La cognizione del dolore Gadda si perde nel seguire il corso di un fulmine o nel
Pasticciaccio presta più attenzione ai movimenti curiosi di una vecchia gallina piuttosto che alle indagini del furto. Affascinante poi il gioco metaletterario tra "Critico" e "Autore", espediente che poi utilizzerà come simpatica ed originale prefazione alla
Cognizione.
Passando ai testi letterari, avevo diverse punte nella mia libreria che mi imploravano di essere lettere, e dal nulla ho sentito come una scintilla, una pulsazione che mi ha spinto dal niente a leggere
Gente di Dublino di Joyce: è come se l'autore avesse spaccato Dublino in quindici frammenti e li avesse ricomposti con uno stile realista ma pieno di simbolismo ed introspezione, con quel costante senso di disagio che ti accompagna tra un racconto e l'altro, sembra quasi di vivere o di comprendere la paralisi dei protagonisti. Le narrazioni, è vero, sono ridotte all'osso, spesso non raccontano nulla di significativo e rimangono incompiute, però la quantità di dettagli e di simboli presenti e la moltitudine di temi trattati è impressionante, è un vero e proprio specchio della città agli inizi del Novecento, con il tempo che la fa da padrone fino alla drammatica soluzione che viene proposta nell'ultimo racconto-epilogo. Di grande ispirazione per tutti coloro che vogliono scrivere in modo insolito.
Penso si sia capito che ho un debole per i modernisti e in generale per i romanzi del XX secolo, e Mann è un altro volto presente nella mia galleria: la sua scrittura è davvero eccezionale, è piena di immagini liriche e stupende, e la sua sensibilità filosofica e artistica merita rispetto. In un unico libro ho letto tre dei suoi più importanti racconti lunghi, ovvero,
La morte a Venezia - Tonio Kröger - Tristano e sono rimasto impressionato dalla tormentata vicenda omoerotica del primo, penso che una rilettura futura a confronto col Simposio e col Fedro di Platone (quest'ultimo brevemente evocato verso la fine, sancendo l'inscindibile rapporto tra Eros e arte nella vita dello scrittore) potrà solo giovare. Tuttavia, Mann scrive per palati decisamente fini, non è un autore semplice da leggere, si muove tra una sensibilità quasi decadente e uno spiccato interesse nell'introspezione, gli amori e le passioni di cui parla si consumano negli sguardi e nei pensieri, mai nelle parole.
Faulkner è l'ultimo grande nome che citerò in questo post, giacché ho terminato oggi di leggere il suo
L'urlo e il furore, romanzo che definire geniale ed originale è anche poco. Ho un debole per le narrazioni atipiche, ma questo autore è riuscito ad ottenere la mia ammirazione con un solo capitolo, in cui lascia parlare il suono che si propaga nel tempo senza linearità, un flusso di coscienza ardito ma splendidamente architettato che rende testimonianza della tragicità della vicenda narrata e poi pian piano dispiegata, non senza picchi di difficoltà notevoli, nei capitoli a seguire. La storia è quella del declino di una famiglia del sud America, i Compson, ma il modo in cui l'autore la racconta riesce a farti vivere il disagio, il dolore e la confusione di personaggi che sono talmente presi dalle loro emozioni da non riuscire a fare chiarezza fino in fondo agli eventi narrati. Merita indubbiamente il suo posto nelle classifiche dei romanzi più difficili di sempre, la lettura non è piacevole perché a non essere piacevole è il modo in cui vieni messo davanti al dolore della vita, che per quanto tu possa essere ottimista da qualche parte lo si trova sempre, ma arrivati all'ultima pagina e presa consapevolezza di quello che si è effettivamente letto, non si può che sentirsi gratificati e arricchiti spiritualmente. Non scherzo e non mento: ho sentito veramente quel furore nelle prime pagine del libro, mentre la scrittura di Faulkner si faceva sempre più incalzante ed incisiva, tra salti temporali improvvisi e battute velocissime, per poi farsi più densa e più ricca di pathos nei capitoli successivi, dove tutto quel suono comincia a prendere forma e a trovare un senso. E in quel momento ho sentito qualcosa, forse dei brividi... Ridimensionerò le mie sensazioni prima di stendere una recensione, mi si perdoni il lungo post però è stato di nuovo un periodo di letture che si sovrapponevano e volevo aspettare prima di inserire cinque/sei post di fila o alternati.