Lo scorso mese mi ha visto alle prese con le ultime piacevoli letture dell'anno che mi hanno portato a collezionare un numero di libri letti nel complesso assai soddisfacente, anche se penso che spesso non mi sia approcciato col giusto spirito, dacché a posteriori per certi libri avverta quasi un'insoddisfazione che mi spingerà, quest'anno, a puntare più sulla qualità anziché sulla quantità, l'ultima delle quali mi è stata necessaria più per impormi un ritmo che per altre ridicole motivazioni, anzi, se operassi una spietata selezione, di tutto ciò che ho letto se ne salverebbero pochi, e taluni sarebbero proprio quelli a cui darei volentieri una rilettura più approfondita e ragionata.
Ad essere onesti, per il mese di dicembre non avevo molte idee su cosa volessi davvero leggere: da una parte sentivo l'urgente bisogno di recuperare un po' di filosofia, tuttavia dall'altra parte i vari corsi universitari mi hanno portato ad una sorta di indolenza meditativa che mi ha impedito di esercitare bene il pensiero al di fuori di questioni prettamente matematiche. Volendo andare su qualcosa di leggero, pertanto, ho recuperato due testi brevi, essenziali, eppure di una bellezza accattivante, pure sinfonie di stile: da un lato Il ballo di Iréne Nèmirovsky, dall'altro La sinfonia pastorale di André Gide, la modernità del linguaggio che nella prima produce una melodia che scorre liscia, che in quelle poche note racconta comunque una storia intessuta di piccole ma preziose sfumature, mentre nel secondo intreccia riflessioni di natura morale ed esistenziale in una cornice religiosa, componendo un potente dramma autobiografico, che è poi quello di ciascuno, senza tener conto del proprio orientamento religioso. Talmente accattivanti che in due giorni me li sono letti entrambi.
L'inaspettata velocità con cui ho letto i due romanzi di cui sopra mi ha fatto nuovamente dubitare su cosa potessi portarmi dietro da leggere in treno, e fortunatamente mi sono imbattuto in una grande occasione, ovverosia nella serie di volumoni della Newton Compton Editori scontati due al prezzo di uno: per quanto li reputi illeggibili perché impaginati male ed eccessivamente consistenti nella copertina e nel formato, pagarne due con pochi soldi era un affare, e perciò ho rimediato il volume sui Romanzi Gotici e su vari romanzi di Dostoevskij. Di quest'ultimo mi sono letto solo Il giocatore, che in passato avevo abbandonato per qualche strana ragione, eppure l'ho trovato una buona introduzione al romanziere russo, le cui gemme, qualora fossi spinto a leggerle, saranno comunque sempre a mia disposizione - meno I fratelli Karamazov, anche di quello c'era un volumone della stessa casa editrice, ma in quel caso era conveniente puntare sul numero di opere, e penso che per meno di 10 euro undici romanzi di non poco conto siano soldi davvero ben spesi, anche mettendoci la pessima veste dei libri in questione, che mi condiziona fino ad un certo punto.
Pur avendo "riempito" la mia modesta "biblioteca" con una mossa e pochi spiccioli, a meno di massacrarmi la spalla quei due volumi non me li sarei mai potuti portare dietro, anche perché sono scomodissimi da tenere, sia in mano sia sulle gambe - andrebbero bene su un leggio a stelo, ma dubito che tutti ce l'abbiamo in casa... - motivo per cui ho dovuto di nuovo chiedermi cosa avrei potuto leggere, ed improvvisamente mi è venuto il pallino dei romanzi incompiuti, di quei frammenti pubblicati postumi, sicché da essi trapela una sincerità e una particolare bellezza che riesce comunque a rendere compiute, in un certo senso, e infatti, cristallizzate come opere "in divenire", mai come quelle compiute chiedono al lettore di trascendere il mezzo in cui sono state scritte, poiché la lettura diventa anche unica per il percorso che si è intrapreso, magari anche per le riflessioni che provengono da quelle righe non terminate che si pongono come ideale e personale "gionta". Certo, non penso sia stato proprio questo ciò che ho vissuto leggendo Il Castello di Franz Kafka, magari per la pesantezza di alcune parti che si sarebbero potute sintetizzare con più forza, però posso dire di averlo sperimentato con Suite Francese della Nèmirovsky ascoltando la Quinta Sinfonia di Beethoven - da cui ella stessa aveva tratto ispirazione - e me la sono immaginata perfettamente accostata alla fuga dei parigini descritta nei primi capitoli del romanzo, ed ecco emergere la potenza della rappresentazione al di là di quelle evocative righe, un accostamento in grado di far dialogare tra loro due arti distinte, la letteratura e la musica. Con Gli ultimi fuochi di F.S. Fitzgerald, invece, è stato diverso: sembrava di trovarsi in mano una vera e propria sceneggiatura cinematografica, non la più emozionante, probabilmente perché l'intreccio amoroso a me particolarmente inviso non è stato all'altezza delle aspettative, tuttavia dotata di quei pochi elementi che bastano a renderla rappresentabile sulla scena, con il lettore che si improvvisa regista e costruisce le proprie angolature.
Arrivato a quel punto, mi mancava solo un libro per far cifra tonda, e la scelta è ricaduta su Disperazione di Vladimir Nabokov, un piccolo gioiello metaletterario che consiglierei a tutti di leggere per puro e semplice diletto. Il metaletterario è un genere a me sgradito perché per essere esaltato richiede una conoscenza completa del mezzo espressivo adottato, nonché una certa sagacia che non è propria di tutti gli autori, però direi che in questo Nabokov è semplicemente geniale, al punto che durante la storia sembra di vivere in tre dimensioni differenti, rispettivamente quella del protagonista, che è poi anche la nostra realtà quotidiana, quella dei romanzieri russi più volte parodiati dallo stesso Nabokov, e in generale della letteratura, e quella dell'arte: le tre si compenetrano in una vivace esplosione di stile e raffinatezza, una letteratura forse di primo acchito per soli palati fini, ma che se messa a nudo si rivela essere davvero per tutti. Il punto è proprio questo: non tutti sono in grado di lavorare col metaletterario, ed è anche per questo che il più delle volte sono contrario al suo uso nei fumetti, proprio perché mi appare il più delle volte una strizzata al lettore completamente fuori luogo.
In questi giorni, invece, ho terminato Idee per una filosofia della matematica di Lanciani e Rigoli. Il tempo e l'esperienza stanno cambiando il mio approccio alla matematica, quindi cercavo un testo che mi permettesse di pormi qualche questione, ad esempio su cosa voglia dire far matematica, su quali siano le dinamiche sottese alla dimostrazione di un teorema o alla costruzione di un certo percorso che poi viene presentato in una forma più rigorosa nei vari manuali, in che cosa consista la bellezza di un risultato, e via dicendo: penso di aver trovato un ottimo riferimento per cominciare a "filosofare" intorno a questi quesiti.
Conosco uno dei due autori, e più volte a lezione avevo avvertito un'impronta fenomenologica che ho piacevolmente ritrovato in queste pagine: il linguaggio adottato, infatti, assume quello stravolgimento di concetti tipico della Fenomenologia, eppure si tratta di una lettura leggera, di un percorso presentato in uno stile che, nonostante qualche tecnicismo da cui non si può scappare, riesce ad arrivare anche ai non addetti ai lavori: è chiaro che per comprendere determinate questioni sia necessaria una certa sensibilità, e su questo gli autori pongono l'accento in modo particolare, però alla base rimane per chiunque un ottimo abbozzo di cosa si nasconda dietro la parola matematica.
Vorrei dire altro, però al momento non ne sarei all'altezza e ne risulterebbe una riflessione sconnessa e dallo stile poco gradevole, pertanto mi limiterò a consigliarne la lettura, soprattutto ai detrattori della materia, che purtroppo sono davvero troppi e spesso per le solite motivazioni scolastiche - durante il Natale, ad esempio, una delle mie cuginette è venuta a dirmi di odiare la matematica per colpa della sua maestra... ogni volta che sento un bambino o un ragazzo manifestare odio verso qualcosa per colpa del professore mi viene quasi una sorta di colpo al cuore, è più forte di me. Dico questo perché a mio avviso ci sono delle prese di posizione che meriterebbero di essere ripensate, e non solo riguardo alla matematica - mi verrebbe da citare anche la filosofia e la geografia - e quindi servirebbero proprio dei testi da cui attingere per simili ripensamenti: nel caso della matematica, al momento, posso suggerire questo.