Ammetto di aver terminato a fatica la lettura della
Filosofia della rivelazione di Schelling, un testo tanto dotto quanto impegnativo: Schelling imbastisce un'ampia speculazione filosofica articolata in trentasette lezioni tenutesi a Berlino tra il 1840 e il 1841 (le stesse da cui rimase deluso Kierkegaard, per intenderci) mirata ad inquadrare il Cristianesimo come momento storico e a comprenderlo come cifra di una Rivelazione che si esprime proprio attraverso la figura di Gesù Cristo: in esso, Schelling ritiene di aver trovato l'errore di Hegel, la filosofia negativa che quest'ultimo aveva elaborato si era preoccupata di stabilire le condizioni necessarie (quelle logico-razionali) per comprendere la realtà, tuttavia aveva perso di vista quelle sufficienti, espressi dall'Essere che rappresenta l'oggetto di una filosofia positiva il cui scopo è condurre l'uomo alla finalità e alla conoscenza di un sapere trascendentale.
Detto questo, l'impianto filosofico è di altissimo livello e Schelling vanta un'ottima abilità oratoria mentre porta avanti la sua non facilissima speculazione, tuttavia la mia difficoltà è legata, più che altro, a divergenze concettuali: ritengo, infatti, ma questa è una mia semplice opinione personale che non è comunque mirata a sminuire l'invidiabile contenuto del volume, che, dopo aver inquadrato il Cristianesimo come il momento storico per eccellenza nello sviluppo delle religioni, Schelling cerchi forzatamente di giustificare la sua apertura a tale religione considerandola come portatrice di un sapere grandissimo. Nonostante questo, ho apprezzato i tanti riferimenti filologici e mitologici e pur non essendo certo di rileggere quest'opera in un futuro prossimo (considerata, soprattutto, la sua lunghezza), darò a Schelling l'opportunità di rifarsi con altre sue opere: pur essendo un filosofo piuttosto complicato per ragioni speculative (molte posizioni radicali e contraddittorie, se inquadrate in uno "sviluppo" del suo pensiero), ha comunque un certo suo fascino quando si getta nelle sue dissertazioni.
Non vi consiglio di leggerlo a meno che non siate interessati a discutere la vostra posizione sulla religione cristiana, è una lettura abbastanza specialistica, o comunque digeribile da chi ha interesse per gli argomenti trattati.
In contemporanea, tuttavia, sono arrivato a leggere il mio penultimo libro dell'anno (anche se in realtà avrà valore puramente simbolico perché almeno altri 2/3 libri potrei riuscire a terminarli dopo il trentesimo), una lettura filosofica che mi ha tenuto veramente attento dalla prima all'ultima pagina: sto parlando, per intenderci, delle
Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, l'altro testo per cui questo filosofo è ben noto anche ai non studiosi di filosofia. Wittgenstein in questo testo dà il suo meglio ripudiando, in primo luogo, delle posizioni troppo radicali che aveva preso nel
Tractatus Logico-Philosophicus come la riduzione del linguaggio alla pura logica, o la biezione immagine => fatto, ed elaborando, come conseguenza di ciò, una filosofia che si preoccupi, invece, di svelare le ambiguità e le problematiche del linguaggio, inteso come "giuoco linguistico". Il suo metodo è totalmente diverso: se nel Tractatus le proposizioni si presentavano, inserite nella loro complessissima architettura, in una veste seducente e d'impatto, nelle Ricerche le proposizioni sono semplicemente dei pensieri scritti dal filosofo in cui il dialogo con il lettore è costante ed intenso, quasi un tentativo di emulare la maieutica socratica: Wittgenstein fa pensare il lettore, lo mette davanti alle problematiche che intende affrontare, gli permette di fare degli esempi e si propone di dare una risposta a certi dubbi, aprendone, tuttavia, tanti altri. Leggere le ricerche è l'equivalente di prendere consapevolezza della potenza della parola, come se un concetto fosse un piccolo punto dello spazio capace di essere traslato da infiniti vettori di intensità differenti: ecco, quelle intensità rappresentano la ricchezza intrinseca di ogni concetto, e scoprire il motivo di ciò potrebbe portarvi a mettere in discussione il vostro stesso modo di esprimervi. Tuttavia, ritengo che un testo del genere sia necessario indipendentemente da quando sia stato scritto (anche se la sua pubblicazione è postuma, come la gran parte delle opere di Wittgenstein), poiché questa consapevolezza della parola è un altro aspetto che dovremmo imparare a riscoprire e a vivere, soprattutto se prendiamo atto del fatto che ormai politica, marketing e pubblicità di vario genere si facciano esclusivamente online, dove spesso i commenti sono al limite dell'imbarazzante, ma non come ortografia o grammatica, bensì come qualità di contenuti e ricchezza espressiva.
Io vi invito a leggerlo perché merita tanto, però renderebbe di più se letto dopo il Tractatus per essere più consapevoli dello svolta nel pensiero di Wittgenstein, e quella rappresenta la vera sfida (ritengo il Tractatus imprescindibile anche se non condivido molte sue idee, è proprio una di quelle "prove", mettiamola così, che possono comunque darci tanto).
Detto ciò, è tempo di concedermi l'ultima lettura per arrivare a quota trenta libri letti da luglio a qui, dopodiché penso che tirerò le fila, brevemente, su quali siano stati i favoriti di quest'anno