Complimenti anzitutto per l'impegno di continuare la lettura nonostante l'"impatto" dell'altra traduzione!
Be', per la propaganda imperiale se ne sono dette tante, bisognerebbe leggere qualcosa di critica per parlarne più diffusamente, ma ci sono due nodi centrali abbastanza riconosciuti: punto primo, Virgilio credeva realmente che una pax augustea fosse possibile, e il grande poema delle origini che è l'Eneide (per citare una sola delle mille possibili definizioni di quest'opera assai più sfuggente e complessa di quanto possa sembrare) poteva e voleva raccogliere la cultura romana attorno a questa nuova e speranzosa idea.
Punto secondo, i linguaggi variano di secolo in secolo, ragion per cui un concetto di pace laboriosa e fruttifera (difesa con le armi, certo. E che siamo romani a fa', sennò?) come la intendeva lui oggi sarebbe veicolato in maniera diversa (e probabilmente, per come è fatta la nostra cultura, meno sincero ed elaborato), ed è per questo che ci sembra che calchi tanto la mano. Vale a dire, i codici espressivi del poema, che pure Virgilio stesso rivoluziona (la differenza che hai notato con gli omerici è tanto per cominciare frutto di un'alessandrina depurazione stilistica), non consentono di limitarsi ad un semplice "Viva Enea, così savio e pio, non può fermarsi a Cartagine, deve andare a Roma per dare origine a noi che siamo un popolo grande e finalmente possiamo vivere in pace sotto il grande Ottaviano. Ah, Didone muore."
I concetti vanno ripetuti, i personaggi riportati continuamente a se stessi nelle loro azioni, i loro moti e mutamenti inclusi (e non per questo sminuiti) nell'ottica generale del poema. E ancora chiarire, enfatizzare (inteso in senso neutro), illuminare una nuova strada di gloria e speranza.
Si usciva da due decenni di guerra più o meno ininterrotta, chi credeva nel progetto augusteo si sentiva in dovere di puntarci tutte le sue forze, politiche o intellettuali che fossero (E del resto ha funzionato, nel senso che il progetto ha vinto. Se poi sia stato storicamente encomiabile c'è da discutere...).
Forse con un esempio posso chiarirmi meglio: la Divina Commedia, se letta col paraocchi, ad un moderno può sembrare sorpassata; ma il linguaggio dei simboli, dell'ordine divino, dell'ordinamento infernale etc. che a noi può parere astruso (e che per loro era molto più naturale) era quello che meglio poteva veicolare quei concetti morali, politici, filosofici, anche gnoseologici che dire universali è ancora poco...
Ecco: per leggere i grandi capolavori antichi abbiamo meno strumenti dei contemporanei; e sta proprio alla critica ritrovare quegli strumenti, e ancora cercarne di nuovi per permetterci di comprendere appieno i segreti ch'essi nascondono!