Fenomenologia della Percezione -
Maurice Merleau-PontyCapolavoro della Fenomenologia e, in particolar modo, uno dei testi più importanti del Novecento filosofico, la
Fenomenologia della Percezione di Maurice Merleau-Ponty è senz'ombra di dubbio una delle eredità più significative del secolo scorso, sia per i termini in cui viene condotta un'analisi così impegnativa, sia per i risultati a cui essa riesce a pervenire, importantissimi per lo sviluppo delle scienze cognitive e, per quanto concerne certi aspetti, per la nostra esperienza di vita.
Fortemente influenzato da Husserl, da Scheler, e dalla Gestalpsychologie, Merleau-Ponty riscrive totalmente il nostro modo di porci nei confronti dell'esistenza, e in particolar modo dell'oggetto percepito, proponendo un ritorno ad una percezione primordiale, sulla falsariga del motto husserliano "Alle cose stesse!", che acquista per il filosofo francese il valore di "Alle cose percepite!": un'esigenza, questa, forse dettata da un contatto amaro coi problemi della vita (essendo il periodo in cui Merleau-Ponty vive e scrive drammatico, segnato dai disastri del primo dopoguerra e dalla tragedia del conflitto successivo), e da un'illusoria ed irrequieta speranza di ritorno a quell'infanzia felice, che era stata comunque segnata dalla morte del padre.
Passata la
Premessa, in cui Merleau-Ponty si interroga sullo scopo della Fenomenologia, egli comincia la sua intensa ma lucidissima analisi partendo dal concetto di "sensazione", tanto banale quanto in realtà complesso e confuso, soprattutto se confrontato con le concezioni del Razionalismo e dell'Empirismo, con cui il filosofo mantiene sempre un costante dibattito, ritenendo le loro dottrine dei "pregiudizi" da cui liberarsi per poter fare ritorno alla percezione quale deve essere in realtà:
Prendiamo una macchia bianca su uno sfondo omogeneo. Tutti i punti della macchia hanno in comune una certa "funzione" che fa di essi una "figura". Il colore della figura è più denso e per così dire più resistente di quello dello sfondo; i bordi della macchia bianca le "appartengono" e non sono solidali con lo sfondo, quantunque quest'ultimo sia a essi contiguo; la macchia appare posta sullo sfondo e non lo interrompe. Ogni parte annuncia più di quanto contenga e questa percezione elementare è quindi già pregna di un senso (Introduzione - Capitolo I: la "sensazione",pp.35-46)
Fin dall'inizio è chiaro l'intento di voler comprendere la relazione soggetto-oggetto in termini di percezione e di ricerca di un senso in questa percezione. Merleau-Ponty, mettendo in discussione l'idea che la sensazione sia somma di parti finite (Empirismo) o che essa sia elaborata sottoforma di "Idea" da una coscienza (Razionalismo), arriva ad individuare nel corpo l'apertura percettiva all'esperienza e, di conseguenza, il centro di ogni attività conoscitiva. Questo è, a mio avviso, un risultato molto importante, perché pone l'accento su un'importanza che forse avevamo dimenticato, lasciando spesso che le nostre emozioni risultassero più importanti di ogni forma di corporeità, quando la connessione tra le due è invece talmente stretta che non si potrebbe pensare un'emozione senza un mondo verso cui questa si proietta o un mondo che non acquisti per noi, attraverso qualunque senso, un preciso significato emotivo: un temporale, un bacio, un dolce, un'essenza, una melodia... possono essere reinterpretati attraverso quest'ottica.
Il corpo non può essere paragonato all'oggetto fisico, ma piuttosto all'opera d'arte.[...]Un romanzo, una poesia, un quadro, un brano musicale sono individui, cioè esseri in cui non si può distinguere l'espressione dall'espresso, il cui senso è accessibile solo per contatto diretto e che irradiano il loro significato senza abbandonare il proprio posto temporale e spaziale. In questo senso il nostro corpo è paragonabile all'opera d'arte. Esso è un nodo di significati viventi e non la legge di un dato numero di termini covarianti (Parte prima - Capitolo IV: la sintesi del corpo proprio,pp.215-216)
In questo passo appena riportato emerge quello stretto legame con l'arte che, oltre ad essere una cifra caratteristica di tutta la riflessione di Merleau-Ponty, il quale tornerà su tale tema in modo sempre più irrequieto nei lavori successivi, soprattutto negli ultimi, mette in evidenza un legame nei confronti del mondo percepito che non si ferma alla semplice apparenza, ma è soprattutto permeato da molte ambiguità. Una delle più evidenti, oltre al linguaggio, è soprattutto la sessualità, su cui il filosofo scrive a riguardo:
C'è osmosi fra la sessualità e l'esistenza: ciò significa che, se l'esistenza si diffonde nella sessualità, reciprocamente la sessualità si diffonde nell'esistenza, cosicché è impossibile stabilire quanta parte abbiano, in una data decisione o in una data azione, la motivazione sessuale e le altre motivazioni, impossibile caratterizzare una decisione o un atto come "sessuale" o "non sessuale". (Parte prima - Capitolo V: il corpo come essere sessuato,p.238)
Diventa quindi impossibile stabilire se la sessualità sia finalizzata all'esistenza o se invece sia quest'ultima ad essere finalizzata alla prima: un ritorno alla percezione consiste in una presa di coscienza di tale ambiguità che è caratteristica del nostro corpo, altra posizione rivelante per un periodo che fa della sessualità un ritratto assolutamente confuso, forse addirittura impreciso e povero.
Molto descrittiva, ma non per questo meno interessante, la seconda parte, in cui Merleau-Ponty esplora lo spazio, condizionato anche dagli sviluppi delle geometrie dette non euclidee: la nozione che più risente di questo stravolgimento dello spazio tridimensionale è sicuramente la profondità, totalmente alterata, o forse sarebbe meglio dire riscoperta, nella pittura noventesca.
Quando diciamo che un oggetto è gigantesco o minuscolo, che è lontano o vicino, lo diciamo spesso senza ricorrere a un confronto, anche implicito, con un altro oggetto o con la grandezza e la posizione oggettiva del nostro proprio corpo, ma solo in rapporto a una certa "portata" dei nostri gesti, a una certa "presa" del corpo fenomenico sul suo mondo circostante. (Parte seconda - Capitolo II: lo spazio,pp.353-354)
Altra acquisizione importante: il limite della nostra esperienza percettiva. Uno potrebbe oggi stupirsi di un simile risultato, poiché potrebbe risultare alquanto banale, ma il primo Novecento, nonostante la crisi di certezze e di coscienza, prendeva comunque le mosse dall'ottimismo ottocentesco, lo stesso Husserl, da una parte è stato in costante dialogo con l'Idealismo, dall'altra criticava la pretesa del Positivismo di avere conoscenze certe, e lo stesso Merleau-Ponty, oltre a confrontarsi con la dialettica di Hegel, è soprattutto critico nei confronti delle pretese oggettive e assolute della scienza; lo stesso osservatore è un problema, il punto di vista non permette un'acquisizione completa del mondo bensì è sempre filtrata dalla nostra esperienza percettiva, ed è in questo che consiste la vera acquisizione del concetto di spazio: il nostro punto di vista deve sempre essere integrato con quello altrui. Mai come oggi abbiamo bisogno di sentirci dire che gli altri hanno importanza per noi. Ad un "cogito" come quello elaborato da Cartesio, il pensiero da cui deriva tutta la conoscenza, Merleau-Ponty ne elabora uno sottoposto a questo limite e investito dal carattere della temporalità, e quindi "in evoluzione" con lo stesso mondo che percepisce anche attraverso il pensiero.
Certamente, l'altro non esisterà mai per noi come noi stessi, è sempre un fratello minore, non assistiamo mai in lui come in noi alla pulsione della temporalizzazione. Ma due temporalità non si escludono come due coscienze: infatti ciascuna di esse non si conosce se non proiettandosi nel presente, nel quale può congiungersi con l'altra (Parte terza - Capitolo II: la temporalità,p.552)
Ecco come l'altro diventa importante per noi: ciascuno struttura e temporalizza a suo modo l'oggetto tra passato, presente e futuro, e il modo in cui esso lo temporalizza viene integrato al nostro, e sulla base di questo si costruisce ogni forma sociale e, soprattutto, ogni forma di libertà. Infatti, Merleau-Ponty chiude l'analisi con un bellissimo capitolo incentrato sul superamento del conflitto tra coscienze elaborato da Sartre: non nemici che si oggettivano l'uno con l'altro, non uomini che riducono ad oggetti altri uomini, bensì corpi che comunicano tra corpi ed esistono proprio grazie a questi, uomini liberi perché esseri in situazione nei confronti dell'altro e della vita.
Farò questa promessa? Rischierò la vita per così poco? Darò la mia libertà per salvare la libertà? Non c'è risposta teorica a tali domande. Ma ci sono cose che si presentano irrecusabili, c'è questa persona amata di fronte a te, ci sono questi uomini che esistono schiavi attorno a te, e la tua libertà non può volersi senza uscire dalla sua singolarità e senza volere la libertà. Sia che si tratti delle cose o delle situazioni storiche, la filosofia non ha altra funzione che quella di reinsegnarci a vederla bene, ed è giusto dire che essa si realizza distruggendosi come filosofia separata. Ma qui si deve tacere: infatti, solo l'eroe vive sino in fondo la sua relazione con gli uomini e con il suo mondo, ed è sconveniente che un altro parli in suo nome. (Parte terza - Capitolo III: la libertà,p.581)
Wittgenstein, con il suo "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere", sembra far eco a quest'ultima parte dell'opera di Merleau-Ponty: la sua filosofia non vuole dare risposte, la sua descrizione del corpo e del mondo percepito hanno valore per le ricerche e le analisi da lui condotte, ma non vogliono avere la pretesa di possedere la verità ultima dell'esistenza. E questa, infatti, deve essere taciuta, può solo essere vissuta in quel momento in cui l'uomo, finalmente, si riscopre nel suo primato percettivo e corporeo. Il problema della libertà è complesso ed irrisolto, e nemmeno il marxismo, a cui egli si era avvicinato già durante la stesura di questo testo, può garantirla (lo stesso Merleau-Ponty rivedrà successivamente la propria posizione, ma la sua adesione al marxismo è sempre stata irrequieta e non pienamente convinta).
Perché leggere questo testo, allora? Per ritrovare noi stessi sotto una nuova ottica: Merleau-Ponty, oltre che un validissimo e per fortuna oggi riscoperto e studiato filosofo, è soprattutto uno scrittore molto chiaro, lucido, attento, sempre alla ricerca della motivazione profonda o del dettaglio apparentemente insignificante. Tuttavia è un'opera complessa, da ammirare solo dopo un'acquisizione almeno del Razionalismo, dell'Empirismo e degli studi condotti dalla Fenomenologia e dalla Gestaltpsychologie, in quanto resta comunque la sua tesi di dottorato, per questo è densa di filosofia e di terminologia che possono scoraggiare i principianti. Consiglio una lettura delle
Conversazioni, sia prima di leggere questo testo, sia a lettura ultimata, poiché i vari testi, seppur brevi, si prestavano per essere letti alla radio, e quindi sono una via più accessibile ai punti focali del suo pensiero. Nonostante sia un testo consistente, vale tutto il tempo necessario a leggerlo e ad interiorizzarlo: Merleau-Ponty, nonostante la sua morte piuttosto prematura, ha lasciato testi di alto valore e di urgente attualità, quindi ritengo che sia fondamentale confrontarsi con la sua filosofia almeno una volta nella vita (nulla togliendo ad altri pilastri, ovviamente).
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N.B. Mi scuso se ho postato proprio la lunga recensione scritta per un sito, tuttavia per certi libri a cui tengo particolarmente mi sento in dovere di comunicare qui ben più del semplice "l'ho letto, mi è piaciuto perché e per come, e così via".
Un grazie, ovviamente a PkAvenger96 e ai suoi appunti