Questo è un altro bel numero de Gli Anni d’Oro di Topolino. Si comincia con il Terraplano, bella storia avventurosa, in cui Topolino è sballottato dagli eventi, e finisce al centro della terra. Walsh recupera idee dal Buffone del Re e dal Deserto del Nulla, presentando un mondo a parte piuttosto paradossale, costretto a lottare per trovare la propria ragione di esistere. Wing Ding è carino, anche se vagamente seccante.
Si continua con la storia più bella del numero (a mio parere). Nell’Orfanello Riformato, Topolino vive un’esperienza da “padre”, costretto a educare un ragazzo difficile, assoldato in una banda di baby criminali. Atmosfere inquietanti (ancora giocattoli come in Topolino contro Topolino), nemici psicopatici, un grande Tip, non piatto ma simpatico e vivace, il tutto avvolto in un’atmosfera di crudo realismo. Non si può non pensare al fenomeno reale della baby-criminalità, della delinquenza giovanile e delle situazioni di sociale degrado che serpeggiavano per l’America degli anni ’50 (e oltre, se pensiamo a film come Warriors). Bellissima storia, con finale lieto, e ottime atmosfere hard-boiled, frammiste ad un occhio sulla situazione giovanile.
Nella storia successiva, lo Zio in Ozio, non vado a ripetere le brillanti analisi di Paolo e di Boschi e Beccattini. I simboli della Grande America del passato appartengono ormai alla lega degli Esclusi, sono reietti che non hanno più un posto dove andare. Topolino li aiuta, ma più per pena e pietà, che non per vero senso di appartenenza. Poi li insegue nei quartieri abbandonati, li aiuta a costruire l’ospizio, ma sappiamo che si tratta solo di un’anticamera per la solitudine, e dell’istante in cui si viene dimenticati.
Nella storia successiva, l’ultima grande avventura di Gottfredson, il Cervello del Secolo, Topolino ha perso Pippo, ed è nel panico, disperato e terrorizzato. Quando lo ritrova come Dott. X, non riesce a credere al cambiamento, ma in qualche modo lo asseconda. Pippo poi rinsavisce, e tutto si risolve. Una bella storia, con un grande Pippo, con una superba, e divertente, scena con il grammofono, e altre brillanti invenzioni, fra cui la delicata Berenice, che ricorda la bella e buffa Lea. La storia chiude con una poetica e struggente vignetta, in cui Pippo e Topolino si salutano dolcemente. In effetti, forse è il vero commiato alle storie lunghe rispetto a Davy Crockett, e alle storie con Pippo. Noi dovremo attendere il 1930, o il numero 30 della collana, per avere altre epiche vicende.
Per gli articoli, interessante quello su Bruna, anche se è un po’ troppo affrettato, con le copertine tagliate e messe a casaccio, senza completismo, come al solito. Mi chiedo se non sia meglio che questi articoli vengano completati con delle appendici nei prossimi numeri in cui, grazie alle autoconclusive, c’è la possibilità di usare più spazio.