Che Aria Tira… (Ziche): tipicamente zichiana. Che è sinonimo di qualità.
Topolino e il Tocco di Fuoco (Panaro/Casty): la “via della redenzione” è lunga. La strada per Carlo Panaro è tutta in salita e riconquistare la verve creativa di un tempo, verve che ne faceva un artista eccellente, sembra restia a riapparire con facilità nelle sceneggiature di un autore che da tempo promette di riscattarsi dalle immonde brevi che avevano infangato il suo buon nome. Ma se Il Vortice del Tempo aveva deluso con la sua traballante consistenza, Il Tocco di Fuoco convince assai di più lasciando intravedere guizzi interessanti e facendo fiutare nell’aria un sempre maggiore riassestamento che si spera possa riportare in carreggiata il buon Carlo. Ad onor del vero la storia non è perfetta e anzi si svilisce parecchio nel finale: ma nei tre quarti di narrazione precedenti si fa seguire piacevolmente con una sceneggiatura fluida e rilassata, sobria e scorrevole e a tratti si fiuta una discreta atmosfera scarpiana in sottofondo che fa perdonare il finale scialbotto e deludente che fa scendere di parecchio il bilancio generale della storia pur non rendendola brutta. Non la si può dire bella, ma sicuramente valida e si apprezza il ritorno di Panaro nella dimensione che maggiormente gli si addice.
Ma c’è anche altro di cui parlare: Casty. Alla sua prima prova con testi altrui Casty risulta a dir poco superbo, con quel tratto definito ma con ancora buone possibilità di miglioramento che aveva illustrato la splendida Neve Spazzastoria. Compatto e deciso Castellan accresce il substrato scarpiano, dimostrando un’ottima sintonia con Panaro con cui d’altronde condivide non poche ispirazioni: non ci è dato sapere se i due abbiano lavorato influenzandosi a vicenda o meno, ma di certo questa coppi potrebbe fare scintille in futuro, se non sapessimo che Casty ha un’inclinazione principale come autore completo. Esperienze di questo tipo, comunque, gli sono estremamente congegnale per confrontarsi con altri artisti al fine di ampliare i propri limiti e migliorarsi anche non solo graficamente, ma prendendo spunto dagli stili narrativi altrui.
Universi Pa(pe)ralleli – Quarto Episodio (Vitaliano/Camboni): *gelo*. Lo spettro di Papere alla Deriva aleggiava sulle saghe brevi e questo ha depistato facendo pensare che non si ricommettesse più lo stesso errore. Sbagliato, invece. Non è che Vitaliano deluda, ma la saga è un pochino inconcludente e non la si può nemmeno considerare un divertissement perché una saga non lo può essere, al massimo una breve.
Apprezzabile la conclusione beffarda, ma l’interrogativo rimane: perché raccontare in quattro storie quello che può essere raccontato in una storia sola? Avrebbe certamente ovviato al senso di inconcludenza e il tutto sarebbe risultato maggiormente godibile.
Paperino e la Filastrocca Malaugurate (Faccini/Piras): Faccini è un genio. E’ un genio. Un genio beffardo, ironico su molteplici fronti, esplosivo nel suo travolgente surrealismo. Una breve comica e pazzarellona con tanto di citazioni più o meno fini (dalla filastrocca Tre Civette sul Comò al Mai più! del Corvo, palese riferimento a The Raven (1845) di Poe, già modello di Barks per Paperino e il Corvo Parlante). Insomma, un gioiello di sublime demenzialità surreale sminuito dai disegni di un Piras troppo voglioso di sperimentare.
Q-Blog – Duck School Musical (Ambrosio/D’Ippolito): il titolo truffaldino è davvero basso. La trama non sarebbe male se non fosse troppo ampollosa. Grande D’Ippolito.
Paperino, Paperoga e il Principe del Gossip (Ferraris): ancora Ferraris come autore completo. E ancora il suo stesso problema come autore completo: il soggetto, questa volta abusatissimo. La sua voglia di ampliare le sue competenze, comunque, mi garba tantissimo e fa un gran bene al clima del Nuovo Topo.
Zio Paperone e i Polli da Tartufoli (Cimino/Panaro) conclude il numero con una valida avventura rappresentata sbrigativamente da Ottavio Panaro.