La raffinatezza del tratto di
Stefano Turconi accompagna il lettore verso il finale dell’
Isola del Tesoro. Nessuna sorpresa, narrativamente parlando, per chi conosce l’opera originale, visto che la sceneggiatura di
Teresa Radice ha deciso giustamente di mantenersi fedele al testo di Stevenson, ma è un gran piacere vedere le modalità della trasposizione fumettata, nella quale emerge ancora di più il rapporto tra Jim e Silver, specie durante l’episodio in cui gli salva la vita difendendolo dai cruenti intenti degli altri pirati.
L’ambiguo carattere di Silver viene reso molto bene, cosa non facile visto il suo non essere né completamente buono né completamente cattivo. Gambadilegno, che negli anni è stato caratterizzato in entrambe le maniere, era l’interprete ideale, al di là del nome
per questo iconico personaggio.
Sempre buonissimo il Ben Goof, provvidenziale tanto nello svolgimento della trama quanto nella riuscita della parodia disneyana, dal momento che con il suo atteggiamento svagato e sulle nuvole risulta sempre simpaticissimo, lasciando poi meravigliati quando ci si accorge delle sue qualità nascoste e dei suoi assi nella manica. Uno spirito libero che appare naturale sia quando gli succedono cose buffe, sia quando è padrone della situazione... esattamente come il classico Pippo!
Sempre ottime le tavole, dove i personaggi si muovono con rara grazia ed eleganza e nelle quali gli sfondi dell’isola non sfigurerebbero come illustrazioni ad accompagnamento del romanzo. Jim Topkins e il suo ciuffetto e Ben Goof col il suo… ciuffone sono già entrati nel mio cuore!
La grande avventura termina dove era iniziata, alla locanda di Zia Topolinda, dove le onnipresenti didascalie di pensiero (che a me non dispiacciono affatto, visto che la mia testa è abituata a pensare così costantemente
ma che posso capire stanchino dopo un po') tirano le fila di quanto accaduto. Il lieto fine c’è per tutti i protagonisti e, a sorpresa, anche per
! Le critiche alla modalità con cui Teresa aveva scelto di toglierlo di mezzo si sciolgono come neve al sole di fronte all’ultima tavola, che dimostra come anche lui – personaggio spesso sottovalutato ma ottimo nell’economia del romanzo e in senso anche più ampio – abbia trovato il suo personale tesoro.
L’Isola del Tesoro si conferma così un’ottima trasposizione del libro di partenza, che letta tutta d’un fiato rende ancora meglio la bellezza dell’intreccio e che richiede a gran voce una versione in volume di pregio!
Il resto del numero offre cose buone e meno buone: tra queste ultime inserisco l’ennesima storia della PIA e
Il Lago dei Paperi. La prima non fa che seguire pedissequamente lo svolgimento tipico di questo filone, e il finale era prevedibile da circa metà racconto; i bei disegni di
Andrea Lucci la nobilitano, ma non basta per renderla interessante. La seconda mi ha un po’ annoiato, lo sviluppo non risulta molto chiaro e nemmeno il piano di Amelia pare costruito molto bene. Bellini i disegni di
Gatto, che danno un che di classico ad una sceneggiatura che non riesco bene ad inquadrare, ma che a fine lettura non mi ha lasciato soddisfatto.
La breve di Pippo tenta di recuperare la formula degli “
How to…” animati, intento lodevole e anche abbastanza riuscito: forse con un altro disegnatore il risultato sarebbe stato migliore, ma la formula mi pare vincente.
E poi c’è
Vito.
Zio Paperone e le frottole da un dollaro si concentra sui sentimenti del protagonista, incastrandolo in una situazione nella quale non può mentire, con la conseguenza che quando parla di Brigitta il lettore potrà capire istantaneamente la verità di quel che prova.
Un’ottima idea, anche perché l’autore sceglie volontariamente di trattarla con grande ironia: la stregoneria di cui è vittima era foriera di gag e battute, che vengono puntualmente messe in scena con effetti comici apprezzabili. La mia unica riserva è sulla natura stessa del sortilegio (se la bacchetta non può produrre denaro per Amelia, cosa cambia nella situazione di Paperone? Anche se in modo “indiretto”, materializza pur sempre soldi), e stando alla base della trama mi ha stonato un po’.
Menzione d’onore invece per aver finalmente dato una spiegazione ai due agenti che sorvegliano il Vesuvio, spesso visti nelle storie di Carl Barks e che si suppone continuino a lavorare lì, ma che dovrebbero avvertire lo Zione di attacchi della fattucchieria per la quale è spesso invece sorpreso. Renderli dei lavativi che incassano lo stipendio ma poi si fanno gli affari loro giustifica la cosa e fa ridere. In misura minore, ma sulla stessa falsariga, è anche l’ultima vignetta in cui Battista scrive sui cartelli della collina. Tocchi di stile che giocano su quello che è sempre presente e quindi mai indagato perché dato per acquisito, ma sui cui risulta invece intelligente e simpatico riflettere e giocare, con leggerezza ma acume.
Alessandro Perina fa un ottimo lavoro, dotando i personaggi di grande dinamismo e contribuendo al giusto ritmo del racconto. Splendide certe espressioni di Paperone e bellissima la sua Amelia.