Topo #3112: ben due storie di rilievo, ellallà!
La storia di Bruno Enna ha infatti ingranato, ormai, e prosegue nel suo terzo episodio sul già buon percorso visto nella puntata precedente. La stessa voglia di giocare con alcuni elementi tipici delle storie di Paperi presente nell’avventura nel passato torna anche stavolta, tra un museo delle cere che raffigura Rockerduck mangiarsi la bombetta e Paperone sguazzare nell’oro (con la godibile citazione barksiana del pesce baleno etc.) e un Paperinik-robot che imbraccia lo scudo ex transformer; il tutto non va a discapito della trama, che un attimo prima di diventare troppo ripetitiva come meccanismo sterza bruscamente inserendo alcuni elementi differenti, fino all’ultima tavola. Ormai ho piena fiducia nel fatto che questa avventura sia una gran bella prova di Enna, al netto dei miei dubbi di due settimane fa, una storia strana ma assolutamente godibile e, sono certo, il prossimo episodio toglierà anche gli ultimi dubbi sulla premessa.
Soldati alle matite è molto meno convincente dei due artisti che l’hanno preceduto: non se la cava male, ma mi viene spontaneo pensare che forse sarebbe stato più sensato fargli disegnare il secondo episodio riservando questo – futuristico – a De Lorenzi. Vabbè.
Poi c’è Pippo Reporter. Inchini, solo inchini. Credo che questa Estate a Green Pond sia uno dei migliori episodi di tutta la serie, e anche una delle storie che più mi ha colpito tra tutte quelle della coppia Radice/Turconi.
Pippo è ben presente, ed è come sempre lui al 100%: svagato, eccentrico, filosofo a modo suo, di buon cuore e sensibile. Ma stavolta non è lui al centro dell’attenzione, bensì i personaggi secondari con cui interagisce durante il suo soggiorno estivo in campagna. Teresa descrive con grande cura questi contadini, in particolar modo Candy: tutti sono convincenti e realistici, ma la giovane donna ha una marcia in più, come se la sceneggiatrice ci avesse messo un pezzetto di sé. È un personaggio splendido che mi resterà nel cuore per molto tempo, credo, e non mi succedeva una cosa del genere per un comprimario dai tempi dei Racconti Attorno al Fuoco.
Come se non bastasse, Teresa inserisce nella storia le poesie, tante poesie, a testimoniare il suo grande amore per la letteratura e per il romanticismo di certi versi; parla di sabotaggi per costringere persone a vendere la propria terra a chi la vuole sfruttare per il proprio guadagno, e lo fa con nonchalance riuscendo a mostrare comunque la grettezza di queste azioni.
Non ultimo, viene trattato il tema dell’infanzia, di quella dolce nostalgia collegata a quegli anni allegri e vivaci, senza problemi, che spesso sono collegati ai luoghi di villeggiatura estiva, lontano dalla città. E sempre, sempre quell’amore per una narrazione dolce e poetica, con cui riuscire a delineare questi sentimenti. Un tipo di scrittura in grado, a sorpresa, di mostrare un lato inaspettato di Macchia Nera/Blackspot senza risultare banale e senza svilire il personaggio.
Stefano, dal canto suo, riveste come sempre un ruolo importante in tutto ciò e si connota come l’unico prolungamento possibile per questo tipo di storie: il modo in cui disegna i personaggi secondari, le ambientazioni campagnole, le emozioni sui volti e, ovviamente, il suo magnifico Pippo comunicano al lettore nel modo migliore quello che voleva trasmettere Teresa.
Si tratta di una storia preziosa, un dono raro, da custodire gelosamente e da rileggere col cuore in mano.
Per quanto riguarda il resto, la breve di Pisapia è dimenticabile a causa di una gag vista in infinite varianti, quella su Dinamite Bla a contatto coi social l'ho trovata un po' tirata per i capelli, e infine l'avventura di Panaro si fa leggere, ma anche dimenticare in fretta con un impianto alla Scooby-Doo che fortunatamente si risolve in modo meno banale ma che comunque non rende molto interessante la trama.