Ma quindi... non è una leggenda! Alle, il "Vicepresidente fantasma", esiste veramente! Tanto piacere di leggerti
Allora, mi permetto pur io di fare qualche considerazione organica. La produzione parodistica disneyana è molto eterogenea e lo sappiamo. Guido Martina, il creatore del genere, le concepiva come azioni dei personaggi canonici (che naturalmente seguivano il
suo personalissimo - e godibilissimo - canone) che si ritrovano a seguire le movenze di una certa opera letteraria, sempre in maniera per così dire "spontanea". Un espediente che, benché meno "scenico" (e meno ingigantibile via marketing), trovo molto interessante, e che nei suoi esiti migliori (Inferno, Paperineide, etc.) raggiunge vette di "mimesi indipendente" con l'originale che fanno davvero stupire (proprio per la maniera con cui ci sono arrivate). Più in là "Buck alias Pluto e il richiamo della foresta" si inserirà invece (sempre con combiamenti) nel filone della parodia "progettuale", per così esprimersi.
Ora, il punto è che non si passa da Martina ad Enna in un batter di ciglia. In mezzo c'è Carlo Chendi. È lui, con Luciano Bottaro, e poco dopo Giangiacomo Dalmasso, a scrivere le prime parodie nel senso che oggi conosciamo meglio, e i risultati sono di
assoluta potenza comica.
Paperin furioso e
Il dottor Paperus su tutte.
Daccapo, i canoni sono quelli chendiani (personalissimi e godibilissimi anch'essi): i personaggi sono pensosi, bizzarri, vendicativi, spesso sorridenti in quella maniera "alla Bottaro" che dona tanta pulizia al tutto. Né del resto le parodie chendiane sono sempre disgiunte dal presente.
La parodia "pura", cioè quella del tipo
Ratkyll, ha un grave pericolo da cui guardarsi: la prevedibilità. Ecco quindi la differenza tra storie (pur valide) come
Compagnia filodrammatica dei paperi: Il fantasma di Canterville (Sisti/Marini), che a mio umile parere si basa troppo sulla storia sottostante che, per dire, uno potrebbe leggere con qualche cambiamento nell'originale, e a parte questo non dice molto di interessante che faccia superare il grado di "simpatica lettura"; e il citato
Ratkyll, che smonta e rimonta dall'interno il racconto di Stevenson per creare qualcosa di nuovo, divertente e intrigante.
Certo a questo punto arriviamo al secondo pericolo di una parodia pura: lo snaturamento dei personaggi. Pippo così attivo, vi sembra possibile? Topolino così... Jekyll, vi sembra possibile? No e sì. Mi spiego: di Pippo qui si prende solo la grande amicizia verso Topolino e la grande "chiarezza d'animo" che gli permette di andare in fondo alla faccenda. Tutto il resto non è Pippo. Forse Orazio sarebbe stato più indicato? Forse. Ma è su Topolino che voglio concentrarmi: il meccanismo messo in atto da Enna, per come l'ho interpretato io dalla prima lettura, va a lavorare su una dualità che
nel mondo disneyano canonico è esterna al personaggio: la rivalità, prima diretta -nei cartoni- e poi indiretta (nell'immaginario e nei gusti collettivi) con Paperino. E non solo la rivalità, ma i due diversi approcci alla vita e ai rapporti umani (ho detto umani?) che i due personaggi rappresentano. Ecco, in
Ratkyll tale dualità diviene
interna. Un trucco a mio parere geniale per, come ho detto, smontare e rimontare dall'interno la materia originale con gli strumenti della disneyanità; o forse, ciò che mi intriga tantissimo pensare, il viceversa...
Mi sono soffermato su
Ratkyll per spiegare in che senso, a mio parere, può ancora aver senso trasformare così tanto i personaggi; ciò ancora a prescindere dall'
input commerciale che attribuirei più che ad Enna in fase di scrittura, alla redazione in fase di accettazione e poi lancio.
Ecco però che nel momento in cui manca un'intuizione, una cura del progetto così meticolosa e responsabile come quella di Enna il pericolo si fa forte, e a questo punto (e un esempio, non estremo comunque, - e non me ne voglia Sisti è proprio quel
Fantasma di Canterville) si ha qualcosa che non è né carne né pesce: i personaggi non sono più tanto loro e non hanno motivo per non esserlo. Ed è quindi in questo senso che invito a non bollare il pensiero di Special Mongo come eretico con galoppanti retrospettive celebrative. Il pericolo esiste, ma va saputo inquadrare. E parlo dal punto di vista artistico, perché da quello commerciale credo che le sue osservazioni non trovino grandi proteste.
Voglio concludere come si è cominciato: con Tito Faraci. Autore mai completamente inquadrato e inquadrabile, forse, che ha dato tanto, più di quanto si pensi, a Topolino; e mi si lasci dire che quel "tanto" è soprattutto in termini di genuine risate, oltre che di Gambadilegni ripensati. Con il tempo la "genuinità" si è un pochetto appannata, forse (porterò un esempio fra un attimo), ma ecco, proprio questa storia come ho già avuto occasione di dire me l'ha restituita. Un po' come se Faraci, a contatto anche con Silvia Ziche, avesse tratto ancora una volta la grande lezione di Goscinny: la risata migliore non è quella superiore, sarcastica, annoiata, che nell'attuale concezione del fumetto popolare è un po' quella che ti fa brillare. Mi direte: beh, ma anche in questa storia di battutine ce ne sono. Sì, ma personalmente le respiro diverse, più frizzanti, meno acide, meno da "Topolino guarda annoiato il lettore" (avete notato? succede appena una volta, e non a seguito di una battuta). Insomma, l'unico residuo del Faraci stanco lo respiro quando Topolino dice: "Sei riuscito a seguirci! - PIPPO: Beh, non era difficile! - Ero ironico... "; per il resto ironia, sì, ma a dosi corrette.
Ma non era su questo che volevo soffermarmi: volevo ricordare che recentemente (2013) lo stesso Tito Faraci ha scritto una parodia "alla Martina":
Topolino e Gambadilegno in: la lunga fuga è ambientata nel presente e, con il viatico delle rappresentazioni teatrali, richiama a colpi di campanello l'
Odissea. Ci sono molti punti buoni in questo lavoro, soprattutto nella costruzione del soggetto, e trovo che in questo senso sia una storia sottovalutata. Ma ecco, è qui che vedo un po' il Faraci "stanco", in battute come (parla Topolino) "Gambadilegno, fatti un enorme favore: taci!". Un esempio di quel tipo di battuta ridondante, sgradita, non topolinesca (nel senso del personaggio), "stanca" appunto.
Altrove, in una storia assai apprezzabile, Sio fa dire a Paperone "Quo! Il bestio! L'orrida visione!" e Quo risponde, come non capendo (se ho interpretato male mi scuso umilmente): "Cosa?" Cosa? Stiamo scherzando? Lo so qual era l'intento, Simone, ma non funziona.
Ecco quindi che la multiforme questione dello "stiracchiamento" dei personaggi è assai delicata: il pericolo dello snaturamento (che è "pericolo", nella mia visione, in quanto rischia in prospettiva una deriva verso un determinato e parziale tipo di comicità; non perché sgarra dal canone barksiano/martiniano/ciminiano etc.) non è necessariamente legato all'avvincere i personaggi a ruoli eterodossi; una grande idea può ricucire il tutto e dare qualcosa in più a tutto, dando un senso potentissimo all'operazione, come a parer mio in Ratkyll; e dall'altra parte piccoli dettagli in storie canoniche possono creare quei piccoli smottamenti che danno, alla lettura, quel gusto non interamente dolce, straniato ma non costruttivamente.
Quo dicto, me ne torno bel bello a scrivere la tesi...