Recensione Grandi Autori 93 - Topolino Metal Edition: Sio La
Metal Edition dedicata a
Simone Albrigi riporta in copertina (subito sotto
una splendida composizione di Stefano Intini) la dicitura
Le storie più divertenti di Sio, ma avrebbe potuto esserci scritto anche, e più precisamente,
“Tutte le storie Disney edite di Sio tranne una di quattro pagine, ché non ci bastava lo spazio”. Forse l’autore avrebbe apprezzato, essendo in un certo senso nelle sue corde.
E forse
i problemi di questo volume cominciano proprio da qui: dallo stile.
La questione se esista o meno
un qualcosa che potremmo chiamare “stile disneyano” è spaventosamente complessa, forse impossibile da dirimere.
Nei suoi novant’anni di vita, l’incarnazione cartacea dell’immaginario più importante al mondo ha attraversato epoche e paesi, sapendo modificarsi per andare incontro a sensibilità autoriali e mutate istanze estetiche, ideologiche e semantiche.
Dalle strisce sindacate al nostro
Topolino, passando per
Le Journal de Mickey, le innumerevoli testate Egmont e le pubblicazioni di Editora Abril,
il fumetto Disney, mutageno e al tempo stesso riconoscibile, si è trasformato senza mai perdere il proprio nucleo identitario, contaminandosi con tutto, contaminando tutto.
Ritroviamo un certo afflato Disney in opere apparentemente lontane nel tempo e nello spazio come la saga di Harry Potter o le prime opere di Osamu Tezuka. Ritroviamo molto dello stile
cartoon americano e orientale in molti prodotti disneyani.
L’albetto speciale dedicato a Sio in occasione del suo debutto su Topolino
Forse nessuno è in grado di rispondere alla domanda
“cos’è (o cosa non è) il fumetto Disney?”. Forse non ce n’è bisogno, ed è invece qualcosa che si deve avvertire con l’epidermide più che con gli strumenti della critica. Quando ho letto la prima storia targata Disney di
Sio, fumettista e
youtuber, ho pensato:
«C’è qualcosa che non funziona».
Cosa, di preciso, non saprei dirlo. C’è un che di eccentrico nella sua maniera di usare i personaggi che conosciamo, nel mettere in scena i loro rapporti; come una cisti, un corpo estraneo, qualcosa che c’è ma non dovrebbe essere lì. Fuori posto.
“Non disneyano” non è un giudizio di valore: i miei fumetti preferiti sono quanto di più distante potrebbe esserci dai personaggi e dalle atmosfere creati a Hollywood dal 1928 in poi. Eppure,
c’è un che di stridente nelle avventure raccolte in questo volume, ufficialmente
Grandi Autori 93, di fatto il terzo della nuova serie
Special dedicata agli sceneggiatori umoristici. Spesso a cominciare da dettagli apparentemente minori, come i titoli scelti o i nomi dei personaggi secondari.
Nella prima avventura proposta,
Super Pippo e il fraintendibile suono vocalico, troviamo il più scombiccherato supereroe Disney alle prese con una serie di equivoci e situazioni farsesche. In sé non ci sarebbe nulla di strano: fedele alla propria indole,
Super Pippo è sempre apparso come un personaggio outré e demenziale.
Ma vedere Pippo annaffiare annaffiatoi come uno schizofrenico e imbatterci in bambini chiamati Roborbio e Brosdocimo ci precipita immediatamente nell’immaginario di Sio, con il risultato di
una commistione stilistica poco riuscita, e a poco valgono i meravigliosi disegni di Intini.
Il leggendario intuito di Topolino
La situazione precipita nelle successive brevi
Zio Paperone e non mi ricordo più come finiva il titolo (per i disegni di
Silvia Ziche) e
Topolino e l’inseguimento a incastro (disegnata da un
Corrado Mastantuono più espressivo che mai), nelle quali
tutti i personaggi, principali e secondari, appaiono come dei perfetti imbecilli – con l’aggravante, per quanto riguarda la prima, di essere sostanzialmente derivativa nei confronti di
Zio Paperone e la stella del Polo di
Carl Barks, seppure con esiti diversi.
Dopo questo inizio non esaltante, il fumettista veronese si è dedicato alla scrittura di alcune storie avventurose.
Zio Paperone e la monetona nella terra dei Talpuri presenta qualche elemento interessante, al netto di molte lungaggini.
Altra prova notevole di Intini, molto a proprio agio nella recitazione dei personaggi; da rimarcare
la presenza di Paperina – al posto del consueto nipotastro – e di Cuordipietra Famedoro, all’epoca non ancora inflazionato come oggi.
Tuttavia,
anche qui Sio non rinuncia alla demenzialità, come nella gag ricorrente sui nomi dei nipotini, nell’insostenibile tormentone sui cellulari, nell’acrostico Pdtctdsgamisladn o in alcuni passaggi inspiegabili (la superforza di Paperina). Si fanno notare, anche per la goffaggine con cui sono portate allo scoperto, alcune citazioni barksiane e donrosiane, poco utili ai fini della trama.
Qualcosa di totalmente inaspettato Si torna alle brevi umoristiche con
Pippo e la pentacicletta illustrata da
Luca Usai, quasi classica nella propria impostazione, mentre la successiva
Topolino e la spada di ghiacciolo con
Silvia Ziche rappresenta
una delle operazioni più incomprensibili e detestabili nella mia esperienza di lettore Disney: un seguito-parodia del celebrato capolavoro
Topolino e la spada di ghiaccio del 1982, tra gag viste e riviste e una generale mancanza di ispirazione, che ha fra i propri pochi pregi quello di non aver, almeno, coinvolto Massimo De Vita ai disegni.
La successiva storia, senza dubbio
la migliore del volume se non dell’intera carriera di Albrigi, vede protagonista Nonna Papera in
una curiosa parodia. L’opera di primo grado è riconoscibilmente
la serie TV Breaking Bad di Vince Gilligan, di cui richiama in parte la parabola shakespeariana con Elvira Coot al posto del professore di chimica Walter White.
Le citazioni sono molteplici, e vanno dalla presenza del colore blu al camper-cucina, per finire con
il titolo originale della storia (Baking Bread), poi sostituito con il definitivo
Nonna Papera in Operazione Bluguette.
La nonna che nessuno si aspettava di leggere
L’elemento di maggiore interesse è rappresentato dalla scalata al successo di Nonna Papera, che si conclude con il suo prevedibile ravvedimento, sebbene ci troviamo di fronte a
un problema di sceneggiatura noto come “gioco di prestigio”: la redenzione della protagonista avviene senza che sia chiaro al lettore cosa abbia portato alla sua crisi di coscienza; la demenziale e innecessaria sottotrama di Ciccio alle prese con il docufilm di Paperetta è una violazione del principio di conservazione del dettaglio, secondo cui ogni elemento di una storia deve essere inserito all’interno della stessa in modo da occuparvi uno spazio che abbia senso.
La storia guadagna molti punti in più grazie alla
splendida prova del disegnatore Nicola Tosolini.
Della successiva,
Molti personaggi in: La scatola misteriosa nel luogo misteriosissimo, basterà dire che si tratta di
una sequela di gag portata avanti per otto episodi. La storia, priva di una vera e propria trama, presenta qualche somiglianza con un episodio di
Futurama mentre
il tono generale vuole ricordare le grandi saghe di Silvia Ziche.
Tra pinguini e dinosauri, improbabili alleanze e
l’inspiegabile abbassamento del QI di tutti i personaggi (soprattutto Paperino e Minni), nonostante qualche singola situazione possa strappare un sorriso, questa storia presenta quale unico indubbio pregio la parte grafica, curata da
Nico Picone e il solito Intini, ed è più di quanto si possa dire di
Archimede e la macchina aggiustatutto, una breve che non riesce a trovare redenzione neppure tramite i buoni disegni di
Emanuele Virzì.
Cosa diavolo sta succedendo?
In un tragico attimo di consapevolezza,
l’autore ci parla dell’importanza della ridondanza nella storia in tre parti
Gambadilegno e la rapina abbastanza remunerativa ma non troppo, nelle cui trenta pagine effettivamente non accade nulla.
Qui,
il tentativo di evocare il riso nel lettore si regge su una serie di gag fisiche e piani complicatissimi; molto ritmata è anche l’altra storia con protagonista il vecchio Pietro,
Gambadilegno e Trudy in: La giornata della cactacea; nella prima i disegni di
Emmanuele Baccinelli sono ancora un po’ acerbi, mentre nella successiva discreta è la prova di
Andrea Malgeri.
Parlando di disegni ci si può solo inchinare al lavoro di
Massimo De Vita, coinvolto nella realizzazione di una simpatica avventura “fra cugini” con protagonisti Pippo e Indiana,
Indiana Pipps e la leggenda di Uentshukumishiteu.
Dimenticandosi dell’impronunciabile titolo (anche se la storia non ci permette
mai di dimenticarlo) e dei numerosi tormentoni a base di pizze e gazze
la sceneggiatura scorre abbastanza piacevolmente: i protagonisti non sono del tutto fuori parte e la dinamica fra i due pippidi appare alquanto divertente. Tutto il buono viene però nullificato dal velocissimo finale, con tanto di
diabolus ex machina rappresentato dalla
villain Kanissim.
Chiude l’albo l’insipida e confusa
Paperino e il fortunato ritrovamento di un milione di dollari in spiaggia,
trionfo del nonsense appesantito dai disegni di un
Andrea Lucci fuori fuoco.
Una pizza leggera La lettura di questa “quasi omnia” di Sio è stata, per il sottoscritto, affaticante al punto da aver bisogno di frammentarla in più giorni. Ridere, direi che ho riso poco. Forse per nulla. Il grosso problema alla base dell’opera disneyana di Albrigi è nell’
impossibilità di mettere in campo un filtro trasformativo che gli permettesse di mediare fra il proprio stile autoriale e quello richiesto sulle pagine di Topolino.
Molto spesso i personaggi da lui mossi sembrano affetti da gravi turbe cognitive,
avendo in comune con gli eroi del nostro settimanale preferito solo le fattezze, mirabilmente rese da alcuni dei migliori disegnatori umoristici della storia di
Topolino.
L’impressione finale è di un semplice travestimento grafico dei fumetti-meme di Sio che possiamo trovare su Instagram: la bravura di grandi sceneggiatori umoristici come Enrico Faccini, Francesco Artibani e Tito Faraci sta nell’aver portato la propria cifra autoriale all’interno del fumetto Disney senza snaturarne lo spirito, bensì aggiungendo la freschezza della propria visione a una formula riconoscibile.
È questa una operazione difficile, e decisamente
non alla portata di tutti.
Voto del recensore:
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