Avvertenza: volevo aprire questa discussione nella sezione "Zio Paperone", ma vedo che non permette l'apertura di nuovi topic.
Per ora la posto qui, poi magari un moderatore (se può, spero di sì) può inserirla nella sezione giusta.
Grazie, Malachia!
Spero che non dia fastidio questo mio tentativo di riprendere un discorso su un giornale chiuso, ma volevo esprimere delle considerazioni su quella che a lungo è stata la mia testata preferita.
La testata che mi ha cresciuto. Che mi ha fatto avvicinare al mondo degli autori e delle storie in maniera seria. Quella che mi faceva aspettare con ansia il mese successivo perché ne divoravo ogni numero in un'ora.
La testata che mi faceva gioire pure della rubrica della posta, dove incappavo in lettere di veri appassionati con domande curiose e pertinenti, lontane anni luce dal modello "potete dire a Tippy che lo saluto e che Paperoga è un mito?". La testata che mi ha dato Carl Barks, Don Rosa, gli interessantissimi focus su "Gli altri Paperoni" (che precedevano un sacco di belle storie, da Tony Strobl a Bradbury).
Ma poi cosa è successo?
Zio Paperone è stato sempre pensato come un giornale per collezionisti ed intenditori, ma non nego che la piega "filologista" presa da qualche tempo aveva cominciato, più che a deludermi, a dispiacermi.
So che ci sono e c'erano molte persone contente della pubblicazione di storie rare e di focus su Mowgli, Lilli e il Vagabondo, Chicken Little e via dicendo, ma io non ero uno di quelli.
Ho sempre pensato, nella maniera più pura e palese possibile, che una testata chiamata
Zio Paperone, con la scrittina a inizio giornale "Carl Barks e i suoi eredi" avrebbe dovuto ospitare storie del papero più ricco del mondo che più si avvicinassero allo spirito barksiano, o che almeno avessero in qualche modo contribuito all'epopea paperoniana.
Le decine di storielle rare per intenditori del settore - con i relativi e ben fatti approfondimenti - e la mancanza di avventure di Rodolfo Cimino (che penso sia il miglior erede barksiano qui in Italia, anche più del sempre osannato Maestro Scarpa), di Guido Martina, dei fratelli Barosso e via dicendo, mi avevano fatto perdere l'interesse e l'amore (perché, più che acquistarlo per collezionarlo, compravo
Zio Paperone per la gioia di avere tutti i numeri di una testata dedicata al mio personaggio Disney preferito) che avevo dedicato a questa splendida rivista da quando avevo circa 8 anni.
Ogni mese speravo di trovare una sorpresa differente, di avere un numero totalmente ripiegato su belle storie di Paperone e Paperino, ma nulla. Ogni volta era sempre più "filologico" e mirato a un pubblico quasi di nicchia, e mi veniva da pensare che se il buon Luca Boschi dedicasse così tanta passione e competenza per scrivere articoli su Buci o sulle Tre Fatine Buone, chissà che faville avrebbe fatto confezionandoci, chessò, l'articolo di presentazione per "Zio Paperone e l'elmo del comando". Certo, il numero 163 al suo interno aveva "Zio Paperone soldato di ventura" e un bell'articolo dedicato al Maestro Rodolfo (così come vi è stata qualche occasione martiniana), ma avrei gradito di più una presenza costante che non un ruolo da guest star.
Ma il vero "punto del non ritorno", il numero che davvero mi fece capire che lo
Zio Paperone che amavo e che aspettavo con ansia di comprare non esisteva più, fu il 192.
Il piatto forte del numero erano i Gremlins. Poi c'era Ciccio e le Giovani Marmotte. Ricordo che fu allora che capii come il giornale non avesse più nulla da dirmi. Fu allora che mi sentii esattamente come lo Zione dell'immagine qui sopra.
Romano Scarpa fu la novità più bella e intelligente per un giornale che sembrava avesse ormai poco da dire, ma al contempo mi rammarico di non aver mai visto un numero di
Zio Paperone dedicato ai "Ki-Kongi", o a 'L'elmo del comando", o alla "Febbre dell'oro", e via dicendo (volendoci limitare solo a Rodolfo).
Perfino i "Racconti attorno al fuoco" avrei trovato più pertinenti e inclini ai miei gusti e allo spirito della testata, che non una poco convincente storia Egmont o l'orso Onofrio.
Certo, il pubblico degli intenditori e dei filologi, dei ricercatori di storie rare con approfondimenti critici non andrebbe ignorato, ma mi chiedo: era davvero
Zio Paperone la testata adatta a questo pubblico? Fu davvero una buona mossa ignorare Maestri paperoniani del calibro di Rodolfo Cimino o Guido Martina, Luciano Bottaro o il grande Giorgio Pezzin, per lasciar spazio alla più dimenticabile produzione straniera e alle storie misconosciute?
Gradirei sentire delle opinioni.