Finalmente ho trovato il tempo di leggere quest'albo con la calma che merita, ma prima di passare qui a scrivere due parole ho ritenuto opportuno iniziare con la recensione di Dominatore, che ho trovato davvero ottima per sintesi e capacità analitica. Complimenti!
A questo punto si suppone che dovrei aggiungere qualcosa, anche se è arduo riuscire a trovare argomenti o considerazioni non trattate già nell'ambito della recensione o nei commenti precedenti...
Posso dire che, a livello personale, questo personaggio ed il suo ciclo di storie sono state una vera scoperta, senza dubbio piacevole. Conoscevo, come dissi, solo la storia d'apertura, che ritenevo un unicum, una delle tante vicende in costume che vedono protagonisti imprecisati avi di Paperino e dove, a ben vedere, spesso non si tratta d'altro se non d'una recita degli odierni personaggi calati nell'ambito di una ambientazione storica più o meno recente.
Niente di più sbagliato, perchè la saga di MacPaperin è molto di più!
Se dopo la prima storia il tratto grafico si evolve verso uno stile più pulito (peraltro lo stesso Rota specifica che proprio per la prima scelse di adottare quel particolare tratteggio), già dall'inizio si avverte il microcosmo creato ad hoc per queste vicende.
Personalmente trovo molto evidente l'ispirazione ad Asterix, dal Piccolo Krack (Obelix) ai Vichinghi (che reggono la parte dei Romani) passando per alcune citazioni particolarmente chiare: l'effetto, certamente voluto dall'autore, risulta efficace e ben equilibrato perchè non ci si è limitati a scimmiottare attingendo in maniera massiccia, ma si è optato per una influenza certo presente ma "leggera", che dunque non toglie spazio ad altri tratti più originali e specifici.
Mi riferisco alla particolare caratterizzazione del protagonista: egli è certamente il Paperino che conosciamo, ma al tempo stesso se ne discosta parzialmente, il che lo rende non un mero "attore" bensì un personaggio perfettamente integrato nella narrazione.
A far da comprimari troviamo gli altri caledoni che costituiscono lo sparuto corpo di guardia del Castello di Malcot, nessuno dei quali ha però ricevuto un'attenzione particolare, con l'eccezione del piccoletto che impugna spesso una sorta di mazza ferrata, il quale costituisce una via di mezzo tra i ben delineati protagonisti ed i fumosi, dunque fungibili, comprimari.
Lo stile della narrazione è prettamente ironico, ma declinato con intelligenza e rifuggendo da ogni deriva demenziale, senza tuttavia dimenticare un certo fine didascalico che emerge da singoli particolari ed informazioni storiche disseminati fra le tavole.
Concludendo, si tratta di una serie di storie fra le più meritevoli di essere riproposte e fatte conoscere, ma a nobilitare l'albo concorre soprattutto il fatto che - una volta tanto - queste siano compete e corredate da buoni contenuti extra. A mio avviso, dunque, questo decimo numero si colloca facilmente sull'ipotetico podio della testata.