Personalmente sono uscito dalla sala piuttosto deluso. Non avevo grandi aspettative, visto che il battage pubblicitario era incentrato su ammiccamenti con i vari loghi presenti e sulle principesse, ed effettivamente non c’è molto altro oltre a quanto mostrato nei trailer.
Certo, la morale che esplode alla fine ed è presente sottotraccia anche prima non è male, perché meno ovvia di quanto ci si potrebbe aspettare, ma viene trattata seriamente appunto solo durante il climax che, per quanto ben scritto, non riesce a incidere davvero all’interno dell’intreccio complessivo della pellicola, che altro non è se non… un lunga camminata in mezzo a internet, con tutte le citazioni e i riferimenti reali del caso e varie battutine, di cui solo poche ho trovato effettivamente divertenti e/o ben tradotte.
Visivamente il lavoro fatto sull’ambientazione digitale non è male: trovate come gli omini molesti a personificare i pop-up pubblicitari o il secchione del completamento automatico da barra di ricerca sono buone e denotano la fantasia propria degli autori che ci stanno dietro, ma il focus non è mai su quello e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi su altro, cioè su quante cose riconosce dalla sua esperienza e quanto può riderci sopra.
L’ormai celebre scena delle principesse, che resti negli annali o no, non mi ha detto granché. Forse averla già vista più volte nei trailer me l’ha depotenziata, ma nel complesso è una parentesi completamente gratuita, slegata da tutto il resto
(certo, poi ritornano nel finale per dare una mano, ma l’ho trovata una mossa forzosa fatta apposta per renderle meno inutili come comparsate)
e solo a tratti divertente. Nel complesso, tutta la parte di
Oh my Disney è piuttosto fastidiosa, un’autocelebrazione anche un filino arrogante in cui lo Studio ne approfitta per infilare qualunque tipo di brand possieda, da Pixar a Marvel passando per
Star Wars. Bah.
Decisamente meglio, dal punto di vista registico ed estetico, la parte ambientata nel gioco di corse online
Slaughter Race. Le scene d’azione sono coinvolgenti, l’inseguimento in auto è spettacolare e la macchina da presa si esalta nel seguire le evoluzioni dei veicoli. Ma in particolare Shade, la tipa tosta al centro del
game, viene graziata da un
character design di altissimo livello: osservate il volto, nel quale gli animatori hanno profuso grandi sforzi per ricreare il feeling da disegno a mano come già in altre occasioni (la zia di Hiro in
Big Hero 6, Moana in
Oceania), ma anche il resto del corpo, i movimenti… il personaggio nel complesso è ottimo, e anche come carattere ci siamo, è interessante e sfaccettata.
Per il resto l’animazione è al solito livello di eccellenza, come sempre quando si parla dei Walt Disney Animation Studios. Ma c’è un ma, ora. Perché abbiamo avuto quasi in contemporanea
Spider-Man: Into the spider-verse, e questo cambia le regole del gioco. Perché per quanto avanzata, allo stato dell’arte e con qualche finezza ricercata come la sopracitata Shade, l’animazione in CGI esteticamente ha sempre qualche semplicizzazione e standardizzazione di troppo nella resa dei personaggi e degli sfondi. Non si tratta di una pecca “tecnica”, quindi, ormai sempre più rare di anno in anno, quanto di apparenza. Che mi rappresenta un bambolone come Ralph, a livello di design? O i pupazzettini buffi di contorno? O anche l’ambientazione internettiana che, per quanto buona, non viene superata in fascino dalla resa di New York nel film Sony? In Disney (e in buona parte anche in Pixar), non trovo più, da un paio d’anni a questa parte, quella spinta verso la sperimentazione grafica che ha sempre contraddistinto i due studi. I WDAS avevano provato a fare qualcosa di interessante con il cortometraggio
Paperman, salvo poi abbandonare quella strada, e ora cercano di preservare quello spirito con alcuni accorgimenti su personaggi secondari, ma di base i guizzi, le peculiarità e le evoluzioni estetiche dell’era del disegno animato a mano non si vedono più, grazie a software sempre più potenti e perfetti. Certo, il disegno inizialmente, in fase di studio, è ancora tradizionale, ma spesso (non sempre, a onor del vero) nel passaggio alla
computer graphic perde slancio e peculiarità.
E stiamo comunque parlando dei due studi di animazione migliori sulla piazza, con netto distacco da tutti gli altri in quanto a qualità. Eppure… eppure la pellicola del nuovo
Spider-Man ha dimostrato che un’altra via è comunque possibile, per differenziare le cose.
Qualcosina in realtà sembra si stia muovendo anche altrove, ma sempre nelle realtà piccole e commercialmente non rilevanti. Alla massa arriva quasi sempre solo ques’estetica standardizzata, eredità della Pixar in gran parte. In tal senso attendo con curiosità di vedere come saranno i film animati prodotti da Netflix, in arrivo dalla seconda metà di quest’anno.
Insomma… l’animazione
disneyana ha storicamente puntato sempre avanti, ma seppur tecnicamente continui a farlo per il resto vedo un po’ di adagiamento sugli allori. E questo, insieme a una storia risibile e poco interessante, ha fatto sì che
Ralph Spacca Internet sia uno dei pochi film del Canone a non avermi trasmesso quasi nulla, se non pochi sprazzi di cose scollegate qua e là.
PS: alla fine le cose migliori stanno nella scena mid-credits (geniale sotto diversi punti di vista, sia come gag metanarrativa che come svolgimento) e in quella post-credits, con una trollata tipicamente internettiana che ha del geniale.