Nel maggio del 1999, sugli schermi dei cinema statunitensi iniziava un capolavoro. E contemporaneamente, nelle edicole italiane ne partiva un altro.
Anderville è una storia magnifica che rappresenta per Tito Faraci un enorme salto di qualità. Mentre nelle opere destinate al settimanale egli predilige nemici comici e facilissimi da battere, questa volta punta tutto sulla pericolosità di un ambiente ostile. E' anche l'occasione di trattare argomenti seri e d'attualità, come attentati, annegamenti di persone tramite il cemento, capi della malavita confinati in casa ma che non vengono arrestati e rivalità fra le bande criminali che lottano per il controllo del territorio.
Malgrado ciò, è presente anche l'umorismo, ma non è dovuto alla stupidità di questo o quel personaggio o alle varie bizzarrie che vediamo di norma, bensì al sarcasmo che contraddistingue tutti gli abitanti della città e che a un certo punto adotta anche Topolino, evidentemente per farsi accettare dai membri di questa realtà.
Un'altra innovazione è la maggiore aderenza all'ambientazione americana, tra cinema drive-in, gangster e altri dettagli.
Riflettendo in seguito, mi sono accorto che ho visto diversi film che trattano gli stessi argomenti, ma non ne ricordo nemmeno uno. Credo che ciò sia da imputare dal fatto che i protagonisti di tali pellicole siano tutti simili e non mi dicano niente. Invece qui c'è Topolino, usato divinamente. E' lui principalmente a fare la storia: se al suo posto ci fosse stato un altro, magari lo avrei giudicato comunque un fumetto di buona qualità, ma il mese successivo sarebbe scivolato via dalla mia mente per finire nell'oblio.
Questa vicenda (e anche tutto il filone che inaugura) è la cosa più gottfredsoniana che abbia mai letto, intendendo proprio le storie realistiche scritte da Gottfredson. Alla faccia chi la giudica poco disneyana.
Certo, ci sono delle diversità dovute ai lontani fra loro stili narrativi degli autori (montaggio cinematografico, scene mute, didascalie introspettive), però, messe da parte queste differenze di forma, vediamo che la sostanza è molto affine: creare storie che emozionino e divertano, con pericoli che non vengono risolti con soluzioni semplicistiche, rigettare i soliti clichè e trattare argomenti sociali reali.
I disegni di Cavazzano qui si "abbruttiscono" rispetto alle sue altre prove dello stesso periodo; tuttavia tale cambiamento è funzionale alla narrazione, quindi ne sono stato soddisfatto. Il realismo si riflette anche in alcuni dettagli figurativi, per esempio sono in pochi a portare scarpe gialle.
Fra i personaggi che ho apprezzato in particolar modo non posso non citare Clayton, la miglior creazione di Faraci, e Sam Roscoe, probabilmente il più inquietante di MMMM. A tal proposito, mi dispiace non averlo rivisto e che la sua sottotrama venga lasciata in sospeso: quella sfera di vetro sembrava rivestire un ruolo importante e anche chi l'ha consegnata all'agenzia di Sonny rimane nel mistero.
Una postilla sui punti che invece ho sgradito:
- Non si capisce perchè quelli del bar si impegnino così tanto ad aiutare uno conoscono appena, il che stride in una vicenda del genere. Anche Vera lo fa, ma questo troverà una gustificazione più avanti nella serie
- Sempre a proposito di Little Caesar, pare che egli abbia una certa influenza dall'origine ignota. Per esempio, il trafficante d'armi prima non vuole parlare, ma quando sente il nome del barista cambia subito idea. Viene da pensare Little Caesar sia o un potente boss della criminalità o un agente segreto sotto copertura, ma la cosa non viene chiarita.
- Non mi è piaciuta la frase "Non so perchè, ma a Topolinia non sarebbe successo". Topolino non ha motivazioni per pensare una cosa del genere. E dire che fino a "Vuole segare la corda con una vite" "Come nei fumetti" la cosa mi era anche piaciuta, come presa in giro di tante avventure precedenti. Però secondo me Faraci ha commesso l'errore di affondare il coltello nella piaga. E anche dopo "Un piano diabolico. Avrebbe funzionato sicuramente... a Topolinia!" E basta con questi luoghi comuni