Ferma restando ovviamente, la generale contrarietà alla guerra, alla violenza, alla volontà di sopraffazione e all'odio. Le guerre sono sempre brutte perchè, che si vinca o che si perda, la morte colpisce tantissime giovani vite e spesso tantissimi civili innocenti.
Ma se parliamo di 100 anni fa, secondo me bisogna contestualizzare il tutto.
Questa è una regola generale che si dovrebbe sempre tener presente, e spesso non lo si fa. Infatti dal punto di vista storico non c'è niente di particolarmente incredibile nelle dinamiche della guerra. L'indignazione, l'orrore, non sono a mio parere categorie storiche; sono categorie da telegiornale, se vogliamo.
È verissimo fra l'altro che la percezione della guerra è cambiata innumerevoli volte nei secoli e nelle civiltà: basti pensare che, ancor prima dei Romani, i popoli Italici vivevano la guerra come realizzazione personale e comunitaria.
Quello su cui resto ancora perplesso è un'altra cosa. Ho studiato che ricerche storiografiche hanno disvelato una regia piuttosto dettagliata, già dal 1906, dell'avvio della guerra: dal piano Schlieffen alla potente arte diplomatica e politica del cancelliere Hollweg alla volontà di rispondere, da parte tedesca, alla eccezionale capacità di penetrazione finanziaria francese nei Balcani; e di rispondere sfruttando il punto di forza dell'industria tedesca: le armi. Nel corso del 1914 frenetici scambi diplomatici agitano le corti tedesca e austriaca (e il governo decentrato ungherese), finché lo stesso conte Istvàn Tisza riceve pressioni dal cancelliere tedesco perché si decida se impegnarsi o meno militarmente in una nuova guerra. Insomma da parte tedesca il conflitto era preparato.
Da parte italiana invece, per quanto ne sappiamo, no. Dai tempi in cui agli Esteri sedeva Antonino di San Giuliano, neutralista, l'intervento era più o meno pesantemente ventilato, ma è la diplomazia inglese a schiudere ai governanti italiani concrete possibilità di schieramento a fianco della Triplice Intesa, possibilità che non verranno del tutto materializzate poi negli accordi del '19-20 (celebre la partenza anticipata da Parigi di un deluso Vittorio Emanuele Orlando). E il fatto che ormai l'Europa fosse una polveriera lo si vede anche in quanto la retorica bellica fosse vivace e in quanto vividamente attecchisse, fra adulti e meno adulti (ho letto volantini di propaganda per le scuole che oggi farebbero accapponare la pelle). Non a sproposito si parla, come giustamente faceva notare Sergio, di ultima guerra d'indipendenza (per quanto, per dirla sala futurista, mutilata!), dato che ancor oggi i patrioti si commuovono al sentire i discorsi di Diaz e l'annunzio (la zeta è d'obbligo) della vittoria.
Ma vado sempre più convincendomi, man mano che invecchio (ho vent'anni
), che ben poche guerre, nella storia, sono veramente servite a qualcosa, se non agli scopi più pratici, immediati, spesso meschini, se buoni mai duraturi. Sono ormai sempre meno convinto da ogni impostazione "prospettica" dell'analisi storica (cioè del tipo: "be' ma vedi, almeno non è andata così"… "altrimenti saremmo ancora a… ", etc.) e sempre più incline a rivalutare la reale o meno necessità (se non, ripeto, per scopi contingenti e non strutturali, reali) di molte "imprescindibili" scelte storiche. Il pacifismo ad ogni costo non è, a mio umilissimo parere, un valore, come non lo è ogni dogma; e credo che Sergio sia d'accordo con me. Dico invece che ogni vita perduta, come ogni scuola distrutta, come ogni bambino per la strada, è una mancata occasione per l'umanità pensante per elevarsi e conoscere nuove soluzioni, e realizzare la vera sua potenza che risiede nel pensiero.
Mi si taccerà d'idealismo, in senso lato e filosofico. Non so che dire. Il fatto è che non vedo più molte vie intermedie, accidentaccio. Tanti storici compromessi tra l'onestà degli intenti (se pure era tale) e il "realismo" dell'azione sono falliti: penso a Lenin, ad esempio, e al dramma della guerra civile, e dell'inestirpabile casta di burocrati che questa forgiò a maggior gloria del… compagno Giuseppe; o ai più radicali fra i rivoluzionari francesi, quelli che per realizzare davvero l'obiettivo democratico (andando oltre la carta del '91) ritennero di dover applicare il Terrore; senza peraltro ottenere il loro scopo, ammesso che fossero in buona fede. Penso a tanta politica del Cinquecento italiano. Penso all'Unità d'Italia, che degli ideali mazziniani, per dire, ben poca traccia ha tenuto. Se compromesso deve essere, invece, lo intendo in senso tacitiano, del "comunque sostenere il bene durante la tirannide".
Sarò sempre vicino ai sinceri intenti di chi vuole il bene (ma spesso per "troppo di vigore" - mi sia concesso un dantismo nel 750ennale del Sommo - per troppo volerlo non lo studia, e crea mostri, distorsioni, dittature; e altra miseria), e saluterò con gioia, sempre, il trionfo della libertà, a patto di intendersi su cosa essa sia. Vado sempre più convincendomi, con Montale, che la cultura, la razionale sincerità delle proprie ragioni (che non è certezza sinché l'altro non è disposto ad ascoltare e a convincersi - o confutare), il coraggio di convincere più che di forzare, sia l'estrema opposizione all'errore globale che il nostro tempo disvela in più punti, come una barca mitragliata. Ciò quantunque a priori possa sembrare l'opzione meno realizzabile e meno efficace. Credo che il tanto nominato (ma quanto davvero compreso?) Giovanni Falcone sarebbe stato d'accordo.
Non sarò tanto ingenuo da dire che "basta il dialogo" per far comprendere le proprie ragioni. Sarebbe ipocrita e davvero irrealistico. E l'ipocrisia è il vero grande mostro che incombe su ogni analisi storica e morale. Dico che - Gandhi insegna - che il compromesso con la violenza è quanto di più vicino ci sia alla famigerata espressione "arma a doppio taglio"; per cui il mio messaggio è semplicemente: attenzione alle facili illusioni!
Pasteur, Fleming, ebbero bisogno di una guerra per imporre le proprie ragioni? Fu arduo, per vari motivi (in molti luoghi lo è tutt'oggi) ma non ne ebbero bisogno. Ecco: bisognerebbe prestare orecchio alla cultura, quella vera, non l'estenuante ricamo su forme vuote, come lo si presta alla medicina. Riusciremmo in molte più cose.
Ciò detto, la smetto perché debbo davvero andare a studiare! E scusate la lunga digressione. Gli esami in vista non me ne permetteranno altre.