L’altra sera, mentre ero in altre faccende affaccendato, avevo di sottofondo Sanremo, che una mia amica e collega voleva vedere. Di striscio ho quindi sentito la canzone di Vecchioni e, quando questi è arrivato a un paio di pronomi relativi di chiaro stampo anacoluteggiante, mi è sfuggita una battuta: “Ma che Italiacano [come si dice in Lombardia], professor Vecchioni!” La mia amica mi ha rimandato una battuta: “È professore di Matematica, non di Italiano! Non pretenderai da un laureato in Matematica che parli Italiano correttamente!” Ci siamo guardati per un istante, e poi ci siamo detti che… Sì, è legittimo e financo doveroso pretendere che un laureato parli in Italiano corretto e privo di caratterizzazioni locali, quale che sia stata la sua materia di studio.
Era una battuta, ma la cosa ci ha fatti riflettere. Non me ne voglia l’ex pubblico ministero più famoso d’Italia, ma troppo spesso, quando lo sento parlare, mi chiedo come possa avere preso la laurea. E qui sta il problema, perché a scuola non si passa più nemmeno il messaggio che c’è una lingua nazionale, che deve essere studiata da tutti e parlata correttamente da tutti, senza inflessioni, accenti, singolarità! Non è tollerabile che si arrivi a un certo livello sentendosi legittimati a parlare con sconosciuti come a ognuno pare e piace, costringendo l’interlocutore a capire un codice linguistico non comune, quando uno comune c’è e deve per forza esserci.
Riprendiamo un esempio famoso, con un certo attore re dei cinepanettoni, il quale è ormai quasi prigioniero del suo personaggio di burino rifatto romano. Nulla di male se la sua parte lo obbliga a parlare in romanesco: il ruolo è quello, si richiede che il personaggio sia così, e passi. Ma perché questo stesso attore, quando interviene in un telegiornale, rilascia un’intervista in televisione, o è ospite in un varietà, sempre e comunque parla in romanesco? Perché, a differenza del di lui padre (che in televisione parlava con dizione perfetta), egli si sente legittimato a usare un codice che non è compreso da tutti, quando egli stesso sa usare bene l’Italiano (vedasi suo spot contro gli incidenti stradali, nell’ultima battuta) e potrebbe quindi farsi capire? Non si offendano i Romani, tra i quali il nostro fondatore, ma vorrei che il Sig. De Sica parlasse in modo da comprenderlo anche qui a Milano, non solo nel Lazio, almeno quando è fuori parte…
Poi, mi è capitato di vedere tre minuti dei “Liceali”, fiction che dovrebbe dare un quadro “veritiero” della scuola, e che vedo? Vedo Tirabassi impersonare un professore in un liceo romano, il quale professore parla ai suoi allievi in romanesco e lascia che questi rispondano in romanesco… Cosa, cosa, cosa? È questo il messaggio che la scuola moderna passa? Cioè che anche in ambiente istituzionale scolastico gli allievi possono usare il dialetto nel parlare con i professori, quale che sia la materia, e i professori rispondono in dialetto? E… e tutte le belle parole che si spendono per l’unità d’Italia, la nazione unita, il popolo unito e blablabla a che servono se non abbiamo neppure una lingua condivisa da quelle stesse persone che la dovrebbero trasmettere?
A Roma le cerchie di amici parlano romanesco tra loro? Liberissimi di farlo, nessun problema! A Napoli i compagni di vicolo comunicano in Napoletano strettissimo? Prego, fate pure. A Bergamo piace a tutti parlare in un idioma semialieno (truppa siciliana: guardatevi L’albero degli zoccoli senza sottotitoli, e ditemi che ci capite…) perché fa tanto Bergamo e distingue da quell’altra lingua semialiena che è il Bresciano? Fattacci vostri: fate come ritenete.
Ma a scuola si deve insegnare, e si deve pretendere sia parlata, capita, studiata nonché usata, una e una sola lingua per tutte le materie, che i professori devono per primi sapere trasmettere e comunicare agli allievi nel migliore dei modi possibili e priva di inflessioni.
Altrimenti sarà inutile persino parlare di lingua italiana comune… Non dico di diventare tutti Romano Malaspina (doppiatore torinese reso celebre dalla sua assoluta mancanza d’accento), ma almeno ricordiamoci che nessuno di noi può pretendere che altri, della medesima nazione, siano costretti a capire e usare un codice linguistico diverso da quello comune in occasioni formali, o comunque quando a tante persone si deve parlare.
Ma ricordiamoci anche che non possiamo addossare tutta la colpa agli studenti, se quegli stessi che dovrebbero trasmettere l’Italiano a bambini e ragazzi preferiscono non farlo, ritenendo più opportuno accettare di sottomettersi alle logiche locali, anziché fare in modo che la nostra lingua sia parlata e condivisa al meglio. O forse gli stessi professori non sono più in grado di parlare un Italiano corretto e non dialettale? Se così fosse, in tanti dovrebbero altro che vergognarsi per lo sfascio scolastico sotto questo profilo…
Poi, però, non stupiamoci se la laurea viene concessa anche a gente che non ha mai imparato a mettere insieme due frasi in modo corretto, e che si meriterebbe di tornare alle elementari: tanto neppure alle elementari insegnano più a parlare in modo appropriato, come ogni insegnante dovrebbe fare, prendendo tutti i provvedimenti necessari perché il piccolo allievo apprenda e bene, anziché tollerare sempre di tutto e di più…