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Per cominciare, ti ringrazio per il cortese tentativo di spiegarti meglio. (Non temere, non ti intendo come sgarbato. E, gia che ci sono: buon compleanno!)
Dopodiche', ti confesso che faccio una fatica dannata a capire quel che vuoi dire nel tuo intervento. Ti pregherei in futuro di cercare di spezzare le tue risposte come faccio io con le mie (se poi hai un'idea piu' efficace per scrivere chiaramente, ben venga): cosi' com'e', non capisco a quale parte del mio messaggio stai rispondendo in ogni frase. E mi da' molto l'impressione che ci stiamo avvitando in un dialogo tra sordi.
Passo a una disamina di vari dei tuoi punti.
Per essere chiaro, la parte in cui contesti il mio ragionamento sulla "fisiologicità" del minor numero di donne che fanno politica, sembra rispondere più al mio primissimo post, che non a quello che citi.
Ti riferisci alle mie parole "
Per cominciare: quello che volevo far notare (cercando anche di far chiaro che stavo esponendo idee non mie, quindi idee che conosco solo parzialmente, ma che per il poco che ne so mi sembrano ragionevoli) era quanto fosse problematico cio' che tu indicavi come "fisiologico". ?
Semplicemente: avevo avuto l'impressione che almeno parte di cio' che scrivevi sembrava nascere da un fraintendimento della mia risposta al tuo primissimo post. E cercavo (brevissimamente) di chiarire quel che mi pareva tu non avessi capito, come preliminare per ridurre il numero di ulteriori fraintendimenti.
In quest'ultimo, infatti, sono abbastanza sicuro di aver scritto:
La questione è molto più semplice: cioè se ci siano un mucchio di donne che si impegnino in politica, ma rimangano a livelli di responsabilità bassini, ed esclusivamente-o quasi-per ragioni discriminatorie; oppure se di donne impegnate in politica-perché percepita (erroneamente) nella nostra società, come una cosa "da uomini" -ce ne siano di meno, e dunque è, per certi versi "normale" trovarne proporzionalmente di meno anche in posizioni di potere.
Ti prego di notare le due alternative che pongo sono: SE le cose stiano in un modo, e subordinata a questa un'ipotesi sul POSSIBILE motivo; OPPURE SE stiano in un'altro modo, e di nuovo tra trattini una POSSIBILE spiegazione.
Avevo capito che tu poni due alternative. Pensavo fosse chiaro che quanto volevo far notare era che le alternative da prendere in considerazione sono piu' di due. Vale a dire: nell'ipotesi n. 2 (con le tue parole:
donne impegnate in politica- [una possibile spiegazione] -ce ne siano di meno, e dunque è, per certi versi "normale" trovarne proporzionalmente di meno anche in posizioni di potere.) possiamo considerare varie possibili spiegazioni; e che queste spiegazioni sono
sufficientemente diverse che sarebbe meglio suddividere questa ipotesi n.2 in piu' sottoipotesi (esempio: ipotesi 2A: poche donne in politica perche' preferiscono studiare la fisica nucleare; ipotesi 2B: poche donne in politica perche' i maschi scoraggiano le donne a stare in casa, tra bimbi e cucina).
Per quanto capisco, quello che ci stiamo chiedendo e' (semplificando un poco, ma spero non troppo):
Ci sono discriminazioni di genere? Se si', come superarle? Se no, come evitare le distorsioni imposte dal credere in queste mitiche discriminazioni? [Esempio paradigmatico di distorsioni sarebbero le "quote rosa".]
Nell'ottica di rispondere alle domande che ho evidenziato, la tua alternativa tra ipotesi n. 1 e ipotesi n. 2 mi pare fuorviante, per il motivo che ora cerco di illustrare. La spiegazione che poni all'ipotesi n. 1 e' "
ragioni discriminatorie" (ergo, risposta SI' alla domanda di base,
Ci sono discriminazioni di genere?). Ma per l'ipotesi n.2 proponi solo una spiegazione, che sembrerebbe implicare una risposta "No, non ci sono discrimanazioni". Ora, la mia ipotesi 2A e' (almeno nelle mie intenzioni, poi non so come voi leggiate le mie parole) un'ipotesi che implica "No, non ci sono discriminazioni"; ma la mia ipotesi 2B e' intesa come "Le discriminazioni ci sono, eccome, anche se di un tipo piu' sottile". [Una discriminazione non sottile e' dire all'alunno Rossi: "dato che tuo padre era analfabeta ti e' proibito per legge aprire un libro di algebra"; una piu' sottile e' ripetergli tutti i giorni: "se vuoi studiare algebra fa pure, ma un imbecille come te, figlio di un analfabeta, non riuscira' mai a capirla". Nel secondo caso se Rossi ha talento e forza di volonta' finira' comunque per padroneggiare l'algebra; ma se ha solo talento, forse no.]
Il che, a livello grammaticale prima ancora che semantico, significa che tu hai contestato la possibile spiegazione n°2, per dimostrare che non poteva essere vera, anzichè la dicotomia generale che cercava di esporre i termini del problema. Ma le spiegazioni possibili possono variare, i termini del problema no. E questi tu NON LI HAI contestati. Hai un po' eluso la questione.
Spero che adesso sia chiaro che, pur essendomi forse spiegato male, quello che volevo contestare era appunto la tua impostazione della dicotomia. A mio parere, eri tu ad aver descritto erroneamente i termini del problema e cercavo di farlo notare.
Il punto ancora più fondamentale è quando dici che i miei ragionamenti, che definisci corretti, non hanno relazione col tuo intervento. Diamine se ce l'hanno!!!
Qui proprio non capisco. Tanto per cominciare, a che cosa ti riferisci nel mio intervento? Io ho detto molte cose diverse (che spero compatibili fra loro; ma sono cose diverse) e adesso non so proprio di cosa tu voglia parlare. L'unica cosa che posso dire e' che, rileggendo
Allo stesso modo, che i partiti abbiano o meno la capacità di attrarre più o meno persone di entrambi i sessi, e più o meno capaci, è comunque un assunto tuo: intanto, non è detto che i partiti che attraggono molte donne, le candidano e le fanno eleggere (spesso nelle famose liste bloccate), candidino, ipso facto delle donne estremamente capaci, o candidino, tra le presenti, proprio le più capaci di cui dispongano. Infine, non è automatico che i candidati incapaci, di ambo i sessi, debbano per forza venire riconosciuti al volo, così, a prima vista, e perdere: spesso capita magari che vincano, invece.
non riesco a vedere la relazione tra "
che i partiti abbiano o meno la capacità di attrarre più o meno persone di entrambi i sessi, e più o meno capaci, è comunque un assunto tuo" (e confermo che e' vero, era il mio assunto) e il resto del pezzo che ho citato. Se volevi contestare questo assunto, non lo stai facendo; ti sei messo a parlare d'altro. E quest'altro non sembra avere nessuna relazione col mio primo intervento a cui volevi rispondere. Provo a rispiegare questo mio primo intervento:
Il ragionamento [di Gasparri, N.d.R.]
sembrerebbe filare. Ma per quanto posso giudicare si basa su un assunto abbastanza scollegato dalla realta' (per quanto sia applicato in molti altri ambiti, tipo il giustificare certi stipendi favolosi; o gli scivolosi discorsi della "meritocrazia"): vale a dire, l'ipotesi che tra i candidabili ad una posizione ce ne siano alcuni molto migliori degli altri. Per quanto ne so, il piu' delle volte e' il contrario: ci sono molte persone piu' o meno dello stesso valore tra cui scegliere. [Anche perche' di solito applicare un ordine lineare non ha alcun senso; da matematico, sarei tentato di indicare come un buon esempio di stupidita' la mancanza di immaginazione implicita nel presupporre che sia sempre possibile un ordinamento lineare.]
Assumendo che le capacita' siano ugualmente distribuite tra i sessi, se un partito sa attrarre a candidarsi soltanto donne incapaci, mi viene da sospettare che o questo partito e' tremendamente maschilista, oppure anche gli uomini che candida siano generalmente degli incapaci; e in entrambi i casi, non vedo motivo di rimpiangere la sua disfatta elettorale.Quello che volevo dire e' semplicemente quanto segue.
Parto da un'assunzione che mi sembra neutra e ragionevole: ogni partito ha membri e simpatizzanti (cioe' il gruppo tra cui scegliera' i suoi candidati) abbastanza equidistribuiti per genere e per capacita'; e si tratta sempre di numeri abbastanza larghi, dell'ordine almeno del centinaio, ampiamente superiori al numero dei candidati da presentare. (Esempio: assumendo 100 candidabili per partito, il partito A avra' a disposizione 36 donne e 64 uomini, 45 persone capaci e 55 incapaci; il partito B avra' 53 donne e 47 uomini, 38 persone capaci e 62 incapaci; ed ogni partito deve presentare una lista di 40 candidati.) L'ipotesi
si tratta sempre di numeri abbastanza larghi, dell'ordine almeno del centinaio, ampiamente superiori al numero dei candidati da presentare e' basata su quello che so delle leggi elettorali (bisogna raccogliere firme per presentare la lista, e il numero di firme deve raggiungere un minimo che non ricordo, ma che e' molto maggiore del massimo numero possibile di candidati; e' plausibile che in caso di necessita', un certo numero di firmatari sia disposto a farsi inserire nella lista).
Puo' essere che un partito avra', tra i candidabili capaci, alcuni estremamente bravi, di gran lunga superiori agli altri, ma mi aspetto (di nuovo, in base alle mie esperienze quando si tratta di ordinare le persone per merito o capacita') che siano molto pochi (diciamo 5 su 100 sia per A che per B). Inoltre mi aspetto che la capacita' sia equidistribuita rispetto al sesso (tornando all'esempio: diciamo che A ha 26 donne capaci e 19 uomini capaci; B ha 18 donne capaci e 20 uomini capaci).
A questo punto, se obblighiamo tutti i partiti a candidare un 50% di uomini e un 50% di donne, avremo che A e' costretto a mettere in lista 1 uomo incapace e B 2 donne incapaci.
D'accordo: pero' si noti per cominciare che B era costretto comunque a mettere degli incapaci in lista, avendo solo 38 candidabili capaci. Quanto all'incapace che A e' obbligato a prendere (e non avrebbe preso senza le quote), possono comunque avere l'accortezza di sceglierne uno che non sia estremamente incapace; e possono cercare di metterlo in una posizione tale che faccia comunque pochi danni alla loro campagna e difficilmente sia eletto (dato che e' improbabile che, pur vincendo A le elezioni, si abbiano 40 eletti di A e 0 di B). Inoltre, se il partito A si comporta in modo razionale, dovra' si' sostituire un capace con un'incapace; ma terra' in lista i 5 molto capaci ed escludera' un capace scelto quanto piu' in basso possibile.
[Qui ritorna il discorso di "molte persone piu' o meno dello stesso valore". A non puo' ordinare i suoi in modo lineare, ma puo' dire: ce ne sono 5 molto bravi, 20 bravi o piuttosto bravi, 20 piuttosto bravi o appena capaci, 15 appena capaci o appena incapaci, 30 tra l'appena incapace e il decisamente incapace, 20 decisamenti incapaci o peggio e 10 decisamente impresentabili. (Ho sparato numeri un po' a casaccio, avendo cura che la somma fosse superiore a 100 onde indicare il fatto che spesso non e' del tutto chiaro in quale tra due zone adiacenti sia da collocare il candidabile in questione.) E dunque A non e' cosi' sicuro che l'uomo "incapace" che candida, se scelto tra gli "appena capaci o appena incapaci", sia cosi' peggio di ogni altro suo candidato.]
Insomma, quello che voglio dire e' che se le mie assunzioni di equidistribuzione sono verosimili (e credo che lo siano), anche se si avesse qualche candidato incapace, sarebbe comunque un danno molto limitato (e tutt'altro che certo, dato che il confine tra "appena capaci e appena incapaci" e' piuttosto labile).
Il danno comincebbe a diventar significativo se il partito C si trovasse ad avere (poniamo) 75 candidati maschi e 25 donne, con 50 candidabili capaci, di cui solo 8 femmine, e le donne incapaci tutte "decisamente incapaci o peggio". Ma quello che chiedo e': quanto e' probabile una situazione del genere? Il mio istinto di matematico dice: assai poco, se ammettiamo le ipotesi di equidistribuzione per genere e capacita'. (Faccio notare che qui mi sto affidando all'istinto. Non ho fatto i conti e potrei sbagliarmi; se me lo chiedi, posso provare a farli, ma potrebbe volerci tempo, visto che professionalmente avrei altro da fare.) La situazione prospettata da Gasparri era molto piu' estrema, e quindi molto piu' improbabile. Perche' diventi probabile, bisogna cambiare le ipotesi; e tra le ipotesi che ho usato (nel mio ragionamento informale; potrei tentare di formalizzarlo, ma ci vuole tempo), quella che supporrei sia piu' lontana dal sentire di molti (vista la popolarita' de vari discorsi di "meritocrazia" e affini) e' che ci sia un'area abbastanza vasta di persone tra l'appena capace e l'appena incapace, ipotesi che io faccio sulla base del "
ci sono molte persone piu' o meno dello stesso valore tra cui scegliere".
Se invece si accettano le mie ipotesi, la situazione descritta da Gasparri e' quella di un partito che ha pochissimo seguito tra le donne o tra le persone capaci; cioe' un partito molto strano, perfino sospetto e di cui (imho) si puo' benissimo fare a meno.
Fine della spiegazione. Se tu ti eri messo a parlare di cio' che a me e' suonato altro in quanto dal mio primo intervento non avevi capito questo semplice ragionamento (magari perche' avevo lasciato sottinteso il suo essere legato ad un discorso probabilistico, che ritenevo ovvio; e avevo anche piu' o meno taciuto quelle ipotesi basate sul poco che so del sistema elettorale italiano), me ne scuso. Se invece l'avevi capito, spiegami in base a che cosa mi avresti mosso le obiezioni che hai mosso.
Quindi non ha alcun senso dire, come fai tu, che grossomodo la maggior parte dei candidati sono sullo stesso livello, che è impossibile valutarne ex ante le capacità, e che quindi tanto vale che vengano candidati sulla base di altri criteri.
Rivediamo quello che avevo scritto:
cerco di analizzare la tua frase (non sono sicuro di capire quel che vuoi dire):
1) e' impossibile stabilire a priori il rispettivo livello dei candidati;
2) a posteriori possiamo giudicare solo le capacita' dei candidati vincitori;
3) non abbiamo nessun modo di sapere se gli sconfitti fossero di livello superiore o inferiore rispetto ai vincitori.
E' un'interpretazione corretta? Se si', dove sta il problema nell'imporre che tra i candidati (di merito ignoto) ce ne siano alcuni che soddisfano certi criteri? Alla fine, se avremo gente capace sara' solo una questione di fortuna (o di abilita' degli elettori nell'arte di indovinare a casaccio).Attribuivo i punti 1), 2) e 3) a te, chiedendoti se avevo capito bene o no; e ora tu sembreresti dirmi che avevo capito male. [Ma non mi spieghi il senso della tua frase "
Del resto, è impossibile stabilire che i candidati "siano tutti più o meno dello stesso livello", finché non li si vede all'opera, ed ancora, si vedono all'opera solo quelli che hanno vinto, e non è detto che gli sconfitti avrebbero necessariamente fatto peggio", che io avevo decomposto in 1), 2) e 3).] Insomma, "
che è impossibile valutarne ex ante le capacità" io l'avevo scritto soltanto per chiederti se era quello che volevi dire.
Quanto al "
tanto vale che vengano candidati sulla base di altri criteri" (per usare le tue parole, visto che hai voluto parafrasare il mio testo), io lo ottenevo come conseguenza del punto 1); cioe' come conseguenza di quello che mi sembrava (senza esserne sicuro, tanto che ti chiedevo conferma) il tuo pensiero.
Affermando
non ha alcun senso dire, come fai tu, che grossomodo la maggior parte dei candidati sono sullo stesso livello, che è impossibile valutarne ex ante le capacità, e che quindi tanto vale che vengano candidati sulla base di altri criteri, mi stai contestando qiualcosa di molto diverso da quanto avevo scritto io. E mi dai la sgradevole sensazione di aver letto molto superificialmente il mio intervento.
Nel mio intervento ho scritto che è difficoltoso stabilire se la minor presenza delle donne in politica ed altri campi causi disuguaglianze, oppure se le disuguaglianze, meglio da chiamarsi discriminazioni, causino una minor presenza delle donne in vari campi. E questo sì, è un cane che si morde la coda. Cosa è la causa di cosa? Se non lo si stabilisce prima, non si posson decidere gli interventi da adottare, o da non adottare.
Io avevo scritto"
Se "poche donne in politica" e' causa delle disuguaglianze, sembrerebbe sensato cercar di aumentare il numero delle politicanti; se e' conseguenza, meglio pensare ad altre azioni. E poi potrebbe essere sia causa che conseguenza (vedi alla voce: sistemi a retroazione positiva)." E qui sembra che stiamo dicendo la stessa cosa (se capisco bene, con "cane che si morde la coda" tu indichi quello che io avevo chiamato "sistema a retroazione positiva").
Pero' nel tuo precedente intervento tu avevi anche definito questa
una questione oziosa, che di solito (per quanto ne so) significa "una domanda di cui non vale la pena occuparsi" (anche il paragone col problema di uovo e gallina, da te fatto in quell'occasione, sembrava aver lo stesso significato). Forse ti eri solo espresso male.
ho scritto che da quello che scrivevi, traspariva un sistematico disprezzo per la meritocrazia. Un'altra ipotesi, basandomi sugli elementi a mia disposizione, ovvero i tuoi scritti. Cosa che peraltro mi confermi di persona, ovvero, almeno in quel caso, ho fatto centro di certo.
E, contento di questo centro, ti sei messo allegramente a travisare le mie parole e attribuirmi asserzioni ed opinioni diverse da quelle che ho espresso. Per cominciare, ti faccio notare che hai bellamente ignorato il fatto che io abbia sempre scritto "meritocrazia" con le virgolette.
Dopodichè (bis) sì, non credo proprio che i tuoi colleghi che parlavano di meritocrazia e lavoravano meno di tutti fossero sinceri.
Io non ho accusato questo collega di insincerita'. (E non penso che fosse insincero.) Avevo scritto solo: "
mi da' da pensare il fatto che tra i colleghi del mio gruppo quand'ero in universita' italiane, quello che si esprimeva piu' fortemente in favore della "meritocrazia" era anche quello di gran lunga meno attivo nella ricerca." (Cosa che tra l'altro e' molto diversa dal dire che costui lavorasse meno degli altri: in un'universita' c'e' anche da tener conto, per esempio, dell'attivita' didattica.)
Peraltro il tuo riferimento al "lavoravano meno" fa abbastanza capire la tua affermazione precedente sul "per come è stata applicata in Italia".
Io avevo scritto
il termine "meritocrazia" per come si e' imposto in Italia, che ha un significato alquanto diverso da
"per come è stata applicata in Italia". Se ho usato un'espressione invece che l'altra, c'era un motivo. Non mi riferivo ad applicazioni (tanto per cominciare, quelli che usano la parola "meritocrazia" di solito sostengono che in Italia non e' applicata, ne' lo e' stata, quindi sarebbe idiota contestarli partendo dal "come e' stata applicata in Italia"). Quello che io contesto e' in primis il significato che sento dato al termine "meritocrazia". E il fatto che nella mia esperienza sia usato solo da gente che gli da' un certo significato (cosa che non succede per parole come "pace" o "democrazia"). Poi non so che significato tu dia
a "meritocrazia"; magari salta fuori che in proposito siamo piu che d'accordo.
Per chiudere il discorso "meritocrazia" (che e' fuori posto in questa discussione): io avevo dichiarato
odio e disprezzo il termine "meritocrazia" per come si e' imposto in Italia. Che non e' esattamente lo stesso che "
sistematico disprezzo per la meritocrazia". (Quest'ultima e' la tua versione; io l'avevo accettata - con fierezza - come una prima approssimazione della mia effettiva posizione.)