avvocato, io non sono affatto concorde con lei, tanto che nella mia tesi di laurea su Schopenhauer ho parlato per l'appunto del fondamento di una morale sganciata dalla metafisica, un problema <<assai arduo, contro il quale hanno inutilmente cozzato i filosofi di tutti i tempi e di tutte le genti, e la cui mancata soluzione ha permesso o almeno favorito il sorgere e il consolidarsi dei miti e dei dogmi religiosi>> (citazia dalla mia tesi, come i prossimi estratti, se mi concedete questo momento di autoesaltazione 8-) )
3.1 La confutazione delle morali precedenti
Partendo dal tema di ricercare <<il fondamento della morale indipendentemente da una determinata filosofia>>, ovvero separare l’etica dalla metafisica, Schopenhauer cercava di risolvere un problema <<assai arduo, contro il quale hanno inutilmente cozzato i filosofi di tutti i tempi e di tutte le genti, e la cui mancata soluzione ha permesso o almeno favorito il sorgere e il consolidarsi dei miti e dei dogmi religiosi>> .
Viste le premesse, Schopenhauer decide di utilizzare il procedimento analitico, <<un’indagine che prende le mosse dai fatti, dall’esperienza esteriore e da quella interiore della coscienza>>, per <<isolare, nel complesso degli atteggiamenti e delle azioni umane che vi consideriamo legali, degne di lode e approvazione, quella piccola parte di esse che è veramente morale e non determinata da impulsi di altro genere>> .
Al contrario di molti filosofi precedenti, che partendo da una metafisica comunemente accettata, giungevano ai principi ed alle basi della morale e facevano tacere i dissidenti minacciando la loro coscienza, Schopenhauer ritiene, riprendendo Kant, che il vero filosofo non può prescindere da ogni motivazione che non sia assolutamente razionale, poiché la minaccia di un castigo divino non rappresenta vera moralità, ma solo un egoismo.
Ma se Kant era stato così grandioso nel distruggere le precedenti concezioni morali, la stessa cosa non si potrebbe dire della sua fondazione dell’etica, visto che l’imperativo categorico, <<nonostante tutti gli appelli all’esperienza o gli ossequi alla ragione, continuano a insinuare nell’indagine etica presupposti teologici e metafisici>> , tanto che lo stesso Kant manteneva una prospettiva eudemonistica nel rapporto tra felicità e virtù nella dottrina del bene supremo. Quindi, una vera etica separata da ogni metafisica dovrebbe epurarsi da concetti come imperativo categorico o ragion pratica, che, secondo lo stesso Schopenhauer, rappresentano due prodotti della rapida decadenza senile di Kant, perché vennero ritrattati durante la vecchiaia, nella Critica della ragion pratica, la vecchia esposizione del fondamento della morale data nella Metafisica dei costumi <<in modo rigorosamente sistematico, concludente e preciso>> , creando di fatto una nuova etica teologica.
La stessa terminologia (legge, comandamento, dovere ecc…) non sarebbe che un retaggio della morale desunta dalla teologia giudaico-cristiana, visto che nessun tu devi può aver valore senza una minaccia di castigo o una promessa di premio.
La causa di questa deriva va ricercata nel procedimento kantiano che consiste nel distinguere tra un a priori e un a posteriori nella stessa coscienza, separando cioè la parte pura della morale accettandola <<in anticipo come esistente senza giustificazione e senza deduzione o prova alcuna>> . Così facendo, Kant rifiutava sia la coscienza umana che ogni tipo di esperienza, ponendo però un paio di concetti astratti, privi di sostanza, a fondamento di una morale che valesse per tutti i possibili esseri ragionevoli, tra cui gli uomini.
Infatti, analizzando la celebre formula <<agisci soltanto secondo la massima della quale puoi a un tempo volere che diventi legge universale per tutti gli esseri dotati di ragione>>, Schopenhauer trova proprio nell’astratta affermazione di una validità estesa ad ogni essere ragionevole l’unica motivazione dell’etica kantiana, ovvero che <<l’uomo concepisca da se stesso l’idea di indagare una legge, alla quale la sua volontà dovrebbe adattarsi e sottomettersi>> , fondando la morale su un puro processo di pensiero, senza quell’impulso etico originario che per Schopenhauer è imprescindibile nella creazione di una qualunque legge morale che possa superare la violenza e la potenza dei giganteschi motivi egoistici, una morale che deve però determinare azioni reali fondate su di un impulso empirico.
Si nota così un’altra critica mossa da Schopenhauer nei confronti di Kant: la totale mancanza di realtà del suo fondamento morale, anche se, è giusto notarlo, nella seconda Critica, lo stesso Kant aveva in parte modificato la propria visione. In questo modo diede inizio a successive incomprensioni e modifiche del proprio pensiero, come nelle revisioni effettuate da Reinhold o da Jacobi, le quali sfoceranno in seguito nei, come li definiva Schopenhauer, filosofastri idealisti, i quali parlavano vanamente di concetti come l’infinito o l’assoluto, di cui nessuno poteva in verità sapere <<assolutamente nulla>> .
Inoltre, questa legge kantiana si appella all’egoismo, dato che ciascuno di noi può volere soltanto cosa è soggettivamente il meglio per noi stessi, diventando una perifrasi dell’unico vero e puro contenuto di ogni comportamento morale: non ledere nessuno, anzi per quanto puoi, aiuta tutti.
Ma, su cosa è fondato questo postulato tanto da sopraffare gli stessi istinti malvagi umani? Per Kant ciò rappresenta una legge universale di natura che sarebbe impossibile non volere, anche se, fa notare Schopenhauer, l’esperienza quotidiana ci mostra che in realtà la legge di natura consiste nella sopraffazione del più debole da parte del più forte e che le vere eccezioni sono rappresentate dalla giustizia e dalla bontà.
Così, in mezzo a questi sofismi <<di una dottrina etica che ricade ad ogni passo nei vizi tradizionali delle vecchie morali teologiche e metafisiche>> , emerge la sola vera e grande intuizione di Kant a livello di morale, già ripresa da Schopenhauer nel saggio “Sulla libertà del volere”, la quale libertà sarebbe legata all’essere poiché ogni ente agisce seguendo la propria natura.
Analogamente, Fichte, che aveva rovesciato questa intuizione, è considerato dal filosofo di Danzica un buffone, autore di una mistificazione filosofica.
3.2 Una nuova etica
Con quest’ultima critica a Fichte, Schopenhauer esaurisce la parte destruens del proprio discorso, non prima di aver risposto però alla domanda che, se i filosofi precedenti avevano fallito tutti, ciò non fosse dovute a causa della morale da considerare <<un mezzo inventato per domare meglio il genere umano egoista e malvagio>> .
Riprendendo con questa affermazione la teoria hobbesiana dell’homo homini lupus, Schopenhauer vede nell’egoismo l’essenza conservativa dell’esistenza degli uomini e degli animali e il più grande avversario della moralità.
Nonostante questa visione pessimistica, ammette però l’esistenza di poche persone <<nelle quali è quasi innato il principio di rendere giustizia agli altri>> , ovvero persone che agiscono senza la finalità egoistica del sentirsi meglio o ubbidire a qualche massima religiosa, ma mossi solamente dalla volontà di fare del bene nei confronti degli altri.
Tutto ciò è possibile solo nel momento in cui io riconosco l’altro come uguale a me nella sofferenza, annullando quella differenza sulla quale si fonda l’egoismo individuale. È un evento stupefacente e misterioso, che Schopenhauer aveva già trattato nel IV libro del Mondo quando, parlando delle vie per liberarsi dal dolore, aveva tratteggiato la morale della compassione.
La nostra partecipazione alla vita altrui si limita ai dolori, non viene sollecitata dall’altrui benessere, che ci lascia invece indifferenti. Questo accade perché il dolore è l’oggetto positivo della sensibilità, mentre la soddisfazione ed il benessere consistono soltanto nella cessazione della mancanza e del dolore. In questo modo, <<quanto più la nostra condizione è felice e quindi è in contrasto con l’altrui, tanto più noi siamo accessibili alla pietà>> . Le azioni genuinamente morali nascono quindi da questo sentimento attraverso la massima Neminem laede; immo omnes, quantum potes, iuva.
Il primo grado della morale è quindi un semplice <<non far del male agli altri>> sotto l’impulso dell’egoismo. Questo diritto fondamentale può essere imposto a tutti ed il suo rispetto può essere ottenuto con la forza delle istituzioni coercitive come lo Stato, nonostante per Schopenhauer esso non abbia mai valore e funzione morale, in contrapposizione con la filosofia hegeliana. Infatti, uno Stato che si assume anche la cura del bisogno metafisico dei suoi membri non può che giungere all’inquisizione o alla guerra di religione.
La seconda parte della massima, <<aiuta gli altri quanto puoi>>, permette a Schopenhauer di illustrare il concetto di carità, la quale non è stata mai inclusa tra le virtù della filosofia occidentale, al contrario della giustizia, tranne che dal Cristianesimo, che però non estendeva questo principio agli animali, pecca ereditata dal giudaismo, mentre in realtà gli animali condividono con gli uomini la stessa comune esistenza
Con somma acutezza, Schopenhauer afferma che i concetti di diritto e torto sono indipendenti da ogni singola legislazione, dato il loro valore naturale. Questa giurisdizione pura esige che <<nessuno faccia un torto>>, al contrario della legislazione positiva degli Stati che invece esige che <<nessuno debba patire>>.
In polemica con Kant ed i kantiani, Schopenhauer definisce il concetto di dovere come <<un’azione, la cui semplice omissione lede gli altri>> , presupponendo un obbligo già assunto tra due parti, con la sola eccezione dei doveri dei genitori, assunti unilateralmente nell’attimo preciso in cui mettono al mondo il bambino. Inoltre il filosofo di Danzica ammette l’uso della menzogna quando essa serva ad evitare un’ingiustizia o un sopruso.
Con questa denuncia di ogni forma di egoismo Schopenhauer rinvia totalmente il problema del comportamento etico alla sfera interiore e segreta dell’intenzione, a quella insondabile, misteriosa regione dell’Io dove può giungere soltanto il giudizio interiore della coscienza, costretta, del resto, semplicemente a prendere atto di un’inevitabile, necessaria predestinazione, dato che dall’immutabile orrore della realtà vi si può sfuggire solo in virtù di un’esperienza etica privilegiata e di una superiore, ineffabile intuizione mistica.
vi può piacere, non vi può piacere... io la condivido in pieno.