Uh, voglio chiarire una cosa: per "sistema" io non intendo una costruzione dogmatica a priori, bensì un'esposizione chiara e confutabile delle proprie tesi e argomentazioni. Con "si può dire tutto e niente" intendo che senza argomentazioni e contestualizzazioni una frase può voler dire di tutto (appunto, se Platone non ci avesse lasciato un sistema chiunque avrebbe buon gioco nel presentarlo come visionario che crede agli animali mitologici - benché molti lo facciano comunque
).
Preso un profondo respiro, Panikkar, improvvisando sulla stessa potente immagine appena evocata, narrò di un uomo su uno scoglio, un uomo che osserva il mare per poco più di un attimo, un uomo che senza esitazioni in quel mare ci si tuffa, perché lui non è opposto a quel mare, ma è del Mare parte inseparabile.
L'immagine di Panikkar è bellissima... sembra di sentire Hölderlin (perdonate, ma io confronto con quello che ho
)! È tipica di chi ha una visione sintetica e unitaria del problema dell'essere, così come personalmente la preferisco. La necessità di compenetrazione con il
conosciuto mi ha sempre molto convinto.
Fra l'altro ciò mi fornisce lo spunto per osservare quanto il sistema della scienza moderna sia inadatto per la filosofia: quella "necessità di precisione" si avvicina pericolosamente, benché probabilmente Severino non intendesse questo, alla "diabolica precisione" che la scienza matematica, al di là dell'astrattismo di facciata, vuole raggiungere, e che da Bacone e Galileo in avanti ha uno scopo (non unico, ma fondamentale): comprendere la Natura nelle sue leggi fenomeniche per poterle dominare e portare a proprio vantaggio. Ecco (anche) perché una scienza della complessità, della sintesi, perde terreno davanti alla potenza di risultati della scienza quantitativa. Ma come avvertono tanto Spinoza, in forma larvata, quanto Heidegger (ripugna citare un filosofo nazista, ma d'altra parte...
) la comprensione della Natura non è solo quantitativa, fenomenologica, cioè di un ripetersi di eventi regolati da una legge, bensì anche concettuale, ontologica.
Vale del resto il discorso di Platone per cui un uomo che crede di "conoscere" una bestia interpretandone dall'esterno bisogni e umori a seconda delle sue reazioni ha una conoscenza incompleta, passiva, fenomenica.
Per fare un esempio: Hegel osserva come la legge di gravità di Newton, che pure ha dei grandi meriti di sintesi descrittiva, più che una spiegazione sia una "descrizione del ripetersi": come dire che un uomo che va in città tutte le mattine con cadenza regolare "è attratto da una forza"; descrivere questa forza può aiutare a prevedere la posizione dell'uomo, ma non aggiunge molto al concetto.
La teoria di Einstein sulla relatività muove invece, oltre che dalle problematiche emerse dalle equazioni elettrodinamiche e dal rebus degli esperimenti sulla parallasse, da una riflessione intrinseca su
cosa siano, nel concetto umano, luce e gravità. Se vogliamo, una messa in pratica della tesi kantiana per cui alla percezione fisica corrisponde, quasi tautologicamente, una
forma conoscente dalla quale non si può prescindere per un vero discorso scientifico.
Ovviamente non attribuisco ad Einstein un ragionamento del genere, ma non dimentichiamo che l'uomo aveva una profonda cultura filosofica, al di là delle linguacce e del mito...
Ecco dunque perché secondo me bisognerebbe allargare un po' il pensiero su questo versante. Le tesi di Schelling sulla Natura sono per questo, a mio parere, da tenere ben presenti, andando oltre la (un po' volontaria?) incomprensibilità del suo linguaggio. Certo, non bisogna poi cedere alla tentazione del puro misticismo in cui "tutte le vacche sono nere"; ma nemmeno viceversa.