In merito a 'Topolino e la Casa dei Dipinti che Fingono'.
Il tributo alle citate opere di Alfred Hitchcock e di Oscar Wilde, con una spruzzata di Tim Burton, è evidente.
Casty è Artista appassionato, con una sensibilità talmente spiccata da piazzarlo di diritto nell' Olimpo degli Autori Disney di tutti i tempi.
Possiamo perciò divertirci a trovare rimandi e riferimenti ad opere che possano averlo ispirato, ma il risultato della sua elaborazione è de facto originale.
Per quel che può valere, però, condivido in toto le perplessità di Luciochef sulle piccole falle da lui percepite nello sviluppo del plot.
Con la consapevolezza, sia chiaro, che è infinitamente più semplice commentare ex post un' avventura piuttosto che partorirne il soggetto e curarne l' intreccio.
Anzi, sono proprio due attività distanti e incompatibili, essendo quest' ultima l' acme della creatività, mentre l' altra -nella migliore delle ipotesi- un esercizio di stile basato su categorie più o meno analitiche.
In questa avventura di Casty, le zampate del Genio sono tante:
- grafiche, come la citata splash-page della 32.ma tavola, o come le sapienti ombreggiature con cui viene disegnata la villa in vendita;
- narrative, come l' ultima tavola di "alleggerimento", tutt' altro che superflua, ma anzi volta a sottolineare la potenza della conclusione della vicenda di Odoard Crunch decomprimendo l' azione ed accompagnando il lettore verso il finale;
- linguistico-sintattiche, come il godibile, spassoso nome dell' agente immobiliare, o come gli equivoci balloon ("aiuto!") di Pippo dai quali viene richiamato Topolino.
A mio avviso, geniale poi che i soggetti dei quadri non si esauriscano con l' amore non corrisposto rappresentato dalla Ragazza dei Miei Sogni, ma siano arricchiti dal candore fanciullesco / inquietante desolazione espressi dal clown, classico elemento narrativo-letterario del genere orrorifico.
Eppure... eppure... questa avventura non diventa un capolavoro proprio per lo scivolamento verso l' affrettata risoluzione della vicenda e il precipitoso finale.
Il sospetto, come già suggerito, è che il buon Casty abbia dovuto rispettare logiche editoriali che hanno ingabbiato in 35 tavole un plot che avrebbe meritato più ampio respiro.
Per quanto riguarda invece l' inghippo della mancata distruzione dei quadri, della cui esistenza tutti in paese sono al corrente (tavv. 7-8) eccetto Odoard e Susanna (titolare dell' emporio, e quindi ben calata nella realtà locale), trovo che rappresenti proprio il vulnus dell' intera vicenda.
Si è lungamente dibattuto nel merito qui sopra, e forse è solo una questione di sensibilità personale ciò che io e qualche altro riteniamo un inciampo narrativo.
Ma secondo me Casty, perfezionista abituato a meccanismi svizzeri di incastro nelle avventure più "epiche", non può essere scivolato su un intreccio, diciamo così, più alla Frank Capra.
Ho letto -e riletto!- questa sua avventura, ed ogni volta mi viene da esclamare quel che disse Cantor enunciando il suo più famoso teorema : "Lo vedo ma non ci credo!".