Recensione Grandi Autori 88 - Topolino Writers Edition: Guido Martina È il 1948 e siamo in piena ricostruzione. Il primo gennaio è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, in aprile la Democrazia Cristiana ha vinto le elezioni e in luglio Antonio Pallante ha sparato al segretario del PCI Palmiro Togliatti. Si arriva a sfiorare la guerra civile. In settembre le Edizioni Audace danno alle stampe la prima striscia di
Tex, mentre il 16 ottobre esce
il numero 713 di Topolino, periodico che si avvia verso un clamoroso
restyling. Inizialmente edito da Nerbini con le storie di Giove Toppi e il nipote di Carlo Collodi come direttore,
Topolino era passato nel 1935 a
Mondadori per la cifra di trecentomila lire (
secondo alcuni anche grazie all’intercessione del regime fascista); da allora fino al 1988, escludendo soltanto un’interruzione dal 1943 al 1945 per ragioni belliche, l’editore milanese avrebbe rilasciato settimanalmente in edicola tutti i fumetti a firma Walt Disney.
Alla fine degli anni Quaranta, in un’Italia ancora in miseria, Mondadori si apprestava dunque a inaugurare un fatidico
cambio di formato per minimizzare i costi e meglio sfruttare una stampatrice già utilizzata per il mensile
Selezione dal Reader’s Digest. L’idea del direttore
Mario Gentilini è quella di
accompagnare il passaggio con una lunga avventura di produzione italiana: a occuparsi di questa storia sono, ai testi, il traduttore e redattore
Guido Martina e, ai disegni, il suo coetaneo e amico
Angelo Bioletto.
Il cobra bianco si concluderà sul primo numero di
Topolino “libretto”, edito nell’aprile 1949, dando avvio definitivamente alla pluridecennale produzione Disney italiana.
Il Professore nella sua posa iconica
Guido Martina, il protagonista della nostra storia, era un ex ufficiale di cavalleria laureato in Lettere a Torino. Fatto prigioniero in Polonia sul finire del conflitto, era sopravvissuto a un campo di concentramento austriaco. Professionalmente veniva dai documentari per la MGM e dal varietà radiofonico e nel secondo dopoguerra aveva già dato una forte impronta personale al mondo Disney ideando il
nome italiano di Scrooge McDuck e tramutando i kumquat di cui è ghiotto Eta Beta in
palline di naftalina. Nel corso di un quarantennio di carriera, Martina, soprannominato
il Professore, sceneggerà
diverse centinaia di storie (alcune delle quali rimaste inedite), inventerà personaggi tuttora sulla cresta dell’onda come Paperinik e Fantomius, creerà le celebri Parodie Disney, offrirà un’interpretazione dei caratteri dei personaggi principali decisamente riconoscibile e ancora rimpianta da molti appassionati.
È un fatto che
nell’ultima fase della propria carriera Martina sia stato gradualmente messo da parte da supervisori come Fossati e Marconi, le sue sceneggiature rivedute e corrette o addirittura rifiutate dai disegnatori assegnati e, quando ormai mancavano pochi anni alla morte, sia finito estromesso da
Topolino, con storie che, seppur pagate, non sono state mai disegnate e pubblicate. I tempi erano cambiati: lo stile del Professore non era più adatto a una realtà fumettistica che negli anni Ottanta era, come l’universo, in continua espansione.
Banditi il turpiloquio, le punizioni corporali, la satira dei costumi borghesi – tutti elementi fondamentali del “teatro a fumetti” di Martina – l’autore di origini piemontesi è stato a lungo relegato su pubblicazioni-miscellanee come
Disney BIG e
I Classici Disney, oppure in collane di maggior prestigio come
I Grandi Classici Disney dove ha per la verità spesso goduto di considerazione critica ma sempre un po’ nascostamente, lontano dalla deliziosa fanfara di un
Le grandi storie Disney o l’opulenza di una
Don Rosa Library.
Se eccettuiamo
un numero dei Maestri Disney del 2003, il necessario tributo al decano degli sceneggiatori italiani giunge soltanto ora e solo come ventiduesimo volume nella collana che possiamo chiamare
Topolino Special Edition, dopo Faraci, Casty, Artibani, Marconi, Faccini, Bosco, Pezzin, Enna, Cimino, Asteriti, Carpi, Scarpa, Chendi, Secchi, Mastantuono, Vitaliano, Pastrovicchio, Freccero, Sciarrone, Intini e Pezzin (di nuovo).
Una normalissima situazione martiniana Il secondo volume della
Writers Edition, che è la miniserie dedicata espressamente agli sceneggiatori che hanno fatto grande il
Topolino italiano, conta 288 pagine e ha per copertina un disegno riciclato da
Paperin di Tarascona, avventura contenuta all’interno; si noti come l’illustrazione mantenga l’antiestetico elemento delle monete calciate dal Paperone disegnato da
Luciano Bottaro. Il volume si apre con una
prefazione di Alex Bertani che possiamo suddividere in due parti: nella prima il Direttore rievoca gran parte degli eventi che avete appena letto in questa recensione; nella seconda offre una serie di riflessioni sulle difficoltà intrinseche, per un tomo come quello in questione, di rappresentare in modo più o meno completo la sterminata opera di un pioniere del fumetto popolare. Saggiamente Bertani definisce il volume «
un assaggio di alcune perle della sua ragguardevole opera, qualche significativa istantanea del suo lavoro».
Paperi marziani, paperi marziani dappertutto
Chiude il tomo una
postfazione scritta da Carlo Chendi, anch’essa divisibile in due sezioni, una biografica che cita grosso modo gli eventi già visti e una seconda più personale in cui racconta il loro rapporto professionale, i consigli di scrittura e in parte anche
l’uomo, con la sua cultura, la visione artistica e le idiosincrasie.
La prima storia ristampata è
Paperino “3D”, pubblicata originariamente su
Topolino 97-99, nel 1954. Ai disegni vediamo
Romano Scarpa, giovanissimo, alle prese per la prima volta con i paperi. La sconclusionata avventura “spaziale” di Paperino presenta, specie nella sua seconda sezione, un vago sapore favolistico, che fa pensare alle storie di Biancaneve e i Sette Nani che gli stessi Martina e Scarpa stavano realizzando assieme proprio in quegli anni. La versione proposta è
interamente a colori, provenendo quindi da una delle varie ristampe più recenti.
Segue
Paperino e la spina di Zio Paperone del 1956, disegnata da un Luciano Bottaro venticinquenne, una magnifica avventura esotica che riprende alcuni elementi formali barksiani – il Paperino lavoratore volenteroso, il viaggio in terre sconosciute – per rovesciarli all’interno della peculiare poetica martiniana. Paperone è già l’antagonista puro che diverrà tipico delle sceneggiature del Professore, e Bottaro non esita a mostrarci morte e pericoli fatali. In questo caso ritroviamo l’originale alternanza fra tavole colorate e in bianco e nero; questa storia non veniva ristampata da circa otto anni.
A seguire un altro capolavoro del duo Martina & Bottaro, la già citata
Paperin di Tarascona del 1957, pseudoparodia del
Tartarino di Tarascona di Daudet, all’epoca molto popolare. Questa avventura, resa graficamente in maniera eccelsa dal disegnatore ligure, vede Paperino ripercorrere alcune gesta di Tartarino (il viaggio in Africa, la caccia al leone) a causa di un intrigo di Paperone, che lo ha indotto ad assumere delle medicine che ne amplificano il coraggio. Si tratta di una delle storie più amate del Martina degli anni Cinquanta e non a caso è stata ristampata già in una decina di occasioni.
Topolino Kid è uno che va dritto al punto
Dopodiché il volume fa un salto circa un ventennio nella produzione del Professore, proponendo la prima (meravigliosa) avventura dell’alter ego western di Topolino:
Topolino Kid e Pippo Sei-Colpi del 1974, per i disegni di un dinamico
Giovan Battista Carpi. Torna qui la sgradevole abitudine, ormai tipica della
Writers Edition, di proporre il primo episodio di una saga. Poco male, comunque: la storia è probabilmente la migliore del lotto.
Qui il volume fa un ulteriore salto in avanti: siamo negli
anni Ottanta, decennio di stanchezza creativa per Martina. Le storie, di lunghezza medio-breve, sono l’irriverente
Paperino e i pesci d’aprile (
Perego),
Topolino e la mappa misteriosa (
Carpi),
Topolino e il pozzo di San Patrizio (
Scarpa) e l’astrusa
Topolino e l’eredità del bis-bis-bis (
Perego e
Peirano), tutte pubblicate tra il 1980 e il 1982. Su queste avventure un po’ sgangherate non c’è in realtà molto da dire se non che mantengono una certa freschezza narrativa pur con il
malus della struttura teatrale ormai ripetitiva nell’opera del Professore.
Una volta chiuso il volume
ci troviamo nuovamente a domandarci il senso ultimo, la finalità di una serie come Writers Edition. La foliazione esigua, di cui l’abile Bertani sembra quasi scusarsi in apertura, non riesce a contenere una rappresentanza adeguata della produzione del Professore. Otto storie su un patrimonio di centinaia di sceneggiature sembrano davvero un po’ poco e
la selezione è lacunosa sotto vari punti di vista: mancano i suoi primi successi (tra gli altri,
Il cobra bianco e il pur sempre straristampato
Inferno) e si fa sentire l’assenza di storie del periodo compreso fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, probabilmente la sua fase artisticamente più felice. Al contrario, quattro delle otto storie proposte appartengono alla fase che molti, e Bertani e Chendi sembrano implicitamente concordare nei loro brevi scritti a corredo del volume, considerano la peggiore. Si è già detto, poi, di
Topolino Kid, prima di dieci storie in
continuity.
Due domande sorgono spontanee: questo numero della
Writers Edition celebra adeguatamente il decano degli autori italiani, creatore di molti personaggi amati e ancor oggi utilizzati, inimitabile e imitatissimo, lo sceneggiatore di ferro che riuscì a farsi riconoscere per primo come autore di una storia Disney? E la seconda: un singolo volume potrebbe davvero riuscirci?
Martina e Perego anni Ottanta, entrambi sul viale del tramonto L’impressione generale su questo tomo, di qualità globale inferiore alla media di un qualunque numero dei
Grandi Classici, è che si tratti un contentino proposto agli appassionati che da anni storcono il naso per quella che può essere vista come una
damnatio memoriae “a singhiozzo”. L’assordante assenza di Martina dalle testate celebrative maggiormente pubblicizzate è probabilmente da inquadrarsi all’interno della delicata situazione nella quale versa il fumetto Disney contemporaneo, strangolato dalle censure e alla ricerca di una impossibile modernità.
Se sulla testata ammiraglia è proibito parlare di caccia e pesca e possiamo vedere cuoche intente ad affettare carote usando altre carote, come si può onorare e studiare criticamente un autore celebre anche per i propri eccessi? Eppure la collana cronologica
Paperinik le origini del mito (i cui primi undici volumi contengono quasi solo storie di Guido Martina) ha avuto un notevole successo. Eppure Giunti ha proposto di recente
Storia e Gloria della dinastia dei paperi e
Topolino Kid in volumi da libreria. Eppure, senza le sue scorrettissime sceneggiature, intere testate di ristampe potrebbero chiudere i battenti.
Guido Martina, che nel massimo della propria maturità artistica ha saputo essere sceneggiatore migliore della gran parte dei contemporanei, che ha saputo “tradire” i caratteri originari dei personaggi Disney generando maschere comiche di dirompente potenza espressiva, che ha avuto uno stile unico, ricordato con affetto dai lettori di diverse generazioni, è ancor oggi il pilastro su cui si reggono remunerative saghe odierne (impossibile non citare il Fantomius di Marco Gervasio) e testate come
I Grandi Classici. Mentre in Giappone si aprono parchi a tema dedicati a Osamu Tezuka e in Francia le opere di Hergé vengono ristampate in edizioni di pregio prive di censure, nel nostro Paese si sceglie di celebrare un grande artista del passato con un volume di meno di trecento pagine, apparato critico inesistente, interi decenni della sua produzione del tutto ignorati.
Personalmente,
sogno una Guido Martina Library.
Voto del recensore:
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