Mi sono preso qualche giorno per dire cosa provo.
Ci sono momenti in cui l’Umanità si stringe, unita da un dolore che prende e accomuna persone diverse per sesso, religione, colore della pelle e classe sociale. È stato così per gli attentati alle Torri Gemelle, per la morte di Papa Giovanni Paolo II, per certi versi anche per la dipartita di Nelson Mandela. Pochi avrebbero mai immaginato che una cosa del genere potesse accadere alla morte di un attore.
L’11 agosto Robin Williams ci ha lasciato. E come ha scritto su Twitter uno dei suoi figli, il mondo è più grigio senza di lui. Da quel giorno sento una solitudine che non dà segno di voler passare.
In molti hanno cercato di capire cosa l’ha spinto al suicidio, in troppi si sono sentiti in diritto di giudicarlo. Sicuramente tutti sono rimasti disorientati. Perché se c’era un uomo che non avresti mai creduto potesse suicidarsi, questo era proprio Robin Williams. Penso sia umano cercare una ragione, tentare di dare un senso a quella che si sembra una contraddizione. Non so perché Robin Williams si è suicidato e non contribuirò a questo rito di psicoanalisi collettiva. So solo che Williams non era semplicemente un attore: era un artista. E un artista non si può comprendere e inquadrare nei normali parametri che si riservano alla massa. Essere un artista è un dono e una maledizione, perché mentre ti mette in condizione di vedere il mondo da una prospettiva unica e privilegiata, non ti permette di condividere con nessuno la tua visione, perché nessuno è in grado di capirla.
Come ha detto Eruyomé, Robin Williams fa parte del mondo interiore di chi, come me, è cresciuto negli anni ’90. In molti non comprendono il dolore per la sua morte, in tanti etichettano i suoi film come zuccherosi e buonisti, adatti solo ad un pubblico sotto i 17 anni. Sono quelli che a 17 anni sono morti dentro. Camminano, lavorano, parlano, ma la loro anima è morta. Sono coloro che hanno confuso il maturare con l’uccidere i sogni, il diventar grandi con il diventar cinici.
Piangiamo Robin Willimas come, sono convinto, non piangeremo attori illustri come Al Pacino, Robert De Niro, Dustin Hoffman, perché ha insegnato alla mia generazione quale fosse la cosa più importante: il sentimento. I sentimenti, le emozioni, l’affettività come la parte più autentica dell’essere umano. Chi non mette al centro dell’esistenza il sentimento, è naturale che critichi Patch Adams, L’attimo fuggente, L’uomo bicentenario come semplicisti e buonisti. Non è in grado di capire che se dessimo ai sentimenti l’importanza che hanno, senza tante costruzioni e gabbie mentali, il mondo sarebbe più giusto, più bello, migliore. Molti tra coloro che invece lo capiscono, lo devono in buona parte a Robin Williams che in questo momento, ne sono certo, sta facendo ridere a crepapelle i nostri cari volati in cielo.
Ciao Robin, angelo tornato a casa.