Recensione Topolino 3381 Giuseppe Zironi deve avere una predilezione per la zona del delta del Mississippi, per la vita di quei luoghi, per la loro cultura, la musica, le persone… Dopo
Topolino e le notti blues, l’autore (con il contributo alla sceneggiatura di
Gabriele Panini) ci trascina nuovamente in Louisiana con
Topolino e il ritorno del bluesman, nuovo episodio della serie da lui stesso ideata,
Topolino giramondo.
La storia è semplice, lineare, con una piccola indagine che, più che fare da fulcro della vicenda, fornisce il pretesto per ampliare la visuale su quel pezzo di mondo, così come accade in altri episodi.
E così dalla
New Orleans odierna, di cui ci viene fatto vedere solo qualche scorcio, ci si tuffa subito nell’intrico delle
Wetlands, il gigantesco ammasso di paludi e canali che si formano tra i rami del delta, tra alligatori, hovercraft e musica, alla ricerca di un amore (forse) perduto.
È una storia appunto d’amore, ma anche di amicizia, di soprusi, di riscatto, con una narrazione anche movimentata a tratti, ma che si prende le giuste pause per dar modo al lettore di gustarla con la dovuta attenzione.
Una quadrupla d’effetto ci mostra poi in tutta la sua potenza un tornado che sradica la casa del protagonista e il pensiero corre inevutabilmente all'uragano Katrina, che distrusse la città nel 2005.
L’uragano che si abbatte su New Orleans, analogamente a quanto successe nella realtà
Chissà, forse l’autore ha voluto ricordare, disneyanamente, anche quella tragedia: d’altronde il vecchio
bluesman lo dice: «negli anni sono cambiate molte cose», al punto da non riconoscere nemmeno il suo quartiere; a volte le cose cambiano non solo per il normale trascorrere del tempo.
I disegni di Zironi sono adattissimi alla storia che raccontano, freschi guizzanti, mettendo in risalto ombre e luci di un paesaggio inconfondibile.
L’unica nota stonata è il consueto intervento redazionale:
non servirebbe nemmeno vedere gli originali per capire che almeno quattro dei protagonisti erano, nell’idea degli autori, afroamericani; i tratti somatici sono abbastanza evidenti, e d’altronde il 60% della popolazione di New Orleans è di colore.
È una cosa che non solo stona, ma lascia perplessi sul risultato.
Perché, come al solito,
nel tentativo di non “urtare la sensibilità” di qualcuno (di chi poi?) si finisce per fornire una rappresentazione artefatta e incompleta della realtà del mondo. Un atteggiamento sbagliato che, paradossalmente, finisce per emarginare dalle storie proprio quelle persone (quelle di colore in questo caso specifico) che vorrebbe, nelle intenzioni, “tutelare”.
In hovercraft sul Bayou
Il discorso è ovviamente ben più ampio e non è questa la sede per affrontarlo ma, considerando il pubblico al quale il settimanale si rivolge principalmente (facciamo una fascia d’età 8-14?) e le realtà in cui questo pubblico vive, sarebbe interessante conoscere le motivazioni di questi interventi. Richiesta che ovviamente cadrà nel vuoto però, nel caso, noi siamo qua per ascoltare le ragioni di tutti.
Per
Paperbridge di
Marco Gervasio è preferibile rimandare ogni giudizio alla conclusione.
Deludente
La sala prove di
Salati e
Urbano, disegni non eccellenti al servizio di una storia, evidentemente autobiografica che, pur volendo essere divertente, si concretizza in una serie di gag piuttosto fiacche.
Zio Paperone e i consigli proficui di
Panaro (Carlo) e
Panaro (Ottavio) ha un grosso problema e non è la caratterizzazione di Paperone. Il problema è che, arrivati con molta fatica (molta, molta fatica, alcuni dialoghi sono difficili da mandare giù) a tre quarti di storia, tutto si risolve in poche vignette con una spiegazione alquanto semplicistica e non soddisfacente.
Chiusura almeno col sorriso grazie alla consueta strampalata conferenza di Paperoga in
Storia Papera, di
Macchetto e
Vian.
Interessante l’articolo che fa da intermezzo ai due tempi della storia di apertura, sui luoghi in cui è ambientata. Spazio anche a canzoni e cantanti protagonisti dell’estate che avvia a concludersi
Voto del recensore:
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