Corsi e ricorsi storici. Anche nell'animazione.
E' un momento di crisi per il mondo dell'animazione, anche se nessuno sembra accorgersene. Poche sono le voci fuori dal coro, ma un Miyazaki, o un Tim Burton poco possono se ciò che gli spettatori bramano altro non sono che commediole 3d che facciano sbragare dal ridere, e basta, magari con un sottofondo citazionoso e un balletto finale che rallegri lo spettatore facendogli dimenticare le debolezze della trama. E' una moda di cui possiamo "incolpare" soprattutto la Dreamworks che da Shrek in poi ha capito qual'è il modo migliore per vendere un film d'animazione a un pubblico adulto, cioè facendolo passare come un prodotto esclusivamente umoristico, razziando a piene mani dal repertorio creativo Pixariano. La cosa triste è che sia adesso la Disney ad adeguarsi al panorama, rinunciando per la prima volta al suo ruolo-guida. Una cosa di cui tener conto osservando ciò che la Disney sta producendo in questi ultimi anni, è che tutto ciò che ci passa davanti agli occhi lo vediamo in differita di anni e anni. Proprio in questi giorni il panorama sta mutando ulteriormente, con l'arrivo di Bob Iger al comando della Disney, l'acquisizione della Pixar, il ritorno ai grandi classici in 2d e quant'altro Roy Disney, John Lasseter e Alan Menken stiano macchinando per tornare a far risplendere come un tempo la casa del Topo. I primi frutti di questo grande rinnovamento sono però previsti per il 2007-2010, quindi per adesso non possiamo far altro che attendere e sorbirci per un altro paio d'anni i frutti delle scelte compiute da Michael Eisner nei suoi ultimi disastrosi anni di mandato.
E' in quest'ottica che va visto Chicken Little - Amici per le Penne, interessante tentativo della Disney di stare al passo coi tempi non rinunciando però ad uno stile fiabesco. Perchè è da una fiaba che la storia è tratta, una semplice storia tanto famosa in America quanto sconosciuta qui da noi: in essa il pulcino Chicken Little, colpito in testa da una ghianda, si convince che il cielo stia cadendo, coinvolgendo l'intero pollaio in un attacco di panico che lo consegnerà tra le fauci di una volpe. La fiaba, che alcuni dicono appartenere alla tradizione esopica, era stata già trasposta dalla Disney nel 1943 nell'omonimo cortometraggio che, con un sottile gioco di allegorie, metteva in guardia il popolo americano dal potere distruttivo della persuasione. Il riferimento implicito al nazismo avrebbe poi consegnato parzialmente all'oblio il cortometraggio, insieme a Der Fuherer's Face e gli altri corti di propaganda bellica del periodo. In questa rielaborazione della fiaba ad opera di Mark Dindal, già regista de Le follie dell'Imperatore il punto di vista cambia radicalmente con l'intelligente trovata di mostrare cosa sarebbe accaduto se il pulcino avesse avuto ragione. Per l'occasione il setting del pollaio viene esteso e diventa Querce Ghiandose, vera e propria città degli animali, in cui l'antropomorfismo non prende il sopravvento sulla natura bestiale, ma aiuta a ricreare quel senso di paradosso su cui tralaltro si basa l'umorismo pixariano. Tra conigli prolifici, pesci che guidano auto-acquario e camaleonti addetti ai semafori, sembra più di essere immersi in un mondo affine alle Silly Simphony Elmer Elephant e The Tortoise and the Hare, piuttosto che in un film di ultimissima generazione. Il piccolo Chicken Little si fa portavoce della ben nota parabola del diverso, destinato a riscattarsi, uno stratagemma per certi versi banale, ma qui condotto in modo molto fine, con un rovesciamento di valori che, differentemente da In Viaggio con Pippo, mostra un certo desiderio di emulare la figura paterna che trova un notevole ostacolo nella vergogna che il padre, dopo l'incidente della ghianda, nutre nei suoi confronti. Il messaggio del film è che coi genitori bisogna soprattutto dialogare, ed è parecchio acuta la critica che viene fatta da Dindal quando questo avviene, sì, ma solo dopo una partita di baseball. Un ulteriore elemento di denuncia sociale è la suddivisione a scuola tra popolari e impopolari: mentre a farsi portavoce dei primi è proprio la volpicina della favola, Foxy Loxy, traformata qui in una tipica bulletta delle medie, a rappresentare i secondi c'è il gruppo di amici di Chicken Little, uniti nella sventura dalle cause più svariate: Chicken Little è il classico nerd occhialuto e gracilino, Alba Papera è BRUTTA, Aldo Cotechino è effemminato e poco virile mentre Pesce Fuor D'Acqua non presenta particolari handicap sociali se non quello di essere extracomunitario.
Un quadretto niente male, su cui un filmetto senza la pretesa di essere un kolossal si potrebbe reggere benissimo. Ma c'è un però. Chicken Little è il primo film d'animazione della Walt Disney Feature Animation ad essere realizzato totalmente in CGI. Nelle intenzioni della dirigenza, che da Mucche alla Riscossa in poi ha deciso di chiudere definitivamente con l'animazione tradizionale, la Disney avrebbe dovuto inaugurare una nuova era in cui, orfana di Pixar, avrebbe dimostrato alla concorrenza di poter sfornare dei prodotti competitivi col nuovo scenario che si era venuto a formare. Chicken Little fu il malcapitato, costretto ad assumersi un compito per il quale evidentemente non era stato progettato. L'anima bidimensionale del film venne in questo modo profondamente snaturata per poter apportare quelle modifiche necessarie per poter dimostrare che anche la Disney non era da meno. Il risultato è un film in cui la componente modernista stona parecchio con la storia di fondo. Uno stridìo che si può ritrovare soprattutto nelle campagne pubblicitarie e nei manifesti che riportano colori cupi, laddove il film è invece assai pastelloso. Il discorso vale anche riferito all'ambito musicale, con pubblicità che mostrano animazioni realizzate apposta in cui il pulcino e i suoi amici ballano al ritmo di Dragostea Din Tei. Il risultato di tutto questo è un film che non mantiene le promesse finendo per non soddisfare appieno né lo spettatore superficialoide, che finisce per rimanere profondamente deluso dalla finezza dell'umorismo, che ai suoi occhi si traduce in fiappezza, nè lo spettatore classicista che si ritrova a vedere un film profondamente inquinato da atteggiamenti pretenziosi e poco Disneyani.