Recensione Topolino 3404 Avevo delle aspettative piuttosto alte per
Topolino e lo strano caso di Villa Ghirlanda, dovute ovviamente all’autore.
Blasco Pisapia, come autore completo, non è molto prolifico ma si è sempre dimostrato capace. Parliamo pur sempre di colui che è riuscito a dare un senso persino a un personaggio insulso e improduttivo come Clarabella, affiancandola a un’identità forte come
il personaggio di zia Nena.
Purtroppo tali aspettative sono andate parzialmente deluse: già dalla prima puntata l’invadente e fondamentalmente inutile presenza del nuovo personaggio creato per l’occasione mi aveva fatto storcere il naso, troppo macchiettistico per essere davvero efficace, anche come antagonista.
Tuttavia la storia ha preso subito la strada del
classico giallo all’inglese, con tanto di ambientazione
ad hoc e quindi, una volta calati nel meccanismo, si può anche passare sopra a diverse cose. Il problema è che questo meccanismo si inceppa proprio nel momento
clou. La cosa più fastidiosa sono le ripetute “intuizioni” di Topolino: non sembra capace di elaborare un pensiero o un’ipotesi autonoma, deve essere spronato. Un ignaro passante gli urla casualmente una parola chiave per strada e lui… Intuizione! Minni gli fa notare involontariamente un’altra parola chiave e lui… Intuizione! Non è in grado di fare un passo da solo, potremmo definirlo un detective-barattolo, tanto lo spingi e tanto cammina…
Battute a parte, la risoluzione appare non facilona ma proprio confusa, così come poco chiaro è il ruolo dell’
ispettore Irk (che, attenzione!, per quel che ne sappiamo, risolve il caso in autonomia, senza “aiuti” e anticipando tutti, ma fa la figura dell’incapace, mentre Manetta si prende gli onori: un inno alla meritocrazia, proprio!), sacrificato sull’altare della facile presa in giro tecnologica. Dalle sue parole sembra che comunque lo ritroveremo ancora, si spera in un ruolo un po’ più pregnante, perché tutto sommato un’alternativa valida (e sottolineo valida) a Rock Sassi e che faccia un po’ di concorrenza a Topolino non sarebbe una brutta idea.
Un accuratissimo ed efficace studio degli ambienti
Riguardo i disegni, se nulla si può dire su ambientazioni e inquadrature, tratteggiate con un segno agile e dettagliato, qualche perplessità resta sul
character design, soprattutto di Manetta.
Zio Paperone e la bolla dei Papcoin è una storia che va valutata con attenzione: come già in precedenti occasioni, l’obiettivo dello sceneggiatore
Fausto Vitaliano (autoironico fin dalla prima tavola, dove accenna a una delle caratteristiche salienti della sua scrittura: l’uso di sinonimi e ripetizioni) è più quello di costruire una specie di satira sul fenomeno delle criptovalute piuttosto che scrivere un qualcosa che possa essere anche “didattico” o divulgativo. In effetti il procedimento alla base dei
Papcoin è alquanto fumoso, per non dire incompleto, se non addirittura errato. Tuttavia appare chiaro che l’intento dell’autore non sia perdere tempo nello spiegare qualcosa ma trasportarci direttamente nel vivo della bolla della moneta virtuale per illustrarne, in maniera ovviamente iperbolica, gli eccessi a cui può dare vita. Una mossa legittima e anche lodevole certamente, arricchita con delle scene simpatiche e che nello svolgimento ricalca le classiche imprese affaristiche di Paperone ma… C’è più di un ma…
Prima di tutto, la facile ironia sui nerd è ormai piuttosto anacronistica (per dirla con lo stesso lessico che si cerca di scimmiottare, è davvero da
boomer) mentre il peggio arriva col finale, insensato anche se esaminato alla luce di una storia puramente di fantasia.
Per assurdo, la “digitalizzazione” progressiva a cui sembra andare incontro Paperone (uno stratagemma, se vogliamo, piuttosto
ciminiano) sarebbe stata più accettabile di un blob impazzito, fuggito da un server, che trasporta tutti gli utilizzatori in un mondo parallelo. Ma perché un generico mondo parallelo, poi? Perché non direttamente nella rete, giacché di quello si sta parlando? Insomma, va bene buttare tutto in farsa, ma anche la farsa è un genere che ha una sua nobiltà e non tutto può essere accettabile.
Ed è qui che torniamo all’inizio e ai difetti di base di quanto scritto. La storia non implode per qualche oscuro motivo, ma si accartoccia su sé stessa perché tutta la vicenda non è imperniata su meccanismi ben definiti, bensì assolutamente vaghi. Finita quindi la spinta propulsiva di quelle poche gag che danno un po’ di brio, non resta che chiudere tutto in fretta. E quando dico in fretta intendo in maniera improbabile. E quando dico improbabile intendo campata per aria.
Ultimo punto dolente: i personaggi pixellati. L’ultima volta che ricordo di aver visto qualcosa del genere era nell’episodio
Fantasmi nella macchina di
Hellblazer, disegnato da John Ridgway. Era il 1988, trentatré anni fa, e c’era il Sega Mega Drive, che aveva una risoluzione comunque maggiore di quella dei disegni dell’ultima parte di questa storia.
1988Oggi Questo per dire che magari oggi, con i lettori più giovani che probabilmente non hanno mai visto un’immagine meno che Full HD, si poteva provare qualcosa di diverso per rappresentare un mondo virtuale.
Ho lasciato per ultima
Area 15: Retrogaming! (dove i pixel hanno un senso) di
Marco Nucci perché, trattandosi del primo episodio, aspetto di leggerla per intero per dare un giudizio. Al momento, al netto di una personale sensazione di avere di fronte dei personaggi leggermente più giovani (negli interessi e nel comportamento) di quelli scritti da Gagnor, sembra promettere uno svolgimento interessante; menzione particolare per i bei disegni di
Libero Ermetti. Sul resto delle storie non mi soffermerei più di tanto, sono tutte poco memorabili. Poco interessante anche l’apparato redazionale questa settimana: un paio di pagine dedicate al calcio, qualche consiglio per la lettura e niente altro
Voto del recensore:
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