Recensione Topolino 3406 Che su
Topolino, dal 1949 ad oggi, ci sia stata una progressione verso un linguaggio sempre meno scanzonato e più incline ad una certa
vis celebrativa dei personaggi e delle loro qualità è cosa nota. Da Topolino, immortalato da Romano Scarpa come “il più grande dei personaggi e nostro migliore amico”, a Paperino, osannato scientificamente nella sua “normalità”, a Zio Paperone, l’avaraccio dal cuore d’oro, capita talvolta che i personaggi non facciano nulla di nuovo, ma semplicemente si autocommentino, con la sceneggiatura che calca la mano nel momento decisivo sulla loro qualità principale.
Per questa via, più in generale, passa
l’inclinazione per un certo tipo di retorica – sia intesa in un senso non automaticamente deteriore – tipica del settimanale negli ultimi anni: vale a dire, il trattamento dei passaggi narrativi con un tono enfatico, celebrativo, lo strutturare la vicenda su snodi emotivi piuttosto che su scatti narrativi particolarmente sofisticati,
in modo che ad uscirne sottolineate siano le caratteristiche vincenti dei personaggi, e non la specificità della trama contingente.
Il numero di questa settimana è un vero monumento a questo tipo di approccio.
Giorgio Salati nella prima puntata di
Musicalisota mette in campo l’
assoluta normalità di una teen band di provincia, e i suoi piccoli successi: una cronaca per la quale va dato atto all’autore di aver riprodotto dei sapori e delle dinamiche perfettamente verosimili e oliate. E tuttavia, a leggerla per un altro verso, questa prima puntata è davvero una non-storia: non un imprevisto, non una risata, mai l’innesco di una curiosità circa gli sviluppi di una trama che potremmo apprendere par pari da un amico adolescente con il pallino della musica; spiccano solo i disegni, molto godibili, di un
Nico Picone in piena “freccerizzazione”, e per ora molto lontano dall’intinismo degli esordi. Intinismo il cui eventuale recupero, con i nuovi mezzi tecnici nel frattempo assorbiti, desterebbe sin d’ora moltissima curiosità.
Prima della prima E sempre in tema di tratti frecceriani, l’ormai presentissimo
Stefano Zanchi illustra per
Marco Nucci la seconda e ultima parte di
Gastone e la solitudine del quadrifoglio. Se nella settimana passata qualcuno ha lamentato uno snaturamento del personaggio rispetto a quello barskiano, un vanesio lontano anni luce da alcuna forma di empatia con gli altri, personalmente ritengo che
“operazioni introspettive” su personaggi simili siano, tutto sommato, un accettabile segno dei tempi. Non sempre, certo, hanno esito positivo, ma ben vengano se possono avvicinare un personaggio alla sensibilità dell’autore che è chiamato a gestirlo.
Quanto alla storia in sé, il suo punto di forza è certamente, come sempre in Nucci,
il “mestiere” delle sue sceneggiature.
Pause nel dialogo, inquadrature, espressioni, regolazione del microclima della tavola, tutti segni di un autore preparato e di una sceneggiatura efficiente.
Ma la trama è stranamente sbilanciata sul caricamento celebrativo del personaggio.
Farmtown, Vecchio o Nuovo mondo?
I “nuovi amici” di Gastone, “i migliori del mondo”, sono piuttosto anonimi: lo sono dal punto di vista caratteriale, ma in fondo non è obbligatorio esser personaggi a tutto tondo nel fumetto Disney, se si ha l’opportuna
vis comica. Ma al contrario, c’è pochissimo da ridere in questa storia, giusto alcune gustose didascalie (altro segno ricorrente del “mestiere” di Nucci). Ecco dunque
un certo sbilanciamento retorico sul personaggio e sui suoi pensieri, del resto non imprevedibili una volta compresa l’impostazione della storia. Buona e originale è l’idea che la fortuna di Gastone sia in rapporto quasi simbiontico con la sfortuna di un’altra… entità (ma non anticipiamo troppo), ma non abbastanza forse da ribaltare questa impressione.
Un’ultima, piccola curiosità: gli scorci del paesello che fa da “
buen retiro” a Gastone sono
potentemente intrisi di architettura europea. Non una vera stranezza, in una rappresentazione di quel bizzarro mondo di prestiti di tutti i tipi che sono gli Stati Uniti d’America, ma certamente un sintomo dell’inclinazione dei disegnatori nostrani per le forme e i modelli del Vecchio Mondo quando si tratta di parlare al lato più familiare della coscienza del lettore.
C’è tempo per due rapidissime pagine di aggiornamento sull’inizio dell’anno di Formula 1 prima della coppia di episodi sanremesi di questa settimana,
Sanromolo 2021: Buon viso e cattivo gioco e
La ricetta della felicità. Scritti da
Pietro B. Zemelo, ex promessa ed oggi stabilmente nell’indice del settimanale, il primo è disegnato da un buon
Luca Usai e il secondo da un
Alessandro Perina forse in certi punti un po’ troppo… gommoso (ma si sa, con le paperizzazioni di mezzo…).
Anche in questo caso, entusiasmo e il solito pizzico di retorica spalmato sull’amore per la musica, sul fasto della macchina di lucro e spettacolo (impersonati rispettivamente da Paperone e dai due conduttori Paperello e Amaduck), sull’amabilità dei piccoli inconvenienti organizzativi punteggiati dai pasticci paperineschi, persino su
una rappresentazione più che cartolinesca del “buon sentire” italiano (cibo, affetti e musica nel sangue). E, consueta etorogenesi dei fini, alla resa finale è un senso di stanchezza e di ripetitività, non di freschezza e dinamismo, quello comunicato da queste due storie: un involontariamente fedele ritratto dei destini del nostro Festival della canzone? Può essere. In tal caso, come talvolta accade,
Topolino si riscopre inatteso specchio dei tempi.
Attenzione: caduta stereotipi
E a proposito di tempi: sembra provenire dritta dagli anni Ottanta
Zio Paperone e il futuro del tempo. Tra una ormai immancabile citazione dalle canzoni di
Frozen e l’altra,
Fabio Michelini riscrive l’eterno canovaccio che ereditò decenni fa da Giorgio Pezzin: una grande idea tecnologica e commerciale, data in pasto alla macchina economica paperoniana, che finisce per creare svantaggi al suo creatore e dissesti nella società. Anche qui,
una certa inevitabile stanchezza per un copione così antico inficia la resa finale, complici i disegni di un inatteso e redivivo
Andrea Ferraris che non appare forse al meglio della forma grafica.
Il numero si completa con una storia di Topi, dal macchettianissimo titolo
Topolino e il caso della cosa nella casa, ma sceneggiata in verità da
Sisto Nigro: la storia regge nella parte iniziale,
coinvolgendo persino Gancio e il famigerato zio Sfrizzo de’ Pippis, ma nella conclusione si incanala senza sussulti verso acque sin troppo abituali.
Eppure a parere di chi scrive la miglior sorpresa del numero sono proprio i disegni di questa storia: il quasi esordiente
Andrea Malgeri, disegnatore di un pugno di storie a cavallo tra 2018 e 2019, fa il suo ritorno con un bellissimo stile che, dietro un’evidente ispirazione frecceriana, sviluppa
un tratto particolarmente rifinito e dalle chine molto sottili, particolare oggi piuttosto raro.
Chiude il numero un approfondimento sulla storia in uscita a partire dalla prossima settimana, che accompagnerà una serie di
gadget a tema Deposito: il lavoro è affidato nientemeno che ad Alessandro Sisti e a Libero Ermetti, e c’è di che ben sperare. Alla prossima settimana!
Voto del recensore:
2/5Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
http://www.papersera.net/wp/2021/03/05/topolino-3406/Ora è possibile votare anche le singole storie del fascicolo, non fate mancare il vostro contributo!