Recensione Topolino 3424 Relatability. Tutto sommato, se si dovesse individuare un termine specifico per descrivere il nuovo corso bertaniano di
Topolino – rimanendo per di più al passo con un certo tipo di lessico altrimenti intraducibile –, sarebbe proprio questo. Molte volte, anche qui sul Papersera, è stato fatto notare come il progetto di legare le storie di Topi e Paperi al più ampio contesto attuale, trovando così
un riscontro ancor più diretto con il target di riferimento della rivista, sia la stella polare dell’attuale Direzione.
Target, del resto, è l’altro anglicismo che meglio identifica il
Topolino degli ultimi anni, mese più mese meno. Fatta questa necessaria premessa, è sempre più evidente come il “totem del
core target” sia da prendere in considerazione come
primo fattore per la fruizione delle storie: dolersi, come talvolta accade, di alcuni contenuti troppo… giovanili non è l’approccio più corretto da utilizzare nei confronti di fumetti che poggiano scientemente sulla possibilità di immedesimazione dei lettori più piccoli nelle avventure dei personaggi Disney degli attuali anni Venti.
Le avventure proposte su
Topolino 3424 corrispondono esattamente e forse più che in passato a tutto ciò. Anzi,
sembra che questo albo sia quello con più storie a tema teen in assoluto: ben quattro su sei, volendo includere anche il brevissimo e dimenticabilissimo raccontino notturno di Panini e Amendola. Forse è un caso, dato che già dal prossimo numero saranno di nuovo gli adulti a riprendere saldamente possesso delle pagine del giornale, da Bum Bum a Paperoga passando per Gambadilegno, Trudy e Sgrinfia. Se di semplice coincidenza trattasi, certamente è indicativa della grande attenzione a tematiche in qualche modo più familiari e quotidiane per la platea di giovani lettori.
La grande attesa
L’assortimento, per quanto possa essere ritenuto troppo “targhettizzato”, è in realtà molto vario e mostra nel modo migliore possibile una gran varietà di approcci autoriali alla materia.
Archiviata nel numero scorso la scalata al successo calcistico del 313 FC raccontata con criterio e passione da Nucci e Intini, sul 3424 sono le vicende musicali di Qua e dei Bumpers ad arrivare al traguardo. In
Cornelius Day, infatti,
Giorgio Salati e
Nico Picone conducono il lettore alla meta paperopolese dopo aver presentato nuovi luoghi, contesti e abitanti di varie altre zone del Calisota.
All’ombra di una statua di Cornelius Coot addobbata a festa, i nodi di questo piccolo romanzo di formazione vengono a sciogliersi, risollevando proprio in occasione del finale una lunghissima storia a puntate. In particolare, anche all’interno di una logica di (ri)costruzione delle relazioni tra i personaggi in nome della suddetta
relatability, è
il rapporto tra Paperino e Qua a rinsaldarsi dopo quanto accaduto nel quarto episodio.
È un modo, nemmeno troppo velato, di ricollegarsi anche a
Buona fortuna Qua di Gagnor e Sciarrone, nella quale però il tema dell’iniziale incomunicabilità tra zio e nipote si riallineava in maniera molto meno problematica alla capacità da parte di Paperino di capire e interpretare i pensieri del giovane paperotto.
Sostanzialmente avviene la stessa cosa anche in questo caso, ed è effettivamente il risultato migliore raggiunto dalla storia di Salati, in particolar modo in una sequenza risolutiva che si svolge durante l’ultimo concerto dei Bumpers. Per il resto,
gli aspetti più intimistici, che vanno avanti per pagine e pagine anche nell’epilogo, sono il centro di gravità permanente di una sceneggiatura volta alla ricerca di una rappresentazione più profonda dell’animo dei protagonisti, sconfinando però a volte in un eccesso di malinconia di maniera.
Colpo di scena! Un plauso va a Picone che, rispetto agli esordi in cui la mimesi dello stile intiniano si rilevava probabilmente limitante per la sua sensibilità artistica, sembra aver trovato la giusta dimensione in cui spaziare. Al di là della recitazione dei personaggi, è notevole la costruzione delle tavole, alternando con criterio ampie scene panoramiche a sequenze di puro dialogo.
Ad alzare di più il tiro e a colpire nel segno è invece
Roberto Gagnor con un episodio autoconclusivo di
Area 15,
Ray e il grande esperimento, cui è dedicata anche la copertina. Il dato macroscopico più evidente, in questo caso, è l’intitolazione a una delle giovani
new entry dell’ultimo anno, presente del resto anche nel tour di
Musicalisota: un modo ulteriore di arricchire il
cast con elementi più che interessanti capaci di condividere la scena con gli
standard character senza arrivare a rubarla e tenerla per sé.
C’è aria di crisi
Diciamo subito le cose come stanno:
Gagnor confeziona una delle storie migliori della sua produzione. Giocando sempre sulla questione della
relatability, Qua e Ray sono due preadolescenti perfettamente credibili nelle loro emozioni, relazioni, ansie, aspettative, rinunce, silenzi, rivalità. In sole venti tavole si sviluppa
una vicenda molto semplice dal punto di vista della trama, ma al contempo
la tematica dell’amicizia è trattata con delicatezza e senza retorica, spesso e volentieri vuota e fine a sé stessa.
Il ruolo di mentore e di “zio
ad honorem” occupato stavolta da Archimede è necessario a far svoltare e rinsaldare il rapporto tra i due paperotti, e la stessa
handbike non è altro che un pretesto narrativo: contrariamente a quanto si potrebbe immaginare anche solo guardando la copertina, infatti, non c’è in ballo l’ennesimo trofeo all’interno di una qualche competizione cittadina.
Si sposano molto bene con i testi i disegni (e le ombreggiature digitali) di
Libero Ermetti, un giovane autore da tenere sempre più d’occhio per la spiccata capacità artistica con la quale riesce a rendere vivissimi e credibili i personaggi. Inoltre, Ermetti dona in questa occasione quel pizzico di apprezzabile virtuosismo in più nella sequenza in
flashback sul passato di Archimede, specialmente nella caratterizzazione
vintage di alcune comparse.
I riferimenti grafici che mandano in brodo di giuggiole noi vecchiacci Ciò che comunque continuano a dimostrare le vicende, autoconclusive o meno, legate al ciclo di
Area 15 è l’effettiva fecondità dell’idea di un club attorno al quale ruotano personaggi storici e nuovi coprotagonisti del cosmo paperopolese. La serie, inaugurata nel 2020, naviga con una certa sicurezza su una rotta che alterna strizzate d’occhio al mondo nerd – probabilmente un po’ più anagraficamente cresciuto rispetto ai nipotini e ai loro amici – a storie sull’amicizia più pura. In tal senso i giovani lettori possono contare su un’attenzione calibrata nei loro confronti da parte di autori che sembra sappiano trattare certi argomenti. E non era così scontato fino a poco tempo fa, quando sembrava bastasse un noioso riferimento al “Papernet” di turno per far finta di aver capito il proprio
target.
Una diversa sensibilità arriva naturalmente con
l’ennesimo episodio di Young Donald Duck, che cerca di parlare a un pubblico più trasversale da un punto di vista geografico: le storie di questa serie, tutte pensate in origine per il mercato internazionale, presentano di conseguenza uno stile di scrittura sensibilmente differente rispetto alla media abituale di
Topolino. È il caso di
Quando il preside è in vacanza, di
Chantal Pericoli e
Marco Mazzarello. Ciò che continua a non tornare del tutto è l’effetto di straniamento nel vedere gli
standard character in ruoli – forse – non adatti al loro spirito, piegandoli alle esigenze di trama.
Scambiarsi di ruolo… vera avanguardia? Certo, Paperino, Topolino & Co. sono stati giovanissimi come i nipotini e li abbiamo visti più di una volta muoversi bambini o ragazzini nel loro passato, ma
il contesto fortemente attualizzante in cui sono calati li rende quasi fuori posto rispetto a ciò che si va a raccontare, senza riuscire a sfruttare fino in fondo le loro enormi potenzialità (a differenza della notevole sperimentazione proposta nella
quasi omonima collana di romans graphiques editi da Hachette).
È prevalentemente una questione di
setting stabilito a priori in fase di studio della serie, non della qualità delle singole storie. In questo senso, infatti, l’episodio confezionato da Pericoli è abbastanza buono nell’economia più generale di
Young Donald Duck, presentando delle scenette abbastanza gradevoli. Resta però uno scarto incolmabile con le “nostrane” e più genuine
Area 15 e
Calisota Summer Cup o con la stessa
Musicalisota.
Il discorso sulla relatability riguarda anche i genitori dei lettori!
Molto più tradizionale è invece la vicenda in due parti
Tip & Tap e l’invasione dei droni, di
Pietro Zemelo e
Luca Usai. Non vengono proposti discorsi preadolescenziali e non si fa di certo introspezione; si sceglie piuttosto di puntare sulla commedia disneyana più classica, legando il tutto alla sponsorizzazione del gadget estivo allegato a
Topolino dal numero 3425, il
Topodrone.
Per certi aspetti
sembra di essere tornati al 2011, quando sul giornale la tecnologia più in voga del momento diventava il pretesto per mettere in moto l’azione dei personaggi. Rispetto all’iPap, però, un piccolo drone è di sicuro più accessibile e forse più desiderabile dal solito
core target, e la prima parte della storia con Tip & Tap scritta da Zemelo è al momento utile a far salire curiosità e
hype per l’oggetto in questione.
Non rimane che l’avventura
mystery posta in apertura dell’albo. Va infatti in scena la prima puntata dell’epilogo(?) della saga di Mister Vertigo, personaggio “comparso” sulle pagine del settimanale all’incirca un anno fa. In
Topolino e il principe della menzogna,
Marco Nucci si riallaccia al finale della precedente
Ombra di Mister Vertigo facendo interagire maggiormente il protagonista con Orson Kane, l’editore dal nome più parlante che sia mai esistito.
La vicenda che prende avvio con
Il mistero delle Mousinger sembra al momento costruita sugli stilemi più rodati e classici del giallo topolinesco, forte di una campagna pubblicitaria sufficientemente martellante legata a un concorso a premi: coinvolgere i lettori nella soluzione dell’enigma sembra essere al momento lo scopo principale dell’“operazione Vertigo”. Le premesse da cui si parte in questo caso sono abbastanza semplici: sette macchine da scrivere difettose, sette acquirenti che se le sono aggiudicate all’asta in passato, sette (o più) potenziali sospettati tra i quali potrebbe esserci proprio l’evanescente e imprendibile
villain.
Il tutto è portato avanti dall’
ormai solita monomania ossessiva di Topolino per questo antagonista e per lo stato di angoscia collettiva nel quale Vertigo riesce, di quando in quando, a trascinare l’intera Topolinia. Per il resto si segnala l’introduzione di
Eta Beta e Flip nella serie e, se l’esperienza insegna qualcosa, il loro coinvolgimento sarà in qualche modo più che risolutivo. La lunga cavalcata verso la conclusione(?) del dossier Vertigo procederà ancora per altri tre numeri, alternando ai disegni
Ottavio Panaro, che è forse più sul pezzo rispetto ad altre sue prove recenti, e
Fabrizio Petrossi, il primo autore coinvolto nell’ambizioso progetto di Bertani e Nucci.
Voto del recensore:
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