Recensione Topolino 3487 Il maestro internazionale di scacchi Anatolij Karpov ha detto: «Negli scacchi c’è tutto: amore, odio, desiderio di sopraffazione, la violenza dell’intelligenza che è la più tagliente, l’annientamento dell’avversario senza proibizioni. Poterlo finire quando è già caduto, senza pietà, qualcosa di molto simile a quello che nella morale si chiama omicidio».
Non sempre è facile giocare e vincere agli scacchi, e Topolino ne sa qualcosa.
La frase è utile per introdurre la storia principale di questo nuovo albo,
Scacco matto a Topolino (
Di Gregorio/
O. Panaro), primo episodio di quattro che pone il nostro protagonista, assieme a Pippo e agli altri comprimari del commissariato di Topolinia, in
un thriller, o presunto tale. La minaccia di colpire Topolinia, per il rifiuto di giocare una partita a scacchi, sembra un buon presupposto per dare
suspense, tensione e avere una trama che voglia impressionare.
Ma evidentemente non è questo il caso.
La storia, che pure sembra avere uno svolgimento abbastanza lineare,
fa fatica a decollare: la tensione non è avvertibile, e anche la minaccia dello Scacchista (di cui viene rivelato il volto alla fine di questo primo episodio) è poco più di una burla. Se queste sono le premesse, altre tre puntate di questa storia rischiano di allungare un brodo già annacquato (e il
pun è voluto, visto il danno provocato nella storia stessa).
I disegni di Panaro a tratti sembrano richiamare uno stile ubeziano di inizio anni Novanta e, pur essendo lineari,
non permettono di avvertire la tensione che la storia voleva effettivamente dare, ma anzi la addolciscono.
Vignetta che forse rappresenta la chiave per capire l’intera storia Da una storia che sembra mancare il proposito, a
una che non sembra avere un proposito.
Road to World Cup: Una canzone per Dawson (
Nucci/
Intini) non fa altro che
mettere al centro il solito citazionismo alla saga donrosiana, ma si ferma lì. Il
filo logico della storia è
appena percepibile, ma non si capisce se propenda per la vittoria della partita senza imbrogli o se voglia rievocare l’ennesimo sentimentalismo per i luoghi in cui Paperone ha vissuto le sue avventure.
Al contempo, è
una storia che spezza la continuity recente, dato che affianca una Nuova Dawson a quella del periodo della corsa all’oro (e che invece sembrava essere stata completamente sostituita da edifici e strutture nuove nella
recente storia di Gervasio e Zanchi).
I disegni di Intini sono forse l’unica nota positiva: tondeggianti e ironici al punto giusto, intrattengono comunque rispetto ai testi.
A seguire (dopo un breve editoriale sul gioco degli scacchi), la coppia Nucci/Intini ci offre anche
quattro tavole autoconclusive su Eta Beta, in accompagnamento dell’editoriale di Barbara Garufi per celebrare il 75° anniversario dalla prima apparizione in
Topolino e l’uomo del 2000.
Una serie di brevi, appunto,
che comunque cerca di strappare un sorriso, e in alcuni casi ci riesce. Stona un poco vedere un Eta Beta inforcare gli occhiali da lettura, ma forse è parte del
mood ironico in cui viene calato.
I misteri di Paperopoli: Paperino e il Museo Ducktrip (
Sarda/
Fecchi) è invece di ben altro tenore rispetto alle precedenti. Una storia che, come le altre della serie, cerca di mettere al centro un
“protagonista silenzioso” del panorama paperopolese, ovvero un luogo o un monumento che sia stato testimone di storie da raccontare. Ma è anche una vicenda che rievoca uno stile datato, e forse per questo apprezzabile. Sarda confeziona
una trama semplice, ma efficace, e il colpo di scena dell’erede avido di Ducktrip dà proprio la sensazione di essere tornati indietro di trent’anni e di leggere quelle storie che riuscivano a coinvolgere.
Una notte al Museo DucktripCoinvolgere, sì, ma
il protagonista di questa avventura (il museo, appunto)
pare comunque messo sullo sfondo e solo per alcune vignette è possibile conoscere quale sia davvero il mistero che custodisce. Un segreto che, pare, sia la chiave per capire “l’armonia e la concordia” che regna a Paperopoli (ci crediamo?). Interessante anche il fatto di ritrovare Paperino come custode museale, che rimanda a
Paperino e il cimiero vichingo di Barks.
I disegni di Fecchi presentano un tratto molto pulito, benché il dinamismo sia proprio quello delle storie classiche e quindi risulti essere molto macchinoso e bloccato. Tutto sommato, è
un buon “tuffo nel passato”.
Da una salita, a una discesa.
PippoSpot: Il testimonial (
Gagnor/
Cabella)
non dà alcuna sensazione, se non mettere al centro l’ennesima propensione di Pietro Gambadilegno alla menzogna e alla ruberia, benché star degli spot e quindi con tutti i riflettori puntati addosso. I disegni di Cabella, invece, mostrano una certa eleganza nel presentare sia Pippo che Gambadilegno.
E di nuovo si risale con
Time Machine (Mis)adventures: Il tesoro di Capitan Tiburon (
Artibani/
D’Ippolito). Storia che apre
una nuova serie di autoconclusive legate da una trama orizzontale che si preannuncia interessante. Benché il
topos della macchina del tempo sia ormai scontato nel mondo Disney (e non solo per il mondo dei Topi, come ha tenuto a precisare lo stesso Artibani sui social, che ha omaggiato quella sferica della serie danese
Time Machine, riproposta recentemente su
Paperfantasy), la storia
scorre agilmente, ponendo basi molto semplici e curiose.
L’accuratezza storica che viene qui proposta è anche utile per usare i paradossi temporali, che dai tempi del romanzo di Wells (o da
Ritorno al futuro, per usare un esempio cinematografico) sono al centro di ogni storia di questo tipo.
Divertente, interessante soprattutto perché gli stessi paradossi temporali non risultano essere pasticciati; vi è anche un concetto di
worldbuilding iniziale che sarebbe interessante fosse spiegato nelle successive storie, ovvero
come si è arrivati ad avere città orbitanti e una simile Terra.
I disegni di D’Ippolito, inoltre, conferiscono alla storia
una grafica di tutto rispetto; anche il reimpiego di un personaggio “one shot” come Jay-J dall’universo di
Doubleduck conferisce ulteriore preziosità.
Ecco la macchina del tempo delle storie dei Paperi. Chissà dove ci porterà… L’albo sembra palesare
l’ennesima tendenza ondivaga degli ultimi periodi. Benché vi siano storie e editoriali che riescano anche a colmare lacune notevoli di interesse, nel complesso sembra di assistere ad una nuova caduta,
forse dettata anche dagli sforzi fatti in precedenza. La storia principale muove passi molto goffi, mentre soltanto il tocco di autori “classici” riesce a migliorare una situazione altrimenti non sufficiente.
Va comunque dato merito anche alla redazione di aver
rinnovato il comparto grafico dell’indice e del next a fine albo,
riportando un certo ordine che sembrava essere stato accantonato da almeno venticinque anni a questa parte. Sono stati
confermati anche i numeri di puntate in cui verranno sviluppate alcune delle storie a puntate degli albi, permettendo così al lettore di potersi orientare. In definitiva, la nuova veste grafica presenta uno stile rinnovato e ordinato. L’albo in sé, come proposta di storie, meno.
Voto del recensore:
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