Recensione Topolino 3477 Un numero, quello di questa settimana,
a dir poco eterogeneo. E non tanto per i temi, come è naturale e bello che sia: si va, certo,
da un’invasione aliena combattuta a colpi di musica alla classica
competizione d’immagine fra miliardari, dai
drammi di Ciccio alle opportunità di lucro di Paperone
fuori dall’orbita terrestre.
Ma ciò che colpisce è
una compresenza di stili che sfocia quasi nell’anacronismo, con la scrittura sempreverde di Bruno Enna a tentare di fare da difficile perno.
In apertura abbiamo la conclusione della seconda “stagione” di
Foglie rosse, di
Claudio Sciarrone con i colori di
Irene Fornari: una stagione anche in senso letterale,
Un lungo inverno. Un finale, questo, che si risolve in
toni e modi piuttosto convenzionali, tradendo forse le grandi premesse di alternatività e piglio che questa serie aveva portato alla narrazione topolinesca.
I personaggi, specie i ragazzi, risultano mescolati in
un calderone di esecutori degli ordini di Philly, sebbene
sul piano grafico la differenziazione rimanga abbastanza solida, anche tramite pose e gesti. Gli antagonisti risentono di un
design (e di schemi mentali) piuttosto convenzionali, che si propagano un po’ agli snodi della trama. Ciò che sopravvive davvero dell’afflato iniziale è
la carica emotiva del saluto, mediante biglietto, di Philly ai suoi amici. Saluto un po’ sgrammaticato (o svista del letterista?) ma sincero e vivido.
E proprio a tal proposito, non si può non notare come la storia di Sciarrone rappresenti a pieno titolo il “nuovo” del linguaggio e dei temi affrontati dal settimanale:
personaggi giovani, con un cervello pensante (al di là dell’appiattimento poc’anzi sottolineato e figlio di una gestione del finale un po’ troppo debitrice di certa cinematografia d’azione),
legati da sinceri e mai ridicoli sentimenti di amicizia.
Lucertoloni dallo spazio profondo, un classico intramontabile Topolino, uno dei pochi personaggi adulti,
è trattato con mano accorta e felice, e pur non prendendosi come di consueto il centro dell’azione fa da collante riconosciuto – affettivo, diplomatico, narrativo – a molti passaggi: una scelta azzeccata e in grado di connettere il mondo dei piccoli alieni tanto al tradizionale panorama del sistema dei personaggi Disney quanto all’impatto che eventi così bizzarri e macroscopici come quelli narrati non possono che avere sul “mondo adulto” topolinese.
Veniamo invece alla seconda puntata di
Megaricchi… Una poltrona per tre,
di
Bruno Enna e Alessandro Perina. Nel solco della
classica disfida a colpi di trucchi più o meno leciti per accaparrarsi (in questo caso) l’affetto e la stima dei paperopolesi espressa tramite televoto, brillano le disavventure di Paperino e Paperoga, prodi inviati del
Papersera, nella loro proverbiale impreparatezza.
Il savoir-faire di Red Duckan L’episodio è – legittimamente – lineare, ma
appare non sfruttare appieno le occasioni umoristiche, che forse avrebbero costituito il fattore dirimente della sua riuscita. È con una certa stanchezza, quindi, che la puntata prova a dire la sua in un filone già decisamente sfruttato (ma non per questo non degno di nuovi tentativi). Interessante certamente l’inserimento del misterioso quarto candidato alla poltrona di “megaricco”, e ben utilizzato e caratterizzato il “giovane” personaggio di
Red Duckan, che per mano del suo creatore Marco Gervasio si è già fatto strada rapidamente nel microcosmo paperopolese.
Quanto ai disegni, le figure dei paperi appaiono leggermente più allungate del solito, un effetto tutt’altro che spiacevole e che anzi dà alle vignette un taglio leggermente più rilassato e composto, pur nell’usuale esuberanza periniana. Da segnalare – giusto perché come detto non è l’unico del numero – un refuso ad opera del letterista: “Tipicoi” anziché “Tipico”, in un
balloon di Paperino ad inizio storia.
Il “nuovo Ciccio”: un altro classico intramontabile
È con la terza storia dell’albo,
Ciccio 2.0, di
Carlo Panaro e
Marco Palazzi, che si compie
il salto nel tempo. La trama, dall’esito già scritto e priva di quei sussulti umoristici che l’avrebbero giustificata, potrebbe essere tranquillamente scaturita dalle primissime prove dell’autore ligure sul settimanale, o datare agli anni della direzione Muci. Il linguaggio è elementare sino al paradosso di dare una sensazione innaturale, le
gag sono imbastite su inciampi, cadute, sbadataggini, il momento di svolta della trama è artefatto.
Il personaggio di Ciccio, con il quale risulta spontaneo empatizzare, ne esce
avvolto da un’aura di tenerezza, ed è questo il vero pregio della storia. I disegni di Palazzi (ben inchiostrati da
Nicole Serra), molto sobri e controllati, supportano come possono lo svolgimento dei fatti, ben suggerendo il carattere innocuo e collaborativo di Herb, il nuovo aiutante di Nonna Papera, senza condurre il lettore verso inutili e deludenti equivoci sulle sue reali intenzioni.
Chiude il numero una storia del benemerito ciclo
Comics and Science:
Zio Paperone e le acque marziane, sceneggiata da
Francesco Vacca e disegnata dal factotum
Alessandro Perina, con le chine di
Chiara Bonacini. Benché Vacca sia uno dei nuovi acquisti del settimanale,
il sapore della storia è ben stagionato, nel bene e nel male: gli eventi sono una variazione combinatorica dell’usuale sistema di euforia e depressione connesso alle scoperte pseudolucrative di Paperone, ma la scelta di coniugarle in salsa gastronomica è inedita ed
esalta – una volta tanto – un lato genuino del carattere di Paperino. Cosa non così frequente, per un personaggio di cui spesso si abusa, e che fornisce la giusta chiave di volta alla storia.
Il Paperino che vogliamo
Ci riserviamo infine uno spazio per commentare –
una tantum – l’autoconclusiva di
Ottavio Panaro Inguaribile Paperoga – Esperto d’arte. Si tratta dell’usuale gag sull’oggetto non artistico che, messo in un angolo di un museo, viene scambiato per un’opera d’arte da qualcuno, in questo caso Paperoga.
Una gag, questa, ubiqua nel battutame spicciolo del nostro Paese, reso celebre forse nella sua messinscena più fortunata da Aldo, Giovanni e Giacomo ormai vent’anni fa.
Come detto, è inusuale per noi commentare in sede di recensione queste autoconclusive a fine numero, spesso disarmanti nella loro prevedibilità. Ma all’interno di un discorso sul vecchio e il nuovo, come quello che abbiamo tentato di abbozzare in queste righe, la domanda sulla liceità di questa pagina è legittima:
in un tentativo di rilancio di Topolino su tutti i livelli, ormai nella sua fase piena,
cui prodest pagare un pegno così pesante – ci figuriamo – al celeberrimo magazzino? Non si rischia di minare in partenza la credibilità del tutto, pensando pubblicabili lavori che tradiscono a tutti i livelli (grafico, di linguaggio, di ispirazione, di rapporto con l’intelligenza del lettore, di rispetto per le potenzialità dei personaggi) delle dichiarazioni quanto mai esplicite in editoriali, redazionali e apparato di marketing?
Sia lontano da noi – va sottolineato con sincerità – ogni desiderio di accanirsi contro storie nate per dare al settimanale quelle articolazioni e quel materiale epidermico senza il quale le sola ossatura e muscolatura non si reggerebbero in piedi. Ma riteniamo che si debba prestare anche attenzione a non sottoporre il lettore ad altalene tali da farlo disaffezionare o da spingerlo verso uno scetticismo che si avrebbero tutte le carte per evitare.
Chiudiamo menzionando che, nel numero della prossima settimana, è atteso il
ritorno del Macchia Nera di Marco Nucci (con i disegni di Casty), introdotto da un approfondimento in coda a questo numero e da una
enigmatica quanto intrigante copertina firmata da Corrado Mastantuono.
Voto del recensore:
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