Moltissimi progressi sono stati fatti dalla WDAS dai tempi in cui per uno sciagurato scherzo del destino il capo di allora, il mefitico Eisner, giunse alla conclusione che il 2d era morto e che bisognava acchiappare il nuovo pubblico proseguendo sulla scia dei Dreamworks CGI. Certo poi avvenne la fusione con la Pixar, l'arrivo di Lasseter, la fine dei sequel, la ripresa dei corti, del 2d, e tutto ciò che viene considerato un abbozzo di rinascita, compresa la scelta di non chiudere definitivamente con il 3d una volta tornati sui giusti binari ma avvalersi di volta in volta della tecnica più adatta al tipo di storia da raccontare. Quel che è certo è che se si esclude il procrastinatissimo e almeno sulla carta rivoluzionario
Rapunzel, è con
Bolt che possiamo considerare definitivamente chiusa la parentesi CGI "forzata", il famoso strascico eisneriano da cui bisognava aspettarsi il meno possibile, incrociando le dita e pregando. Con
Chicken Little si era avuta una mezza roba, un prodotto indeciso a metà tra il Disneyano e il trendy, incapace di accattivarsi alcun pubblico, perfetto sintomo di una Disney allo sbando senza una direzione precisa, con
I Robinson avevamo invece avuto un film salvato in corner dalla nuova gestione, ricco di ottimi elementi e una storia trasudante emozioni, ma ancora troppo pasticciato per poter essere minimamente competitivo, ma con
Bolt gli effetti di questa nuova direzione iniziano a vedersi al 100%. E dispiace molto per il creativo Sanders e il suo diverbio con la Disney che l'ha portato alla concorrenza ma non c'è alcuna garanzia che il suo attraente American Dog avrebbe potuto iscriversi come invece fa Bolt in un progetto preciso. I tempi del re travicello, delle cellule impazzite e dei loro personalissimi progetti come
Lilo & Stitch o
Atlantis sono ormai lontani, ora che alla Disney c'è John Lasseter, pronto a dirigere ogni lavoro e a mettere il suo zampone anche nelle produzioni più infime, come i direct to video.
In
Bolt non esistono personaggi che
chissà che belli che sarebbero stati in 2d, ognuno ha un certo appeal visivo e un'espressività molto convincente che li rende adatti alla tecnica utilizzata, i tempi comici sono finalmente tutti al punto giusto, non ci sono pause imbarazzanti, battute poco divertenti, sbalzi di registro come avveniva nei due Classici precedenti (e soprattutto nell'apocrifo
The Wild, prodotto dalla CORE ma marchiato Disney). Persino Rhino, che dai trailer sembrava il personaggio più sguaiatamente dreamworksiano, riesce a trovare una collocazione senza interferire troppo. Finalmente quindi si ha una ferrea direzione, consapevole del tracciato in cui ci si sta muovendo, che sa quello che vuole e come raccontarlo. Certo il pretesto di base può sembrare già visto, e in questo campo
Bolt è sicuramente un mix di situazioni già utilizzate. Il protagonista ha infatti la sindrome di Buzz Lightyear, e si muove in un contesto simile al Truman Show, il road movie con animali domestici è inoltre un topos spesso utilizzato sia nell’animazione di questi anni che nel periodo xerox (corsi e ricorsi storici), infine l’estetica dell’intero film fonde lo stile Disney con quello visto negli anni ‘90 negli Animaniacs. Alcuni personaggi di quella mitica serie tv Warner trovano qui infatti delle controparti, la coppia Bolt/Mittens infatti non può non ricordare Rita e Runt, vista anche la caratterizzazione disincantata e malinconica di lei, che sembra esser stata graficamente concepita da Chuck Jones. Per non parlare poi del terzetto di piccioni che Bolt incontra, dallo spiccato accento siciliano, uno dei quali si chiama per giunta Bobby, plagio/citazione dei warneriani Picciotti (ed è così che si autodefiniscono!). Ma anche in quel caso
Bolt si dimostra un film ben scritto, visto che a differenza di quanto accadeva in
The Wild, qui i vari gruppetti di piccioni non sono solo uno strambo incontro occasionale ma un leit motiv del film, che accompagna Bolt attraverso l’intero suo percorso facendolo incontrare con terzetti sempre diversi. Per giunta sono molto divertenti e chiosano con una certa arguzia l’intera pellicola, visto che è con una loro battuta che il film finisce.
Il film sfocia nel classico viaggio di maturazione, con buoni sentimenti ed elogio dell'amicizia, tematiche tanto care allo stile Disney che non potranno non esser prese di mira dai soliti detrattori intellettualoidi, che riconosceranno in queste i soliti punti deboli della produzione DIsneyana: la punta di diamante di tutto questo è la canzone
Barking at the Moon, cantata fuoricampo mentre il terzetto attraversa l'America, momento musical veramente azzeccato viste le sonorità country del brano. E' l'unica in tutta la pellicola, se si esclude
I Thought I Lost You piazzata nei titoli di coda (peraltro con stilizzazioni 2d, molto carine), per il resto c'è una colonna sonora di John Powell non memorabilissima.
Molto buono e assolutamente originale è invece a mio avviso la rappresentazione del mondo dello spettacolo, con degli umani molto ben riusciti sia sotto il profilo grafico che sotto quello caratteriale. Penny non è granché (ma del resto credo che debba incarnare per esigenze di copione il suo stereotipo), ma il suo irritantissimo agente, il regista invasato, la tipa del network sono tutte figure riuscitissime e perfettamente degne di Bolt, Mittens & co, che in quanto animali partono già avvantaggiati. Il fittizio telefilm è tralaltro un bellissimo esempio di versione moderna di quelle vecchie serie tipo Lassie o Furia, ripiene in modo quasi grottesco di cliché e stereotipi. L'unico rimpianto lo si ha con l'Uomo dall'Occhio Verde, il malvagio Dottor Calico che non viene mai utilizzato fuori dal set, quando invece sarebbe stato gustoso approfondirlo e magari ottenere l'effetto Laurie Brick (che in PKNA #15: Motore/Azione di Faraci e Ziche era l'attrice buonissima a cui toccava interpretare un personaggio cattivissimo, con le conseguenze comiche che questo comportava).
Due parole vanno spese per la tecnologia 3d a base di occhialetti che dopo esser stata sperimentata in patria su
Chicken Little e qui da noi con
I Robinson approda finalmente in un gran numero di cinema, per esser poi riproposta anche dalla concorrenza in salse sempre diverse. L'effetto è buono, davvero, anche se in mezzo a tanta azione e spettacolarità mi sono un po' mancati quegli effetti estremi che nei
Robinson facevano "bucare" lo schermo al cattivo o al burro d'arachidi. Andrebbero però alleggeriti gli occhiali, visto che dopo un po' danno fastidio al naso, e magari bisognerebbe togliere quel filtro grigiastro (poca cosa, specifichiamo!) che penalizza leggermente i colori originali del film.