Svariate volte i nostri amati fumetti contengono rimandi ad altre opere, siano esse avventure precedenti vissute dagli stessi personaggi, romanzi, film o di diversa natura.
Io credo che tali citazioni nulla aggiungano e nulla tolgano alla storia in sé. Se ci sono né mi infastidiscono né me la fanno apprezzare maggiormente.
Date le premesse, capite subito che non sopporto le vicende che si limitano al mero omaggio: perché si basano totalmente su qualcosa che considero irrilevante.
Ritengo che il miglior autore a fare uso di siffatti riferimenti sia Casty. Le se narrazioni ne contengono molti, ma spesso vengono relegati ai margini della vignetta o nascosti. Io addirittura ho letto buona parte dei suoi fumetti senza cogliere le citazioni (ma scoprendole in seguito), apprezzandoli fin da subito: perché essi funzionavano a prescindere dai richiami, reggendosi sulla propria intrinseca bellezza.
Invece gli autori che bembeggiano – verbo che conio ora (basandomi sull'
emulazione petrarchesca per secoli imperante nella nostra letteratura. E poi mi piace come suona) per esprimere la produzione di vuoto citazionismo, dal momento che non conosco altri termini ugualmente specifici – sembrano solo voler ostentare la propria conoscenza dell’opera richiamata, spesso per sopperire alla mancanza di idee.
Io temo (ma spero ardentemente di no) che il successo di storie come L’inferno di Topolino sia dovuto a ciò, ovvero che il lettore faccia il seguente ragionamento:
- la Divina commedia è un capolavoro
- L’inferno di Topolino cita Divina commedia
- L’inferno di Topolino è un capolavoro
Se qualcuno la pensasse insulterebbe in primo luogo il lavoro di Martina, poiché significherebbe che non ha colto le vere motivazioni che lo rendono di qualità.
Una volta una tendenza del genere non esisteva, perlomeno nel Calisota. Immagino che uno dei primi casi in tal senso corrisponda a Topolino presenta la strada, vicenda che, al netto di qualche battuta azzeccata risulta inconcludente. Si è arrivati poi a Topolino e il surreale viaggio nel destino la quale, seppur partendo da uno spunto interessante - perdersi in un quadro di Dalì, non lo sfrutta veramente e alla fine non trasmette nulla, dimostrandosi irrimediabilmente vuota.
Io ritengo che sia giusto conoscere il passato, il quale fra l’altro può fornire numerosi spunti per storie nuove. Ma non bisogna esserne prigionieri: in questo caso meglio sarebbe ignorarlo.
Non fraintendetemi: non credo siamo arrivati a quel punto; però esiste una preoccupante tendenza in quella direzione (soprattutto nel cinema, ma non solo).
E alla fine capisco anche le motivazioni che hanno generato il futurismo, per quanto lo consideri delirante e il peggior movimento espressivo della storia. In una cultura libera riferimenti al passato senza ragion d'essere, una corrente del genere non sarebbe mai nata.
Tempo fa è nata se non sbaglio una testata sui remake: non solo questi ultimi venivano prodotti, ma addirittura pubblicizzati come qualcosa di positivo. Un’opera d’arte dovrebbe essere la spontanea espressione di chi la produce; il remake rappresenta il contrario: l’ammissione da parte dell’autore di non avere nulla da dire.
Concludo affermando che a mio avviso gli omaggi sono rivolti ai vecchi. E non intendo né vecchi anagraficamente né i grandi esperti del passato. Mi riferisco ai vecchi a livello mentale, incapaci di emozionarsi per qualcosa di nuovo e quindi hanno bisogno di elementi che li riportano alle opere che già conoscono.
Una delle massime funzioni della lettura consiste proprio nell'aprire la mente ed ampliare gli orizzonti di chi ne usufruisce, non nel fossilizzarsi su quanto già acquisito.
Viva l’innovazione, abbasso il retrogradismo!