Recensione I Grandi Classici Disney 52 E niente, l’assioma delle cose certe della vita colpisce anche stavolta: nonostante la sovrabbondanza di tempo libero scandito dal tedio della quarantena, dall’isolamento, dal
lockdown, dalla Fase 2, dalle innumerevoli dirette social del Presidente (meme compresi), la recensione dei
Grandi Classici rispetta su questi lidi il consueto ritardo. Di certezza in certezza, dunque, scavalcata la tradizionale e riuscita copertina di Cavazzano con i suoi personaggi che indicano cose o persone, il mese di aprile 2020 è caratterizzato da un florilegio di qualità sulle pagine del nostro mensile preferito.
Sembra che il famoso
disclaimer da poco introdotto nelle testate dedicate alle ristampe o, come in questo caso, al recupero delle storie del passato remoto della vasta e multiforme produzione a fumetti disneyana stia producendo dei bei risultati: la riproposizione dei
Ribelli di Brillifrilly ne è un valido esempio. Se nel 2020 è difficile trovare sulle pagine di
Topolino espedienti narrativi oggi considerati estremi, la possibilità di rivedere una storia così legata alla sua epoca – e soprattutto alla
sensibilità che si aveva una cinquantina d’anni fa – fa sempre piacere. Qui non si fa mistero dell’esistenza di
ribellioni,
contrabbando,
agitazioni varie nel mondo di fine anni Sessanta: siamo nel 1968, il Sudest asiatico è particolarmente turbolento ed è da tempo uno dei principali punti caldi del pianeta.
Già
Carl Barks aveva avuto modo, soltanto due anni prima, di inserire i suoi paperi nell’
Unsteadystan sconvolto da una (disneyana) guerra civile; ora è il turno di
Guido Martina che, forse premendo meno il tasto della satira feroce, fa finire Topolino e Pippo a Brillifrilly, «uno dei pochi sultanati indipendenti che ancora esistono». E siccome non c’è paese scosso da sediziose guerriglie senza armi, ecco che attorno a un manipolo di trafficanti e al pericoloso contenuto di una cinquantina di casse ruota tutta la vicenda. Se Martina insomma attinge dall’attualità per confezionare un intrigante ed esotico giallo, un proteiforme
Carpi non è da meno e si diverte a sperimentare soprattutto nel
character design: Pippo, in particolare, è un ibrido tra la
lezione classica gottfredsoniana, il pionierismo di
Bioletto, il manierismo di
Murry e l’apporto, coevo, dell’
animazione e di alcuni autori impegnati sul fronte dello
Studio Disney (si pensi ad alcune espressioni pippesche simili a quelle realizzate, ad esempio, da
Fred Abranz).
Variazioni carpiane sui quattro Pippi A proposito di storie figlie della propria epoca: i
trafficanti, i
sequestri di persona e un’allusione (disneyana) al
terrorismo sono tra gli aspetti più memorabili di
Topolino e il contrabbando… armato, un autentico campionario di adorabili esagerazioni. Chi ai testi se non
Jerry Siegel?
Pier Lorenzo De Vita è poi abile nel far percepire il senso di tangibile e spoglia povertà di una Topolinia in recessione: le prime tavole sono affollate da una torma di disoccupati e di emarginati che, pazientemente, attendono il proprio turno davanti all’Ufficio di Collocamento della città. Topolino e Pippo sono tra costoro e, complice l’arruolamento come guardie di frontiera, avranno il loro bel daffare davanti all’esageratissima
escalation che Siegel apparecchia con una punta di sadico divertimento: prima i fucili, poi i carrarmati, infine le bombe ad orologeria.
I
fratelli Barosso e
Sergio Asteriti prendono invece Tip e Tap e li infilano in una
Partita a “guardie e ladri” in cui i bimbetti hanno la meglio su due esponenti della malavita cittadina. Come sempre per quanto riguarda le storie realizzate dai due congiunti genovesi, il ritmo di queste 15 tavole è serrato e dinamico; i toni sono abbastanza infantili, visti i protagonisti e l’escamotage utilizzato per catturare i cattivi, ma il risultato è buono, quello delle “belle vecchie brevi di una volta”. E se nei
Ribelli di Brillifrilly Carpi avrebbe ripreso, tra gli altri, gli autori americani, in questo caso un ancor giovane Asteriti dà a Sgrinfia e al suo compare delle fattezze mutuate dalle tavole di Paul Murry, principale riferimento grafico per gli autori italiani alle prese con i topi negli anni Sessanta (si veda anche
Massimo De Vita).
Sul versante paperopolese, invece, il modello all’epoca non può che rimanere quello barksiano ed è lo stesso
De Vita a farsi ispirare dal Maestro dell’Oregon per i disegni di
Paperino e le zanzare Za-Za, ristampata nella sezione monografica delle
Superstar. Sfogliare questa storia, sceneggiata dai Barosso, equivale a fare
un viaggio nell’esercizio della mimesi artistica, un concetto che sembra quasi essere il tema portante di quest’albo: i vantaggi stilistici ottenuti dall’influenza delle opere degli autori d’Oltreoceano sono molti e tutti positivi.
Una testimonianza degli effetti benefici della contaminazione è per l’appunto offerta dalle tavole dell’allora giovanissimo disegnatore meneghino: sia i paperi sia i personaggi di contorno sono
pura espressione di un barksismo artistico militante. Anche la sceneggiatura risente delle assai salubri influenze provenienti dalla West Coast, riprendendo il tema del conflitto tra Paperino e Gastone. In particolare, il
rimorso qui provato dal primo nei confronti dell’impomatato cugino ha radici in un capolavoro assoluto come il
Tesoro dei vichinghi, una storia chiave in cui poter ritrovare
la profonda (e talvolta un po’ meschina) umanità di cui sono imbevuti gli anatidi disneyani.
Carl Barks, è lei? Barks, Barks e ancora Barks, dunque: in questa sede vengono riuniti per la prima volta un suo classico e il relativo italico sequel,
Paperino e la cimice Tuff-Tuff e
La vera storia della cimice Tuff-Tuff. La psichedelia sperimentale e anomala infilata dall’Uomo dei Paperi nella versione moderna del
Rip Van Winkle di Irving dà il la al Maestro dell’esagerazione deformante,
Luciano Bottaro.
Commistioni
In occasione di
un aureo volume realizzato nel 2001 da Disney Italia per celebrare il centenario di Barks, Bottaro decise infatti di omaggiare quella fulminante
ten-pager pubblicata cinquant’anni addietro sul glorioso
Walt Disney’s Comics and Stories.
La vera storia della cimice Tuff-Tuff non è di certo il
trip più memorabile apparecchiato dall’artista rapallese, ma rimane un’ulteriore testimonianza di un modo di narrare che è stato il marchio di fabbrica della sua produzione più tarda.
Godibilissima poi una rara storia dei due Giorgi,
Pezzin e
Cavazzano, risalente ai primi anni della loro collaborazione.
Il flagello delle ferro-termiti presenta dei risvolti intriganti, senza contare una piccola “anticipazione” alla corazzata che sarebbe apparsa in quella perla di
Paperino e l’eroico smemorato. Per il resto, l’introduzione di un elemento alieno pressoché invisibile nella placida esistenza quotidiana di una Paperopoli inizio anni Settanta dà luogo a una serie di situazioni divertenti: tra le innumerevoli versioni del deposito viste negli ultimi sei decenni, il monumento paperoniano svetta qui in una reinterpretazione lignea, pienamente integrato nel
regresso tecnologico nel quale la capitale del Calisota è precipitata da un momento all’altro. Ed è inoltre interessante notare come Pezzin abbia anticipato di un bel po’ di anni anche uno degli ultimi – non bellissimi – episodi della serie classica di
DuckTales,
L’invasione delle pulci metallivore (1990).
Chiusa la sezione Superstar con una
breve avventura nel “megaminimondo” del Grillo Saggio, rimangono due storie diversissime tra loro che in questo percorso recensorio, come sempre anarchico, ci riportano alla prima metà dell’albo.
In primis, abbiamo i prolifici
Dick Kinney e
Al Hubbard che, dall’alto della loro inarrivabile maestria, mettono in piedi
una storia piacevolissima (senza Paperoga) con un delizioso ritmo da corto animato.
In chiusura, invece,
Luca Boschi e
Andrea Ferraris si riallacciano al tempo che fu mixando un vagabondo Gancio con uno stanziale Sfrizzo de’ Pippis: due personaggi nati nelle strisce sindacate americane e, soprattutto nel caso del merlo indiano, cresciuti altrove, nelle pagine dei periodici italiani.
Il portentoso germogliorama è una storia completamente basata su gag e ricorda un po’ quel genere di commedia
family friendly in voga negli anni Novanta, riuscendo a tenere insieme il tutto solo grazie alla pura interazione tra due personaggi (minori e un po’ dimenticati) dotati di caratteri totalmente opposti: la tradizione e il passato che tornano a vivere, seppur per un breve momento, nel
mood del
Topolino di fine secolo.
Voto del recensore:
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