Recensione I Grandi Classici Disney 56 Attenzione attenzione! Da questa settimana la nostra testata prediletta gode di un
testimonial d’eccezione. Instagram ci mostra come il piccolo Leone, figlio di ben noti personaggi pubblici, si delizi con le prodezze dei
Ribelli di Brillifrilly raccontate nel
numero di aprile dei Grandi Classici Disney: decisamente un piccolo buongustaio.
Ma ora a noi. Cosa troverebbe il piccolo Leone se, una volta imparato a leggere, decidesse di recuperare anche il numero di agosto 2020? Eccoci dunque a recensire l’ultimo numero pienamente estivo, fra l’altro con inconcepibile anticipo sul consueto ritardo.
Si comincia con
Zio Paperone e la proposta dell’alter ego. Il tema del doppio Paperone non è nuovo alla storia del fumetto Disney; nella storia di apertura di questo numero è un grande
Rudy Salvagnini a cimentarvisi, con esito decisamente degno di memoria soprattutto nei momenti iniziali e centrali. Un po’ più scontata la parte finale, dove non mancano passaggi un po’ questionabili come quello riportato nella vignetta riportata qui sotto, ma nel complesso è una bella storia.
Non si può dire lo stesso della successiva,
Paperoga e le nozze alla montanara, uno di quei casi in cui il “
metodo Kinney” di sublime accumulo del paradossale si scontra con la monotonia dei personaggi del cucuzzolo del Misantropo, senza riuscirne vittorioso. Neppure è troppo pregevole
Zio Paperone e i pellicani ruba-dollari, abbastanza lineare nella trama anche se ornata dai sempre deliziosi disegni scarpiani.
E tanti saluti alla formazione del cittadino
Molto bella invece
Paperino e lo sprint fulminante, del grandissimo astro della comicità topolinesca
Osvaldo Pavese con
Romano Scarpa ai disegni, che fra l’altro ripresenta ai lettori italiani il barksiano
Baldo Muscolo; in particolare la sezione iniziale ci propone una scena fra Paperone e Paperino decisamente da antologia.
Degna di nota, per l’occasione più che per il contenuto (purtroppo),
Archimede e il nipote Newton, la storia d’esordio del piccolo inventore che di recente è tornato, con ben migliore esito, sulle pagine di
Topolino. È Luca Boschi a presentarcelo in una introduzione
ad hoc, per l’occasione scorporata dalle pagine di approfondimento dedicate alle Superstar, le storie “preziose” e più datate che lo stesso Boschi ci regala ogni mese con invidiabile spirito di ricerca.
A completare la prima parte dell’albo, ecco
Indiana Pipps e il problema 4×4, storia sempre godibile ma ultraristampata per motivazioni ignote, e
Topolino e i bottoni a tre buchi. Quest’ultima non è di alto rilievo e forse è fra le meno riuscite del suo autore, il misconosciuto (ma grande)
Roberto Catalano, che ci trasporta nel West montano in compagnia di un godibile (e poco credibile) Pippo uomo di legge.
Ma è la sezione
Superstar, intitolata “È lui o non è lui?” a riservare le più gradite sorprese. Anzitutto
Topolino e il ritorno di Macchia Nera, che si sforza evidentemente di riprodurre le atmosfere inquietanti della storia d’esordio del genio del male disneyano, e ci riesce molto bene, a sua volta poi smarcandosene verso uno sviluppo del tutto personale; ciò complice un buon
Murry all’apice della forma che si destreggia perfettamente fra, appunto, richiami gottfredsoniani e il suo tratto dolce e preciso.
La sezione, dedicata agli sdoppiamenti e scambi di persona prosegue con la storica
Paperino e il suo fantasma (altresì nota come
Paperino re dei Paprikos),
perla d’esordio di Giovan Battista Carpi e Giulio Chierchini. I due avrebbero fornito a
Guido Martina, autore di questa stessa storia, molte altre prove in tutto il decennio, quegli anni Cinquanta che segnarono appunto non solo la consacrazione del Professore a nume tutelare del Disney italiano, ma anche la nascita del grandioso connubio fra lui e Carpi che sarebbe continuato per altri trent’anni.
La storia è sconclusionatissima, e perciò divina. I disegni, acerbissimi, si producono fra le altre cose in una pittoresca rappresentazione degli starnuti, fenomeno chiave di un momento importante della trama.
La storia di chiusura,
Paperino e la sposa persiana, è un grande lavoro di
Carl Barks. Piuttosto semplice nella sua messa in scena, l’idea è però estremamente intrigante e ben sviluppata, e riproduce davanti ai nostri occhi la resurrezione dell’antica civiltà persiana. Un’attenzione alla Storia, fra invenzione, scherno e appassionante mistero, che trovate spiegata con altrettanta passione in
un pezzo del nostro Davide Del Gusto da pochissimo pubblicato sul nostro sito in occasione del ventennale dalla scomparsa del Maestro. Tornando a noi, ad ogni modo, analizzando questa storia è quasi superfluo rimarcare la consueta giusta dose di ironia e imprevedibilità, e il solito delizioso ritmo implacabile che ad ogni pagina cela un nuovo guizzo d’ingegno. E anche qua è da segnalarsi un personaggio, archeologo e inventore dall’inquietante presenza, di quell’aspetto umanoide da cui solo Barks sapeva trarre un irripetibile senso di terrore.
Una lettura consigliata in conclusione, nonostante qualche inciampo nella prima sezione, che ci consente anche quest’anno di traghettarci fuori dall’estate e salutarci come di consueto fino alla prossima uscita.
Voto del recensore:
3/5Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
http://www.papersera.net/wp/2020/09/08/i-grandi-classici-56/