Recensione I Grandi Classici Disney 57 Il principio e la fine. Così potremmo riassumere la
liaison che lega gli ultimi due numeri dei
Grandi Classici, e il punto in comune ha un nome:
Giovan Battista Carpi. L’albo di settembre 2020, infatti, si apre con una storia già molto ristampata,
Topolino e il giornalismo di campagna, scritta da un
Carlo Panaro che negli anni Novanta era all’apice qualitativo della sua pluridecennale carriera disneyana. La vicenda è abbastanza semplice e non è particolarmente memorabile in sé, né rappresenta un grande esempio di avventura
mystery che giochi con il lettore provando a metterlo nel sacco. La trama è presto detta: Topolino viene invitato da Pippo in una zona rurale che ricorda molto le atmosfere dello sconfinato Midwest per risollevare le sorti del giornale locale diretto, edito e confezionato dall’ennesimo parente dell’amico del protagonista, il vecchio Pipponio; la serie di eventi misteriosi che risvegliano e pungolano la sonnacchiosa quotidianità del paesotto mette in moto il cervello indagatore di Topolino, e il resto vien da sé.
Il motivo per cui, piuttosto, questa storia merita e ottiene il posto d’onore in apertura dell’albo è, come anticipato, Carpi. Se nei
Grandi Classici Disney 56 abbiamo avuto un Gibì ancora teneramente acerbo, quello di
Paperino e il suo fantasma, in questo caso ci si avvicina al congedo di
un anziano maestro già sul viale del tramonto ma ancora capace di guizzi e virtuosismi ineguagliabili: la caratterizzazione dei personaggi secondari, dei campagnoli di sfondo, dell’oste che accoglie Topolino e Pippo, dello stesso zio di quest’ultimo è graficamente deliziosa e, insieme con una recitazione ben studiata, dà un
quid in più ad un’avventura di impianto decisamente tradizionale. Ricordiamo inoltre che stiamo parlando della
penultima storia di Carpi pubblicata su Topolino, due anni prima della sua scomparsa nella primavera del 1999: nonostante l’età, l’opera è ottimamente portata a termine da parte sua ed è più che corretta la sua ristampa in questa sede, ancor di più se vista in diretta…
continuity con l’albo immediatamente precedente, inquadrandola nella lunga e fruttuosa parabola artistica del maestro genovese.
Irsute caratterizzazioni carpiane Archiviata la vicenda campagnola, la
sezione Superstar, che rappresenta dal 2004 la punta di diamante della testata, è la parte migliore di un albo che, nel complesso, non brilla particolarmente. Il tema trattato è ormai classico e il set di storie ristampate non copre che una piccola parte della produzione a fumetti sull’argomento: si parla di
dinosauri e, più in generale, di
mondi preistorici perduti (e ritrovati dagli eroi disneyani).
Senza alcun dubbio è
La carica dei dinosauri di
Carl Barks a risaltare maggiormente, pur riprendendo e citando – in maniera palese – una precedente avventura dei paperi
nell’Africa più nera, riproposta a sua volta pochi mesi fa nel
secondo volume degli Archivi di Topolino. La situazione nella quale Paperino e i nipotini si trovano in questa storia del 1957 richiama infatti in più punti quanto “vissuto” nel 1948: non per collezionismo, ma per risollevare le sorti dell’agricoltura paperopolese, i paperi vanno a caccia di
un rarissimo insetto; non nelle giungle africane, ma nella più intricata e pericolosa
Amazzonia; non inseguiti e osteggiati da un avido collezionista disposto a tutto pur di vincere, ma da un (altrettanto avido) produttore di rape in salamoia,
P.J. McBrine, tra i più memorabili
villain dalla faccia porcina della mitologia barksiana.
Carl Barks cita Carl Barks Con ciò non si sta dicendo che
La carica dei dinosauri (altresì nota come
Paperino e la valle proibita) sia meno interessante della
Cleopatrias Extinta, anzi: verso la fine degli anni Cinquanta Barks è abbastanza solito riprendere trame o spunti utilizzati nel decennio precedente sia nelle
ten-pagers di ambientazione urbana sia nelle lunghe avventure ai quattro angoli del globo, ma va detto che questa operazione funziona grazie alla spiccata abilità narrativa dell’Uomo dei Paperi. Nonostante l’evidente “riciclo” di intere sequenze, Barks riesce a regalare al lettore una storia
de facto nuova e affascinante, portando i suoi personaggi alla scoperta di un iconico mondo perduto; un’avventura tanto coinvolgente e ricca di spunti da giustificare
un sequel una quarantina di anni dopo.
Giorgio Cavazzano o Charles R. Knight?
Ad arricchire il “menu” delle Superstar troviamo un dittico in cui dei simpatici e del tutto innocui dinosauri, l’antitesi dei minacciosi mostri barksiani, fanno da motore alle avventure di topi e paperi. Nel primo caso, Paperone è intenzionato a scovare il gioviale
giocattosauro, «
l’animale più raro del mondo», per farne bella mostra nel suo circo: di nuovo i nipoti finiscono nell’Amazzonia più recondita – evidentemente dai tempi di
Arthur Conan Doyle il posto privilegiato per dare la caccia a sopravvissuti animali mesozoici – e, dopo una serie di vignette con le quali
Cavazzano potrebbe ambire al titolo di paleoartista
ad honorem, riescono a recuperare l’introvabile sauropode. La sequenza nella foresta pluviale è solo una piccola parte della storia, che vira subito verso la compresenza – di nuovo, un classico – di creature preistoriche ed esseri umani in un
setting metropolitano.
In
Topolino e il dinosauro servizievole, invece,
Fallberg e
Hubbard spediscono Topolino e Pippo nell’ennesima giungla alla ricerca di uno
stupidosauro per completare l’allestimento del Museo di Topolinia. Tutto sommato, è una piccola, antica e rara storia di avventura, arricchita dai disegni come sempre raffinati del futuro creatore di Paperoga. Allo stesso modo non c’è molto da dire sul
Mistero della moneta di pietra di
Lockman e
Strobl, in cui Paperone e nipoti sono alle prese con una tribù pseudoprimitiva e con il suo monumentale sistema di valuta. Ottimo invece
il ritrovamento di una tavola autoconclusiva con Ciccio e Nonna Papera che non si vedeva su una pubblicazione italiana da quasi sessant’anni e che, però – come
un’altra tavola con Ezechiele qui presente –, non è per nulla in tema con l’argomento preistorico della sezione monografica dell’albo (al netto di eventuali, e tuttavia poco garbate, battute sull’età della signora Coot).
Comicità meteorologica
Infine, c’è da spendere qualche parola sul resto delle avventure ristampate nella prima metà del volume. Sostanzialmente non è un gran bendidio, ma la lettura può essere senza dubbio piacevole nonostante si tratti di storie che possiamo definire “minori”. Tra queste spicca, senza troppa fatica,
La gara dei grattacieli, che offre a
Jerry Siegel la possibilità di giocare – è il termine più corretto – con Paperino alle prese con la costruzione di un palazzone per conto di suo zio, in un ennesimo capitolo della disfida infinita con Rockerduck. La sceneggiatura vira in maniera decisa sulla comicità
slapstick e su situazioni narrative che non avrebbero sfigurato in un corto d’animazione, grazie anche ai disegni molto adatti e peculiari di
Guido Scala.
Superato un intermezzo americano con
Newton Pitagorico e francese con
un buon Gancio di
Corteggiani e
Gen-Clo, al secolo Claude Chebille, alle prese con una
miniparodia del Prigioniero di Zenda, non rimangono che due storie topolinesche che vedono all’opera quattro pesi massimi come
Osvaldo Pavese,
Romano Scarpa,
Guido Martina e
Giulio Chierchini. Se da un lato la vicenda dello
scarabeo informatore rientra nella media qualitativa dell’
Almanacco Topolino di fine anni Sessanta, con una tradizionale indagine di Topolino,
Eta Beta e la dieta energetica rappresenta invece un tassello, non imperdibile e abbastanza trascurabile, della fase calante del Professore, quegli anni Ottanta che chiudono una lunga e versatilissima carriera.
Voto del recensore:
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