Recensione Topolino 3521 Può sempre capitare che in ogni nostra attività ci sia
qualcosa che dimentichiamo di fare, o
riflettendoci possiamo riprenderla, o abbiamo intenzione di
completarla perché non finita. Una sensazione che è quasi una conferma anche su questo nuovo albo di
Topolino, dove sembra si abbia a che fare con “strascichi” o “ritorni d fiamma” e “ricordi” di alcune storie che negli anni passati sono state avviate, prodotte e forse mai realmente chiuse.
Introdotta da
una luminosa copertina di Paolo Mottura (e i colori di
Andrea Cagol), la storia di apertura di questo albo celebra i
150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni.
Zio Paperone e il troppo vero storico (
Sisti/
Mottura) riprende il ciclo di storie avviato con
Paperino, Qui Quo Qua e il grande gioco geniale. Anche in questo caso, la storia vede come protagonisti
i Paperi in Italia, si riprende il rapporto con lo storico dell’arte Adalbecco Quagliaroli e si pone al centro l’ipotetica ricerca di un tesoro nascosto dal personaggio storico di riferimento.
La particolarità qui, o forse la difficoltà, è quella di
non avere immediatamente un simile oggetto, ma ciò non impedisce (e sarebbe stato altrimenti) i nostri dall’avviare delle ricerche. Come per la trama di
Zio Paperone e il centounesimo canto, anche in questo caso
a rendere le ricerche e l’immersione temporale più agevoli sono i retrocchiali, questa volta dotati non solo di auricolari, ma anche della possibilità di apparire nella vicenda storica che si sta seguendo.
Pur tuttavia,
la storia mette al centro due elementi fondamentali che permettono di identificare il personaggio storico
di Manzoni: la sua vita quotidiana e la sua filosofia poetica, quella ricerca del vero storico che l’ha portato a scrivere
La storia della colonna infame e
I promessi sposi. In questo caso, però,
Sisti gioca al suo gioco preferito, ovvero i paradossi temporali, che portano alla realizzazione di quell’ipotetico tesoro inedito che Paperone cercava dall’inizio. Storia di mera celebrazione, senza ulteriori pigli, ma gradevole nella lettura. Mottura a suo agio nelle vedute urbane e domestiche.
Un uso sapiente della gabbia, che introduce atmosfere degne del racconto
Chiude questo albo non un vero e proprio “strascico”, ma dal titolo,
L’ombra di Ducktopia (
Troisi e
Artibani/
D’Ippolito), si può evincere che
si tratti di una “ombra lunga”, un ricordo che si riattiva, una conseguenza solo marginalizzata in origine.
E in questo contesto sembra davvero di avere a che fare con
l’isekai che già descrivemmo nell’approfondimento al termine della serie. Non vi è una vera e propria storia, dove abbondano i personaggi le situazioni di interazione: questa risulta essere quasi una “prolessi analettica”, un racconto del futuro rimanendo nel periodo passato.
Ed effettivamente, Topolino e Pippo ritornano sulle scene dell’ultima battaglia di Ducktopia per
ritrovare l’oggetto la cui ombra tiene ancora collegati i due mondi. Sono quindi gli unici due personaggi e gli unici due protagonisti. Bella e interessante l’idea, ben riflessa anche dai disegni di un D’Ippolito in forma, che usa una gabbia libera e di continua confluenza delle scene.
Questo albo forse riporta la qualità generale ad un buon livello, dopo alcuni numeri che apparivano avere idee stanche e forse solo parzialmente salvati da alcune storie al loro interno. Ci si aspetterebbe di vedere meno momenti così lunghi di stanca, ma in un contesto come quello di un settimanale è abbastanza fisiologico.
Tuttavia, qui troviamo
buoni e vari spunti di lettura: non solo le tradizionali impostazioni delle storie “alla Topolino”, ma anche alcune innovazioni che rendono la testata sempre più aperta a soluzioni nuove, a ritorni e strascichi che interagiscono diversamente e rendono il prodotto non unidirezionalmente orientato.
Voto del recensore:
3.5/5Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
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