Recensione Topolino 3527Numero, quello di questa settimana,
forse sintomatico di una certa rotazione dei rapporti di forza interni ai personaggi Disney: le due storie storie a puntate riguardano (quasi totalmente) l’universo topolinesco, mentre quelle autoconclusive di media lunghezza sono ambientate in quello dei Paperi. A
mo’ di perno di queste due sezioni troviamo una storia di Malachia e del suo microcosmo prodomestico.
Una maggiore centralità dei Topi rispetto ai Paperi? Probabilmente no, ma cinque o dieci anni fa lo sbilanciamento in termini di importanza percepita era innegabilmente dalla parte opposta.
È però questa
l’unica sostanziale differenza palpabile con un indice di, appunto, cinque o dieci anni fa. Un numero del genere sarebbe potuto uscire tranquillamente durante la seconda parte della gestione di Valentina De Poli… e in parte – come vedremo – così è. Ma andiamo con ordine.
Oggi come allora, tira la baracca
Francesco Artibani (con pochi dubbi
lo sceneggiatore più strutturale al settimanale degli ultimi venticinque anni, fatto il bilancio tra qualità, duttilità e presenza), con la seconda puntata di
Topolino e la via della Storia (con i disegni di
Alessandro Perina). Il disegnatore è in gran forma,
pienamente a suo agio con le atmosfere dell’antica Roma. E anche la storia ne risente positivamente, pur non essendo trascinata da un’ispirazione particolarmente incalzante. Il quartetto dei viaggi nel tempo al completo (Topolino, Pippo, Zapotec e Marlin) si complica la vita invischiandosi in pericolosi problemi “di ordine pubblico”,
sempre orbitando intorno alla benemerita Via Appia.
Tipico di Artibani, del resto, infilarsi nelle pieghe della Storia e trarne linfa per
intrecci comunque sempre accorti e lucidi, con economico uso di umorismo, cifre distintive dei personaggi e fascino delle vicende storiche stesse.
Buffe e litigiose creature nell’Italia romana
Segue
Fast Track Mickey: Full Circle, un vero e proprio monumento di
Claudio Sciarrone al culto del bolide, in cui i personaggi classici del cast si incastrano fluidamente instaurando rivalità e alleanze con quelli nuovi. La storia, però, a parere di chi scrive fatica (appunto) a ingranare, tanto che i momenti che risvegliano un poco più di attenzione di più sono quelli del tentativo di evasione il quale, però, è proprio l’unica boccata d’aria fuori dallo smog del circuito.
Come sempre in questi casi, il verdetto starà alle puntate finali; per intanto,
l’autore si sbizzarrisce felicemente con la rappresentazione grafica di un circuito sterminato e folle, capace senz’altro di incuriosire moltissimo gli appassionati di gare automobilistiche.
Il perno di cui si diceva, la storia di Malachia, si intitola
Miao: Croak! (testi e disegni di
Enrico Faccini). Titolo che
riassume ed esaurisce il significato della nuova fatica di un Faccini sempre più addentro nei sentimenti del piccolo zoo involontario del giardino di casa Paperino.
Chi cerca in una storia del genere quell’umorismo del paradossale tipico dell’autore genovese non lo troverà: scelta precisa, da qualche anno a questa parte? Imposizione? Spirito dei tempi? In ogni caso, sarebbe ingiusto inchiodare un autore a una cifra così vincolante, per cui ben venga sperimentare, nella speranza che conduca a qualcosa di più incisivo.
Il dittico di chiusura fa pensare a un
déjà-vu per ben due motivi: il primo, il fatto che la seconda storia,
Paperoga e il bosino di X, di
Francesco Monteforte Bianchi e
Andrea Lucci, è effettivamente
una ristampa di una storia del 2013 (dieci anni fa… all’alba di quel formidabile concentrato di arte e passione che sarebbe stato il numero 3000), qui riproposta per rilevanza tematica rispetto all’
approfondimento scientifico dedicato alla fisica delle particelle.
Dialoghi un po’ da PapGPT
Il secondo, per il fatto che le due storie hanno
un sistema dei personaggi quasi identico: Archimede (nella seconda storia con lo zampino di Paperoga) fa una scoperta scientifica collegata a una speciale particella, Paperone conta di usarla per scopi lucrativi, i Bassotti si mettono di mezzo.
Più nel dettaglio, in
Zio Paperone e l’inghippo del muone, opera di un instancabile
Marco Bosco e di un ispirato
Giampaolo Soldati, Paperone e Archimede orchestrano un complicato giro del mondo per distogliere i Bassotti da un pericolante Deposito; la storia in realtà funziona proprio grazie a questa trovata, ma
la realizzazione pare portata avanti con il pilota automatico, un’impressione che nemmeno i bei disegni riescono a diradare nonostante l’efficacia delle varie rappresentazioni naturalistiche.
La storia di Bianchi e Lucci ha uno spunto meno elementare, e perciò si perde in un andirivieni di personaggi e moventi. Al contrario che nella storia precedente,
i disegni acuiscono il problema in maniera semplicemente memorabile: a una espressività stanca e ripetitiva si aggiungono una costante rigidità posturale e balzi prospettici involontari.
Stiamo pur sempre parlando di un lavoro vecchio di dieci anni, lo ripetiamo, e proprio per questo ci chiediamo:
era il caso di riproporlo?Voto del recensore:
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