Recensione Topolino 3554Non si giudica un libro dalla copertina, vecchio modo di dire per sottolineare come non si dovrebbe fare un giudizio superficiale o precipitoso basandosi solo sull’aspetto esteriore di una persona o di una cosa.
Ahimè, io ci sono cascato invece: avevo giudicato molto favorevolmente questo numero di
Topolino partendo dalla bella copertina di
Corrado Mastantuono, salvo poi restare deluso dal contenuto dell’albo.
Niente di catastrofico, intendiamoci. Però l’attesa che mi ero creato per
Topolino fuori dai radar, la storia
Faraci–
Casty, e l’ambientazione
noir della copertina lasciavano sperare in uno di quei numeri che potessero aprire l’anno con “il botto”,
in discontinuità con un 2023 caratterizzato da alti e bassi. Invece la prova dell’inedito duo riesce nell’intento di divertire il lettore, ma non si avvicina alle tematiche del vero poliziesco (seppur in “salsa Disney”),
una distonia tra “promesso” e “mantenuto” che non sembra essere un buon viatico per il lettore.
Se letta in chiave ironica e dissacrante, non solo di Topolino ma della struttura dei classici gialli apparsi sul settimanale,
la storia è ottima: i dialoghi di Faraci tornano agli antichi splendori per ritmo e umorismo, i luoghi comuni addossati al personaggio principale vengono tutti gettati sul tavolo (e sulle tavole… perdonate l’indegno gioco di parole!) per decostruire il Topolino perfettino e “amico delle guardie”.
Però – personalmente – non è quello che mi aspettavo, e non è quello che preferisco trovare sulle pagine del libretto. Temo che si stiano abbandonando i vecchi schemi narrativi (anche più avanti in questo articolo avrò modo di tornarci) a favore di
qualcosa che non può però avere grande significato se fruita al netto del pregresso, del “vissuto” dei personaggi stratificatosi nei decenni precedenti.
Una delle scene più divertenti di Topolino fuori dai radar
Un tipo di fruizione che, non dimentichiamo, dovrebbe invece essere quella diffusa tra i lettori più giovani, la maggioranza del pubblico di riferimento secondo le ambizioni editoriali, cioè di persone che non hanno alle spalle una conoscenza del mondo di questi personaggi tale da permetterne l’associazione a stereotipi e luoghi comuni.
Paperino nullafare d’eccezione è
l’ennesima ottima prova di Emmanuele Baccinelli ai disegni, con una bellissima vignettona iniziale che ripropone la mia versione preferita del Deposito: sovraffollato di disordinati mucchi di monete, casseforti sbilenche e sacchi di monete gonfi e malridotti.
La trama impostata da
Giorgio Fontana si rifà, non so quanto consapevolmente, al classico di Rodolfo Cimino
Paperino e la perfetta letizia e il risultato è
una storia gradevole, che riesce ad intrattenere piacevolmente il lettore anche se si sa dove andrà a parare lo svolgimento della trama.
Altro simpatico intermezzo, forse tirato un po’ per le lunghe nonostante le sole otto pagine, è
Paperoga in… “Sempre più buono”, sceneggiata da
Giulio Gualtieri e disegnata da
Valerio Held, autore che sta modificando molto il suo stile rispetto al passato.
Molto deludente invece
Filo e Brigitta e i tesori di serie B: I centrini della tavola rotonda, storia che appartiene
a una serie che non ha mai saputo esprimere episodi memorabili e che ritenevo chiusa nel 2020. Per il ritorno dello sgangherato duo Filo & Brigitta, che
neanche sotto le mani del suo creatore Romano Scarpa ha mai fatto faville,
Roberto Gagnor propone una serie di eventi confusi, con passaggi di ambientazione e salti di trama non supportati da una logica narrativa né da trovate comiche diverse da tormentoni, citazioni e strizzate d’occhio.
Eccessivo, barocco, folle, autocelebrativo ma allo stesso tempo disordinato: così mi immagino il Deposito di Zio Paperone
Volendo ricollegarmi poi al discorso precedente fatto sull’abbandono di vecchi schemi narrativi a favore di altri considerati forse più adatti, vorrei sottolineare come lo spunto di questa storia, cioè la ricerca di un tesoro misterioso,
una volta sarebbe stato appannaggio della “formazione tipo” (per citare le metafore calcistiche care a Gagnor)
dei Paperi, con lo Zione a costringere con qualche stratagemma Paperino a partecipare, coinvolgerlo nello scontro con gli “autoctoni”, scoprire che il tesoro non era quello che si aspettava, e così via per
una serie di spunti forse già visti dai lettori più avanti con l’età, ma ad oggi inediti per i più giovani… Quando poi, a chiusura di volume, ho trovato la nuova “saga” delle Giovani Marmotte,
la mia fedeltà di lettore ha vacillato, anche a causa di un antefatto che devo spiegarvi per poter condividere con voi il mio atteggiamento di diffidenza verso avventure del genere.
Ho approfittato delle festività natalizie per recuperare la lettura di diversi albi che si erano accumulati nei mesi precedenti, tra i quali i due volumi della serie
Grandi Saghe con
la “Master Story” delle GM, che ho trovato particolarmente brutta ed irritante in alcuni passaggi, una delle letture Disney che mi è costata più fatica portare a termine.
Quindi, capirete che ritrovarmi a così breve distanza una storia così mi ha fatto sussultare. Ho comunque fiducia in
Bruno Enna (così come ce l’ho in
Alessandro Sisti, autore della saga precedentemente citata…) e spero che nei successivi episodi
Le Giovani Marmotte e la pietra che parla riesca a divertirmi. Per ora ho apprezzato le modalità di introduzione della vicenda con le didascalie a corredo delle vignette mute, la caratterizzazione del folle miliardario collezionista di pietre e alcune trovate grafiche di
Alessandro Perina.
Apriamo l’anno, quindi con
un voto appena sotto la sufficienza, nonostante il grandi nomi “spesi” sulle pagine del settimanale. Peccato.
Voto del recensore:
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