Il secondo sequel direct-to-video della filmografia Disney esce in America nell'agosto 1996, per approdare da noi solo sette mesi dopo recando sulla copertina la scritta Video Premiere che da quel momento in poi fino a Pocahontas 2 avrebbe marchiato i direct to video. Non è dato sapere perchè la disney avrebbe in seguito rinnegato quella denominazione, forse per paura di star dando un'idea meno omogena della produzione o forse per liberare i propri futuri sequel di un etichetta che dopo parecchi prodotti scadenti era diventata scomoda.
Il re dei ladri chiude idealmente il ciclo di Aladdin collocandosi persino dopo la relativa serie televisiva e zoomando su alcuni particolari lasciati in sospeso nei primi due film: innanzitutto viene mostrato il matrimonio del protagonista, su cui spesso le fiabe tendono a glissare, e invece qui evento principale da cui la storia prende le mosse. In secondo luogo avviene un crossover con un elemento di un'altra fiaba anch'essa appartenente alla tradizione araba delle mille e una notte. Aladdin infatti incontra i quaranta ladroni e scopre, "imprigionato" nel loro mondo, nientemeno che suo padre. La storia, forse ancor più che ne Il Ritorno di Jafar, risulta assai intrigante e ben strutturata e Cassim, il padre di Aladdin, grazie a una caratterizzazione tutt'altro che banale, rimane impresso nella memoria come uno dei personaggi più simpatici e memorabili dell'intera trilogia.
Il film, diretto ancora una volta da Tad Stones, dimostra già nelle prime scene una qualità assai superiore a quella del suo sfortunato predecessore. A dispetto di alcuni fondali assai rozzi e assolutamente televisivi, l'animazione e soprattutto il disegno dei personaggi sono assai ben fatti, e la cosa si nota nelle scene in cui appaiono Aladdin o il Genio. Quest'ultimo, dopo la deludente performance de Il Ritorno di Jafar, torna ad essere quello di sempre. Doppiato in Italia sempre da Gigi Proietti, vede però in America il ritorno alla voce dello scoppiettante Robin Williams. Gli animatori tornano a scatenarsi (pure troppo) e realizzano quindi un genio iperattivo, dalle mille trasformazioni e citazione cinefile. Neanche a farlo apposta pure il colore azzurro del Genio torna ad essere quello di sempre. Come nel classico originale, al Genio vengono affidati ben due numeri musicali Father and Son e Party in Agrabah, la bellissima scena iniziale in cui vengono descritti i i preparativi per il matrimonio. La colonna sonora si mantiene infatti su livelli più che dignitosi anche grazie alle due canzoni dei cattivi, la divertente Welcome to the Forty Thieves e la cinica Are You In or Out, che descrivono alla perfezione il mondo dei quaranta ladroni. Unica nota stonata è la poco significativa Out of Thin Air, cantata da un Aladin desideroso di incontrare suo padre. Scena alla quale avrei volentieri adattato Proud of your Boy, pezzo di Menken scartato dal classico originale, incentrato sul rapporto tra Aladdin e sua madre.
Aladdin e il Re dei Ladri chiude il primo ciclo complesso dell'animazione Disney: il reprise finale di Arabian Nights, che ripresenta il mercante narratore visto all'inizio di Aladdin, sembrerebbe non lasciare altri sbocchi, e la gag al termine dei titoli di coda con un Genio disperato non fa che confermare la volontà degli autori di mettere la parola fine a un filone sfruttato fin troppo.
Con Aladdin e il Re dei Ladri si ha una doppia conferma: la Disney ha ormai imboccato la triste strada dei cheapquels, ma all'interno di questa scelta infelice si hanno alcuni segnali positivi: i Toon Studios si stanno formando e la qualità inizia a non essere più quella televisiva. Gli arabeschi sul tappeto non torneranno certo quelli di un tempo tuttavia solo raramente si vedranno film prodotti senza un briciolo di cura.