Recensione I Grandi Classici Disney 101 Il primo numero del parziale nuovo corso dei Grandi Classici Seconda Serie dichiara esplicitamente la sua natura ibrida: da un lato, contenitore di storie variegate; dall’altro, di testata filologica, con articoli di approfondimento che corredano storie rare perché irristampate, perché importanti da un punto di vista storico, o perché solo in qualche modo curiose.
Ciò, però, comporta che non necessariamente le storie pubblicate per tali ragioni siano anche belle secondo i gusti moderni, o fors’anche per quelli dell’epoca.
Fatta questa doverosa premessa, e constatato il quasi raddoppio delle pagine di approfondimenti rispetto a quelle presenti fino a due mesi prima (il
numero 100 non può fare testo in quanto strettamente celebrativo), va subito osservato che l’albo si apre con l’ottima
Topolino e il ‘Saluto dei MacGregor’ (
Abramo e Giampaolo Barosso/Scarpa-Cavazzano): delizioso
noir con un Mickey usato al meglio, dove davvero è il motore dell’azione senza mai essere invasivo o petulante, ma con ruoli decisivi anche per Minni e Pippo. Segue un
Chendi dei primi anni Settanta, accompagnato da un
Lostaffa acerbo ma godibile, per una piccola
chicca tutte risate passando da un equivoco all’altro: e
gli inizi del citato nuovo corso della testata non potevano essere migliori, va detto, perché in due piccoli gioielli neanche notissimi già abbiamo trovato varie leggende del fumetto Disney all’italiana.
La terza storia del numero, poi, pur non rientrando nelle Superstar, dovrebbe essere la perla dell’albo, tanto da avere ben due editoriali dedicati. Ma, come si accennava,
Topolino nella valle dell’incanto (
Martina/Anzi) non può essere ricordata certo per la beltà della trama, che è invece un’assurda accozzaglia di illogicità, di cose che succedono a caso, di personaggi non presenti e che compaiono dal nulla (Pluto appare letteralmente da una vignetta all’altra), di costruzioni sbagliate dei
characters e di disegni a volte al confine dell’incomprensibile (è estremamente faticoso capire che in alcune vignette Gambadilegno è mascherato, cosa che snatura alcuni dialoghi).
Ma, se il castello dovrebbe essere sparito, perché appare tranquillamente sullo sfondo della vignetta, esattamente al suo posto, proprio lì dove non deve essere???[/size][/i]
Eppure la storia non stecca nell’ambito della logica filologica (scusate il bisticcio) di cui sopra, perché, in tale ottica, la sua pubblicazione è meritata e financo doverosa, a fronte della sua rarità e del fatto che essa rappresenta la perfetta testimonianza di come venissero concepite le trame dal titano Martina agli albori di carriera.
Utile è quindi la pubblicazione nel numero di
Topolino e la bussola del Khan (
Martina/Scarpa) e di
Zio Paperone e il ritorno del tempo che fu (
Martina/De Vita), perché esse da un lato rendono giustizia a Martina come autore, che ormai ha visto il periodo dei mischioni fantasiosi superato, e dall’altro ne disvelano l’evoluzione anche nelle tematiche a lui più care nel corso del tempo, come gli improbabili aggeggi dei bis bis di Pippo e le disavventure della banda dei Paperi all’inseguimento di sogni ormai superati dalla modernità. Ovviamente, la bravura dei disegnatori coinvolti è solo un
quid pluris per le due storie, autentiche gioie per gli occhi, soprattutto la seconda che vede all’opera il ben più che straordinario Massimo De Vita dei primi anni Ottanta. Va sottolineato che l’umorismo tagliente, financo politicamente scorrettissimo, di Guido Martina, sembra intonso in entrambe le storie, il che è certamente un pregio per la testata.
Completano il numero una brevissima d’epoca, spassosa il giusto, di
Al Taliaferro (
Paperino e le vitamine), una scialba dal nome di richiamo di
Jerry Siegel per i disegni di
Tiberio Colantuoni (
Paperino e l’anello dei desideri), e una appena gradevole al confine tra giallo e fantastico (
Topolino e il pazzo pazzo tempo) di
Michele Gazzarri e
Giuseppe Perego: in ogni caso, il comparto delle storie è ben più che promosso.
Però… non tutto funziona su questo numero. Infatti, è spiacevole osservare come in una testata filologica non solo si sbagli a datare
Topolino e la bussola del Khan anticipandola dal corretto 1968 al 1958, ma ancor di più che quell’errore (che si poteva semplicemente ascrivere ad un refuso) venga confermato dal redazionale che tratta la storia citata come se risalisse veramente al 1958!
Ditemi: ma vi pare veramente che questo sia il tratto di Scarpa nel 1958? Ne siete certi? Ma proprio sicuri? Mah…[/size][/i]
Questa, lo ripetiamo molto dispiaciuti, è una grave mancanza. S
e si vuole infatti dare un contesto filologico ad una testata contenitore, è legittimo aspettarsi che l’apparato (non esagerato per quantità, quindi ben degno di qualità e di attenzione), sia scevro da errori di questo tipo. Sia chiaro: non discutiamo la dedizione dei redattori alla causa. Ma ribadiamo che, se il refuso è accettabile e comprensibile, proseguire nel solco dello sbaglio in questione (oltretutto palese per chiunque abbia un minimo di dimestichezza storica con il tratto di Scarpa) non è accettabile in alcun modo da chi segue la testata anche per lo sbandierato maggior contenuto filologico che ad essa s’è dichiarato di volere apportare.
E ciò fa perdere una stella secca alla valutazione globale, con un voto finale di 3 stelle e mezzo che ci sentiamo di comunque accordare, sulla fiducia che autentici svarioni come quello detto non abbiano a ripetersi.
Voto del recensore:
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