Recensione Topolino 3592 Ad aleggiare su Topolino 3592 non è solo lo spettro del malvagio duca di cui si racconta nella storia d’apertura
, ma anche quello di Marco Nucci. È vero che l’autore emiliano non figura in prima persona con alcuna storia, ma appaiono, curati da altri sceneggiatori, i nuovi capitoli di due cicli da lui ideati e/o sviluppati.
Si comincia con
La leggenda del Castello Nero, per la serie
Lord Hatequack presenta… L’ora del Terrore.
Giulio A. Gualtieri ricalca, in sostanza, gli stilemi
nucciani con una vicenda a tinte orrorifiche (cui è dedicata la copertina di
Corrado Mastantuono), che, però, non coglie pienamente nel segno.
Qui, Quo e Qua si ritrovano nella stessa situazione di pericolo vissuta anni prima dal loro zio Paperino e riescono a salvarsi per un soffio. Alla fine, come di consueto, un elemento volutamente ambiguo lascia il dubbio sulla veridicità della narrazione. Nulla di particolarmente originale o coinvolgente (né approfondito, viste anche le poche pagine, ventuno): al termine della lettura, si ha
la sensazione che lo spunto – un castello maledetto, nelle cui segrete, una volta entrati, si rimane intrappolati –
potesse essere utilizzato in maniera più efficace.
Ai disegni è niente meno che
Giorgio Cavazzano, il quale, pur tra lievi imprecisioni, non manca di deliziare il lettore in alcune vignette, specie in quelle più cupe, come gli esterni sotto la pioggia battente, uno dei suoi marchi di fabbrica (grazie anche alle chine del fido
Alessandro Zemolin).
Maltempo a Paperopoli[/size][/i]
Segue, in sostanza, il modello base di Nucci anche
Matteo Venerus, coadiuvato alle matite dal sempre valido
Lucio Leoni, in
Newton Pitagorico e la luce della scienza. Qui, onestamente,
le venti tavole a disposizione sembrano fin troppe, tanto che, dopo un po’, le stravaganti invenzioni del nipote di Archimede, chiamato in origine dalla vicina di casa semplicemente a sostituire una lampadina, si fanno ripetitive. E viene naturale riflettere su come, al di là dei gusti personali,
Nucci resti il più abile e qualificato nel gestire sia Hatequack sia Newton: l’uno sua creatura (con l’universo che ne deriva), l’altro rilanciato e caratterizzato. Inevitabile, insomma, che, quando non è lui a occuparsene, ne aleggi nell’aria lo spettro
inquietante…
Risulta più gradevole
Paperinio scalpellino a Cuma, nuovo episodio della serie
La Casa delle Storie, direttamente dall’archivio storico di Torremare.
Marco Bosco rielabora una vicenda accaduta tredici secoli or sono e riportata su una
carthula venditionis incisa sul marmo, ritrovata nel 1844. Paperinio (con la “i”), scalpellino non troppo ferrato in aritmetica, commette un errore nel redigere un atto di compravendita che rischia di costare caro allo zio Paperonio e, aiutato da Paperiana, cerca di porvi rimedio. I due si mettono così all’inseguimento del fattorino Ciccillo, incaricato di consegnare il documento. Nulla di trascendentale, ma
un’avventura lineare che si lascia leggere con piacere, ingenerando curiosità per il suo esito e, al contempo, arricchendo la cultura del
target di riferimento. Davvero ottimi i disegni di
Blasco Pisapia, brillante nel ritrarre sia i personaggi sia gli sfondi:
un artista nel pieno della maturità, che meriterebbe un maggiore riconoscimento.
All’inseguimento di Ciccillo![/size][/i]
Entro i limiti dell’accettabile, se si riesce a entrare nel
mood nordico, la danese
Paperino, Qui, Quo, Qua e la recita movimentata, scritta da
Tormod Løkling e ben disegnata da
Arild Midthun. La rappresentazione teatrale scolastica dei nipotini, su cui è incentrata la vicenda, è ispirata a una fiaba norvegese, in cui tre caprette devono attraversare un ponte sotto il quale è appostato un troll malintenzionato. Il coinvolgimento di Paperino, che si propone per interpretare quest’ultimo, è lo spunto per alcune
movimentate gag in stile slapstick, non eccessivamente riuscite. Come detto altre volte, le quattro strisce per tavola non aiutano certo la fruizione sul libretto delle
egmontiane, adatte a formati più grandi.
Termina poi
Minni prêt-à-porter Fashion Academy, con l’ultimo episodio (diviso in due parti),
Il bivio. Nelle scorse settimane, tutto sommato, la storia aveva superato le non elevatissime attese, ma
l’epilogo non risulta all’altezza di quanto costruito. Alcune situazioni si risolvono in modo piuttosto sbrigativo e Minni si rivela alfine essere poco più di una comprimaria. A tratti, poi, il complesso intreccio, unito al fin troppo massiccio utilizzo di nuovi
character, tende a creare confusione. Simpatici i riferimenti a
Siamo serie?, altro (ben più riuscito) ciclo al femminile curato da
Sergio Badino, e spassose le interazioni con l’iracondo divo Sciò Collery. Adatti alle atmosfere modaiole i disegni di
Giulia Lomurno, spesso concentrati sui personaggi a discapito degli ambienti: valide, comunque, le rappresentazioni dell’Hotel Playa (facciata e interni).
Capricci da divo…
Sul fronte servizi e rubriche, menzionati gli articoli inerenti il fascino del
creepy e le meraviglie antiche, spicca il consueto appuntamento con
Fumettando: nell’occasione,
Emmanuele Baccinelli insegna come ritrarre il volto di Paperinik. Il disegnatore piemontese racconta, inoltre, qualcosa sul suo percorso artistico (che, lo ricordiamo con gioia, si è snodato felicemente anche lungo il Papersera!).
Si chiude con l’autoconclusiva
Bioparco o… bio parco?, per la serie
Inconfondibile P.d.P, che, nella sua semplicità,
alza la qualità media di un numero sotto tono. Grazie ai calibratissimi tempi comici, infatti,
la gag di Alessio Coppola assolve alla perfezione il proprio compito: strappare una risata di vero gusto.
Voto del recensore:
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