Recensione Topolino 3611
Nel recensire
Topolino 3611, sento di dover andare un po’ controcorrente rispetto ad alcuni commenti che mi è capitato di leggere su Internet.
Partiamo dalla storia di apertura:
Topolino, Pippo e la lunga notte dello sghignazzatore, per i testi di
Marco Nucci e
Niccolò… Testi (sì, gioco di parole abusato, perdonatemi) e i disegni di
Andrea Maccarini. Mi soffermerei innanzitutto proprio su Testi. Questo nuovo e giovane sceneggiatore, pur avendo esordito da poco, ha già fornito alcune buone prove. Sono ancora troppo poche per poterlo inquadrare appieno, ma credo che nel giudicare questa storia non vada fatto l’errore di considerarla come esclusivamente di Nucci.
Certamente, leggendola, è legittimo pensare che fra i due autori la parte del leone l’abbia fatta il più esperto, visti i numerosi caratteri distintivi del suo stile, ormai abbastanza riconoscibili. Proprio per questa confidenza che ormai i lettori sentono di avere con l’opera di Nucci,
credo che si sia parlato per questa storia come di un episodio mancato del ciclo Lord Hatequack presenta: L’ora del terrore.
Io mi trovo però in disaccordo,
avendo sentito in questa avventura un sapore diverso. Le storie del ciclo di Lord Hatequack hanno un sapore molto simile a quello di classiche serie televisive antologiche come
Alfred Hitchcock presenta o
Ai confini della realtà, per limitarsi alle ispirazioni più
mainstream ed evidenti (ma è chiaro che lo sceneggiatore si è nutrito anche di molto altro). E mi sembra che quando vuole ricreare quel tipo di atmosfera, Nucci conosca perfettamente la ricetta: da come “dosare gli ingredienti” a come “impiattare”.
Per questo credo che qui ci fosse proprio un’intenzione diversa alla base: un esperimento, un divertissement. E azzarderei che i riferimenti fossero anche molto disneyani: non sono riuscito a metterli perfettamente a fuoco, ma li ho trovati molto familiari, sin dall’inizio così “surreale”, con Topolino che “
in una notte buia e tempestosa” arriva in un castello mai nominato prima, di proprietà di Pippo, dove trova quest’ultimo ad aspettarlo tranquillamente come fosse nel salotto di casa sua, senza antefatti o particolari giustificazioni (anche se poi in realtà qualche spiegazione arriva).

“Sorprendere il lettore è compito dello scrittore! Yuk, yuk!”
È innegabile che avventure di questo tipo, nella tradizione disneyana, se ne sono viste molte; e molti sono gli autori che potrei citare, ma fra tutte le possibili ispirazioni, questa storia mi ha ricordato alla lontana
Topolino e il segreto del Castello (la prima storia a bivi) o la classica
Topolino e la casa misteriosa. Fate un esperimento: provate a immaginare questa storia disegnata da
Sergio Asteriti o da
Giulio Chierchini e avrete la sensazione di averla già letta su una raccolta di ristampe come
I Grandi Classici o
Le imperdibili. In conclusione,
credo che questa storia sia da ascrivere più a un altro filone di Nucci, quello in cui riflette in maniera spesso metanarrativa sul mestiere dello scrittore, e sui generi a lui più cari come lettore.
Sul comparto grafico, mi sembra che Maccarini svolga egregiamente il proprio lavoro, imbastendo delle tavole che rendono un buon servizio alla trama e alle sue atmosfere.
Terminata la lettura, troviamo un’interessante intervista al veterano Rudy Salvagnini che presenta il volume de
I Classici di prossima pubblicazione, con una selezione dal ciclo delle
PippoParodie. E non credo sia un caso che l’articolo arrivi subito dopo la storia di cui abbiamo appena parlato, nella quale sono presenti dei rimandi al ciclo de
I mercoledì di Pippo.
A seguire,
Newton Pitagorico e il baule dei Malandati ci propone nuovamente Niccolò Testi che si cimenta con un altro ciclo “ereditato” dal più esperto Marco Nucci, ovvero quello delle disastrose invenzioni del nipotino di Archimede Pitagorico.
Storia briosa e scorrevole, l’abbinamento di Testi con questo personaggio si conferma riuscito; i disegni di
Lucio Leoni sono come sempre di alto livello.
Nel redazionale successivo incontriamo Giuseppe Zironi (che ha recentemente “preso in gestione” Orazio nella serie
Cavezza) che ci parla della sua visione del personaggio, di quale procedimento segue nel disegnarlo, e fornisce anche qualche interessante aneddoto sugli inizi della sua carriera.
La breve centrale del libretto,
Malachia e il maggiordomo felino, è una storia tipica di
Enrico Faccini. Stravagante, divertente, con qualche tratto forse un po’ troppo bizzarro e disegni molto personali.

E sono anche molto buone!
Il numero prosegue con
Paperoine de Paperoux e i tuberi di Papermentier, scritta da
Sergio Cabella e disegnata da
Ottavio Panaro.
Anche questa vicenda, sebbene in maniera diversa dalla prima, sembra provenire da una tradizione disneyana più antica rispetto allo stile recente del libretto. Mi ha ricordato alcuni cicli in costume di stampo didattico in voga tra gli anni ’90 e 2000. Siccome quelle storie mi piacevano, lo considero un bene; e poi, nonostante la mia veneranda età e molti studi alle spalle,
mi ha fatto imparare qualcosa di nuovo e interessante. Per cui, missione riuscita. Inoltre, il finale sembra suggerire un prossimo episodio di questo ciclo ambientato in Piemonte.
Il racconto è corredato da un articolo di approfondimento sulla figura di
Parmentier e di come abbia introdotto le patate nella dieta occidentale, parimenti interessante.
Segue un altro contenuto redazionale, questa volta utile per presentare delle card collezionabili appartenenti alle serie di Topolino e Paperino Story.
Infine ecco quello che, a seconda dei gusti, può risultare il tasto dolente come il piatto forte del numero:
Flight 011, il penultimo episodio de
Le isole della cometa. Fortunatamente, in questa sede è mio compito parlare esclusivamente dell’episodio di questa settimana e non dell’intera serie, perché sarebbe indubbiamente un compito molto difficile (in bocca al lupo al recensore del prossimo numero!). Devo confessare che, per una ragione o per l’altra, avevo evitato finora di leggere le storie della serie e le ho recuperate tutte insieme in vista di questa recensione.
Spendo due parole per dire che mi è parso indubbiamente un prodotto atipico rispetto alla tradizione Disney, sebbene in linea con l’impronta che l’attuale direzione sta imprimendo alle storie del settimanale, e all’introspezione psicologica dei personaggi.
Tenendo conto di questo aspetto, non condivido molte critiche che sono state rivolte alla serie.
Forse la lettura tutta d’un fiato ha giovato al mio apprezzamento della saga sceneggiata da
Pietro B. Zemelo, ma addentrandomi nell’Arcipelago Rodent ho respirato un’aria di mare, di libertà, di avventura che finora mi era capitato solo con pochi altri prodotti narrativi, e non mi è pesata l’indubbia lentezza della narrazione perché, al contrario di Mick, non avevo fretta di andarmene. Credo infatti, anche alla luce dell’ultima intervista del Direttore Alex Bertani al
The Fisbio Show, che fossero proprio questi i presupposti sui quali la serie è stata concepita.

E non sono gli unici a dirlo…[/size][/i]
Devo ammettere comunque che nella seconda stagione qualche lungaggine si inizia a sentire, e forse anche un po’ di stanchezza nel portare avanti una trama senza dubbio molto intricata e che, nonostante qualche rivelazione importante proprio in questo episodio, sembra ancora lungi dal volersi sciogliere. Anche i personaggi sembrano iniziare un po’ a risentire della lunghezza delle vicende, con comportamenti a volte contrastanti.
Bisognerebbe però avere l’onestà di ammettere che gli standard del libretto non sono poi così alti rispetto alla storia di cui stiamo parlando, anzi:
molti fan non fanno altro che invocare avventure più profonde, con toni più “adulti”, e più lunghe.
E mi sembra che, per una volta che sono stati accontentati su tutta la linea, lo si stia ingenerosamente respingendo. Comunque, sarà al termine dell’episodio conclusivo di questa seconda stagione, in uscita la prossima settimana, che potremo capire definitivamente se avremo letto un prodotto che sarà riuscito a soddisfare le richieste della maggior parte dei lettori, o se invece il gradimento rimarrà basso come è stato finora.
Come già detto da altri, il tratto di
Nico Picone è irriconoscibile rispetto a qualche anno fa e, in generale, mi domando se l’aspetto grafico delle storie non risenta un po’ troppo di una certa standardizzazione degli stili. Tuttavia, in questo caso, posso solo dire che ne
Le isole della cometa sta facendo un grandissimo lavoro, del quale può andare davvero molto fiero.
Se mi sono immedesimato così tanto nella storia, riuscendo a immaginarmi sulle spiagge dell’Arcipelago e a solcare i mari con Mick, Dippo e gli altri personaggi,
il merito è stato soprattutto dei disegni dell’artista molisano.
Voto del recensore:
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