Doveva essere l'ultimo film della storica accoppiata Disney/Pixar. Doveva ma fortunatamente così non è stato, dal momento che, come ben si sa, al giorno d'oggi la Pixar è il reparto che alla Disney si occupa del lavoro sporco: continuare la serie di film 3d che la Feature non è stata (fortunatamente) capace di emulare. Ad ognuno il suo quindi, ed è un bene che la Feature Animation e i Pixar Animation Studios d'ora in poi si spartiscano il lavoro a seconda delle competenze specifiche per rendere di nuovo illustre la cara vecchia etichettona che dal 1928 regala sogni a mezzo mondo. Ma sta di fatto che per avere
Cars ci è toccato penare non poco dal momento che il film, pronto ormai da tempo era stato curiosamente ritardato e posposto ai vari
Chicken Little e
The Wild, nell'ottica di allontanare il più possibile il giorno del distacco e prendere il tempo necessario a portare a buon fine le trattative per riavvicinare la Pixar. Ma ecco finalmente la nuova opera di John Lasseter che lontano ormai dalla regia da ben tre film torna a reclamare quel che è suo, cercando questa volta, un po' per capriccio, un po' per sfida, di antropomorfizzare le automobili. E già questa cosa potrebbe sembrare un bel passo indietro dal momento che il cinema d'animazione attuale non offre che commediole in CGI che focalizzano di volta in volta su un micro (o macro) universo. E sebbene si fosse usciti dal seminato con l'atipico e assai coraggioso
Gli Incredibili, ecco la Pixar tornare sui suoi passi per riprendere in mano lo scettro e ricordarci con fierezza che il genere l'ha inventato lei ed è sicuramente la casa d'animazione maggiormente capace di gestirlo. Ecco quindi macchine parlare in gergo, usando i soliti termini tecnici che fungono da analogie col mondo umano e masticare le solite battute relative alla loro condizione. Il solito cliché quindi, che però Pixar ovviamente applica meglio di chiunque altro con il solito gusto, il solito garbo e la solita impareggiabile finezza. Insomma, è tutto impeccabilmente solito...anzi no. Per la prima volta nella storia della Pixar il mondo preso in esame non è il nostro, in cui i giocattoli, gli animali o i mostri si muovono complementarmente all'uomo ma una Terra alternativa, popolata interamente da macchine e in cui l'uomo è del tutto assente. Uno stratagemma notevole, che cambia le carte in tavola e facilita non poco il lavoro ai soggettisti visto che adesso non devono fare i conti con l'ingombrante umanità che detta legge sulla volontà di muoversi del mezzo. Ma è uno stratagemma che non funziona perfettamente perchè si scontra dopo poco col nonsense un po' forzato che vede le macchine vivere in un mondo pur sempre pensato a misura d'uomo. E' come se gli uomini avessero lasciato il mondo alle macchine e se ne fossero andati, lasciando comunque le strutture com'erano. Certo, la presenza di elicotteri e aerei oltre alle automobili può suggerire che la meccanizzazione globale non si limiti ai veicoli, ma la stessa presenza di mucche-trattori e maggiolini-insetti e il continuo riprendere elementi del nostro mondo come la route 66, creano quello stridìo che rovina parzialmente la sospensione d'incredulità che invece c'era nei vari
Toy Story e
Monsters & Co. e oserei dire persino nel totalmente meccanizzato mondo di
Robots.
Niente di irreparabile però perchè il film non si prende poi troppo sul serio e sposta su ben altro la propria attenzione, come ad esempio una grafica meravigliosa che oltre che agli effetti atmosferici conferisce un certo appeal anche ai personaggi (cosa che dopo film come
Polar Express o
Zeta la Formica non era neanche più così ovvia). Certo è che il lavoro maggiore l'hanno fatto gli animatori della cara vecchia scuola Disneyana che già nel '43 erano al lavoro sul processo di antropomorfizzazione dei veicoli realizzando quel gioiello di design che era Pedro di
Saludos Amigos, passando per il piccolo rimorchiatore de
Lo Scrigno delle Sette Perle per trovare poi il suo apice nel cortometraggio
Susie, the Little Blue Coupé. E proprio qui che gli animatori della Pixar sono andati a pescare riproponendo il medesimo stile grafico che vuole che sia il parabrezza anzichè i fanali a rappresentare gli occhi della vettura. Saetta McQueen e i suoi amici altro non sono che la riproposizione in 3d dei modelli di automobile visti in quel cortometraggio del '52, inspiegabilmente assente dalla raccolta
Disney Rarities messa insieme da Leonard Maltin. E l'uomo in quel cortometraggio non solo c'era ma era anche il principale responsabile delle sventure di Susie. Certo è che qui il punto focale è un altro e se si fosse insistito sull'uso e l'abuso che gli umani fanno dell'automobile avremmo forse avuto un clone di
Toy Story. Questo è un film che consiste della sua stessa morale, non offre altro che quella e soprattutto ha una sua particolarissima struttura volta a suggerirla intuitivamente. Il film segue infatti il percorso di redenzione del giovane e avventato Saetta McQueen, un'auto da corsa smargiassa e superficiale per cui nella vita l'unica cosa che conta è vincere la Piston Cup e diventare il testimonial della Dinoco, la stessa marca di benzina che chi ha visto
Toy Story ricorderà. L'inizio del film ha ritmi sincopati, uno humor veloce fatto di battute che si colgono alla velocità della luce e che ben ricordano la tendenza in voga nel cinema d'animazione odierno. Poi tutto cambia quando Saetta contro la sua volontà si ritroverà confinato a Radiator Spring, un villaggio un tempo collocato lungo la Route 66, e adesso tagliato fuori dall'autostrada. E al cospetto di una realtà fatta di campagne e furgoncini hillbillies non è solo un riluttante Saetta a cambiare carattere suo malgrado ma pure il film stesso, la cui lunghezza viene ineditamente portata a due ore.
Cars conosce così i tempi morti, una narrazione lenta, serafica, spesso e volentieri volutamente inconcludente fatta di tanti piccoli episodi perfettamente estrapolabili, che non fa altro che suggerire di continuo che non deve essere sempre la fretta a dominare le nostre azioni, ma che nella vita più che la meta conta il tragitto. Non si tratta certo del primo film che condanna l'arrivismo, tuttavia il concetto non era mai stato espresso in questo particolar modo. E emerge qui il lato sperimentale di
Cars, tenuto oculatamente nascosto nella campagna pubblicitaria dietro le numerose battute di Luigi, Guido e Carl Attrezzi (personaggio che ricorda non poco Pippo). Un lato che però Lasseter aveva cercato di far emergere nelle interviste in cui dichiarava che il ritmo volutamente lento era un omaggio al maestro Hayao Miyazaki, a cui questo film era dedicato. E non si può dire che Hayao non abbia gradito, dal momento che per guardarlo ha fatto un'eccezione alla sua "regola" che gli vieta di vedere film che non siano suoi.