Caravan # 12 – I Cancelli dell’Eden (Medda, Olivares)
Premessa 1: sarà uno dei miei sproloqui più lunghi, già vi avviso… E’ da più di una settimana che ho letto quest’ultimo numero della mini e solo ora sono riuscito a mettere per iscritto il mio commento, il che è di per sé straordinario.
Premessa 2: ha un certo fascino che la mini si concluda lo stesso mese del gran finale di
Lost…
Premessa 3: possibile presenza di
spoilerL’ultimo numero di
Caravan è qualcosa di spettacolare. E’ incredibile come un finale possa essere così chiarificatore degli obiettivi di tutta la serie e nello stesso tempo così ermetico, così povero di spiegazioni. Il che per una serie Bonelli è qualcosa di inusuale.
Se nello scorso numero abbiamo scoperto, insieme a Davide, che il mistero delle Nuvole non è altro che un esperimento del governo, nelle prime pagine di
I Cancelli dell’Eden vediamo il ragazzo – ormai vero protagonista di Caravan – tentare di convincere la popolazione, o perlomeno le persone più significative che abbiamo incontrato negli scorsi numeri, che quella è la verità e che occorre far qualcosa. Ma proprio quelli che si convincono sono i meno propensi ad agire. La spiegazione la dà Whitley, il tipo che credeva agli alieni nel # 5, in un monologo splendido, spietato, definitivo, che inquadra perfettamente almeno uno degli obiettivi principali che Michele Medda aveva nel raccontare questa grande storia. Alla luce delle parole di Whitley vediamo assumere ancora maggiore importanza agli episodi
America, America e
Il Gioco della Guerra, per fare due esempi lampanti, cioè una acuta e profonda analisi dei meccanismi del potere e del consenso popolare. Il controllo delle masse, ci ricorda Medda, non è una cosa del passato, una cosa da ricordare nel nazismo e nei regimi dittatoriali del Novecento e basta, ma è viva e presente ancor oggi. Non basta usare la parole democrazia per pensare che chi comanda non possa far credere quello che vuole, come vuole, quando vuole alla gente. Anzi, con la sempre più massiccia diffusione dei media il poter “addomesticare” il popolo è sempre più facile. L’autore ce lo ricorda, mostrandoci nell’esperimento “Painted Sky” un test per vedere se davvero si può portare a spasso un’intera città senza dare spiegazioni agli abitanti ma nutrendoli e intrattenendoli. E così capiamo anche come tutti i racconti di vita vissuta che Massimo Donati, Carrie e altri hanno fatto nel corso degli 11 numeri passati – quelli che molti lettori criticavano – non fossero messi a caso, e nemmeno per rendere preziosi quei singoli albi su cui comparivano, ma stanno a significare come sia importante che ci venga raccontato il passato perché alcuni meccanismi (di solito i più terribili) tendono a ripetersi, magari in forme diverse ma tornano.
Insomma, quando Jolene sbotta “Non c’è nessun tornado, capitano. Oh, scusate, l’hanno detto i soldati, allora è vero… perché a quello che dicono loro ci credete tutti, giusto?” mi vengono i brividi, perché se al posto della parola “soldati” ci metti “televisione” mi appare terribile il potere coercitivo dei media, vecchi e nuovi.
Tornando alla storia, Davide è disperato: la sceneggiatura è perfetta nel dipingere, ancora meglio che nello sbrocco del numero precedente, l’avvilimento di Davide, smarrito, che anche se può contare su Carrie e Jolene sente su di sé il peso della situazione apparentemente senza via d’uscita e della responsabilità verso le persone che dipendono da lui. Questo porta a un secondo grande tema importante, che deflagra nella didascalia dell’ultima tavola:
Caravan è dedicato alla memoria dei genitori di Medda, il che rende ancora più autoriale di quanto si poteva credere l’intera serie. Il rapporto genitori-figli visto in tutta la mini (soprattutto nella famiglia Donati, ma anche nella famiglia Bresler, tra Carrie e Jolene, nell’episodio dell’indiano, nella storia del sindaco Banks nel # 3…) appare evidente e pesante nell’economia della serie, una marcata sottolineatura della figura dei padri (come in
Lost!) e delle madri che scandaglia uno dei rapporti interpersonali più affascinanti e complicati del genere umano. Il rapporto dei figli coi genitori si può facilmente vedere anche come recupero della memoria storica, del passato che i “vecchi” trasmettono ai giovani, e ritorniamo dunque all’importanza dei flashback.
“Adesso sanno cos’erano quelle nuvole e finalmente sono contenti, quegli idioti. Di tutto il resto non gli importa.” scrive Davide nel suo diario. E’ impressionante il valore meta-narrativo che assume questa frase, se si pensa ai tanti lettori che avevano equivocato gli obiettivi della serie e che mese dopo mese aspettava indizi per scoprire il mistero della Nuvole, e che in vari forum su Internet nel commentare il # 11 si concentravano sulle ultime tavole che contenevano le rivelazione.
A Davide invece non basta sapere quello per starsene buono buono, la scomparsa dei suoi genitori e gli insegnamenti tratti dai racconti di suo padre lo hanno forgiato, insieme all’assurda situazione di deportazione che sta vivendo… è maturato, è diventato un nuovo capofamiglia accettando i pregi ma soprattutto i pesanti oneri che questo comporta, ha preso il testimone da Massimo con consapevolezza. E allora prende la decisione di fuggire dalla carovana, fuggire da tutti quei pecoroni dei suoi concittadini, fuggire dai militari, dalle loro bugie e dei loro intrighi: con un abilissimo trucco sapientemente raccontato dall’autore, il gruppo formato da Davide, la sua sorellina, Jolene, Carrie e il cane Chip riescono a scappare, incappando però nelle Nuvole. Davide non si ferma, accelera consapevole che è solo un effetto speciale, peccato che non può sapere che i militari non sono gli autori di quel fenomeno, in quel momento. E al contrario degli elicotteri che stavano inseguendo i nostri, la macchina di Davide supera le Nuvole e finisce… fuori dai cancelli dell’Eden.
Un finale spiazzante, più che aperto, oscuro, metafisico quasi. Intanto sicuramente allegorico: Davide come dicevo prima è maturato, ha preso coscienza del mondo e di se stesso e ha saputo prendere una decisione coraggiosa anche quando nessuno gli dava retta. La sua fuga è stata premiata, si è liberato da chi lo ingannava ed è arrivato in un posto nuovo, dove poter andare avanti insieme ai suoi cari.
Il cosa sono queste Nuvole, identiche a quelle del progetto “Painted Sky” ma non mandate da nessun governo, è secondario in fondo. Che sia un intervento divino, un deus ex machina, uno strappo nello spazio-tempo, una giustizia superiore o il buco dell’ozono, è la sua portata metaforica che è importante, il suo messaggio liberatorio non solo per Davide ma anche per i lettori in ansia per lui da svariati numeri. Io mi sono commosso a leggere quelle ultime tavole proprio per il vedere Davide e le persone per lui importanti che sono riusciti a liberarsi dall'infernale baratro in cui erano finiti. L’origine di queste nubi… ognuno può immaginarselo come vuole, io penso. E il fatto che non sapremo mai cosa succederà ora alla carovana di Nest Point, se andrà avanti, se i militari li faranno tornare indietro, dove li avrebbero condotti ecc non è per me un difetto, in fondo la storia di quella realtà importava quando era funzionale a raccontare altro, quello che abbiamo visto in questi 12 numeri.
Due parole sui disegni di quest’albo: mi sono sembrati ottimi, Olivares fa un ottimo lavoro sia tratteggiando le fisionomie dei personaggi principali sia negli sfondi, spesso molto dettagliati (ad esempio nella città fantasma). In alcune vignette pecca un po’ in qualche sguardo di Jolene, invero, ma sono dettagli che non inficiano il buonissimo lavoro del disegnatore.
Caravan è finito, dunque, dopo un anno di pubblicazioni. Un anno in cui mi ero affezionato moltissimo a Davide ma anche a tanti altri personaggi, e anche all’atmosfera che si respirava. Ogni mese non vedevo l’ora di mettermi in colonna con gli altri personaggi, in coda alla carovana per godermi un nuovo episodio. Molte storie raccontate mi hanno lasciato dentro qualcosa di importante, riflessioni, tristezze e sorrisi amari, e alla luce di tutta la mini questi sentimenti valgono anche per il disegno generale.
E’ stata sicuramente una miniserie coraggiosa, originale, unica nel suo genere e fuori da qualsiasi standard, non solo della Bonelli ma anche di qualunque altra casa editrice che mi viene in mente. Un modo di raccontare, presentare i fatti e soprattutto taluni argomenti e messaggi decisamente innovativo e affascinante, un esperimento – se vogliamo – perfettamente riuscito, secondo il sottoscritto.
Non posso che ringraziare la Bonelli per averla pubblicata e soprattutto complimentarmi con Michele Medda per quest’opera grandiosa.