Quasi esordiente (2014), amico di Tito, con cui ha lavorato (moooolto saltuariamente) a Tizzoni d'Inferno, è un autore che mi ha stupito in misura notevole. Mi spiego.
Le storie d'esordio, in particolare quelle di Pippo, davvero non le ho capite. Non mi addentro in dettagli perché sarebbero inutilmente amari: proprio non ne ho capito la ratio.
Poi c'è stato un periodo di storie tradizionali, un po' ciminiane quelle con i paperi, insomma ancora un evidente rodaggio (tipo - guarda caso - quello di Tito su Tex, che però paradossalmente era cominciato con due storie molto solide, Evasione e L'uomo di Baltimora) da cui non sembrava (a me almeno) legittimo aspettarsi chissà poi cosa.
E poi… complici i disegni finalmente adatti di Silvia Ziche e poi Lucio Leoni, esce
Zio Paperone e le turbe distruttive. Seguita da
quest'altra. E quella della febbre dell'oro ancora non l'ho letta. E qui l'imitazione si fa ispirazione, la riproduzione si fa stile, il riciclo si fa trama. Storie non dico stellari, ma all'altezza delle ultime di Rodolfo Cimino (che per me erano quasi sempre molto belle, in barba alle voci di una fossilizzazione che non c'è stata) e con uno stile che promette; tanto per cominciare perché
è uno stile; e di sceneggiatori di storie brevi o medio brevi con uno stile, oggi, ce n'è uno solo e si chiama Enrico.
Ma da domani, forse, ci sarà Giulio D'Antona.
Se smette di scrivere storie come
questa, è chiaro.